Viaggio nella storia

24 ottobre 1917: la più grande sconfitta mai subita dall’esercito italiano

Caporetto, ancora oggi, nella lingua italiana viene utilizzato come sinonimo di sconfitta. Lo scontro, che iniziò alle ore due del 24 ottobre 1917, rappresenta il più grande insuccesso nella storia dell’esercito italiano.

La battaglia di Caporetto si svolse durante la Prima guerra mondiale e vide scontrarsi l’esercito italiano contro quello dell’Austria-Ungheria e dei suoi alleati dell’Impero Germanico. L’Italia era entrata in guerra nel 1915 con lo scopo di riconquistare Trento e Trieste, all’epoca città di lingua italiana ma ancora sotto il governo Austro-Ungarico.

Prima della battaglia di Caporetto ci furono altre undici battaglie, tutte combattute nella stessa zona e tutte per cercare di sfondare la linea nemica e costringere gli austriaci al ritiro.
I principali luoghi di scontro furono le valli e le montagne dell’Altopiano di Asiago, nel Veneto settentrionale, e soprattutto dell’altopiano del Carso, al confine tra l’odierna Slovenia e il Friuli-Venezia Giulia, lungo il fiume Isonzo. Per questo Caporetto è chiamata anche “Dodicesima battaglia dell’Isonzo”

I generali italiani le provarono tutte: grandi attacchi, piccoli attacchi, attacchi preceduti da lunghi bombardamenti, attacchi a sorpresa, attacchi di giorno e attacchi di notte. L’esercito italiano, guidato dal generale Luigi Cadorna, andò avanti così per due anni, cinque mesi e quattro giorni. In alcuni casi riuscì a conquistare parecchio terreno, in altri l’attacco fallì completamente. In ogni caso, le perdite furono sempre altissime e il fronte austriaco non venne mai sfondato.

Nell’agosto del 1917 l’Impero Austro-Ungarico sembrava a un passo dalla sconfitta il suo esercito aveva subito una lunga serie di sconfitte e il fronte italiano sembrava reggere.  La Germania non poteva permettersi di perdere il suo alleato e così decise che bisognava cercare di togliere di mezzo l’Italia con un colpo a sorpresa.

Sei divisioni tedesche furono segretamente inviate sul fronte e dopo aver atteso alcuni giorni per il forte mal tempo, l’attacco venne sferrato la mattina del 24 ottobre 1917. Tonnellate di gas tossici e proiettili di artiglieria iniziarono a cadere sulle linee avanzate difese dall’esercito italiano, vicino al piccolo paese di Caporetto, oggi in Slovenia.
In un primo tempo venne lanciato il gas tossico e gli italiani, che avevano maschere antigas con filtri che potevano durare al massimo un paio d’ore, evacuarono in fretta le trincee avanzate. Poco dopo arrivò l’artiglieria, e infine ci fu l’attacco dei reparti di fanteria d’assalto tedeschi, reparti armati di mitragliatrici, bombe a mano e lanciafiamme, che avevano il compito di infiltrarsi nelle trincee nemiche, conquistarle e difenderle fino all’arrivo del grosso delle truppe.

Nonostante alcuni assalti respinti, quando gli austro-tedeschi avanzarono nelle valli vicino a Caporetto non incontrarono una sufficiente resistenza e riuscirono a mettere in pericolo l’intera linea italiana. Il comandante locale chiese il permesso di ritirare le sue truppe, ma Cadorna glielo proibì per diverse ore. A sera, però, anche lui dovette arrendersi, dopo una giornata di combattimenti, i generali italiani ordinarono alle loro truppe di ripiegare. La ritirata si sarebbe fermata soltanto quattro settimane dopo, sulla famosa linea del Piave. Quarantamila soldati italiani furono uccisi o feriti e altri 365 mila furono fatti prigionieri.

La disfatta

Caporetto è stata definita da numerosi storici militari la più grande sconfitta mai subita da un esercito italiano. La ritirata dopo la battaglia durò dal 24 ottobre fino al 19 novembre. Ci furono numerosi episodi di disordine e panico, tra i soldati molti gettavano le armi e si arrendevano spontaneamente agli austriaci. Alcuni reparti, però, continuarono a combattere in maniera accanita. Cadorna fu in grado di creare una linea temporanea sul fiume Tagliamento, prima di ritirarsi ancora più a occidente. Austriaci e tedeschi non ebbero la forza di completare la loro vittoria distruggendo completamente l’esercito italiano, che alla fine riuscì a stabilirsi sul fiume Piave, costruendo una linea difensiva che gli austriaci non sarebbero mai riusciti a sfondare. Quando a novembre la situazione si fu stabilizzata, Cadorna fu cacciato dal suo comando e sostituito con il generale Armando Diaz, un generale “giovane”, aveva all’epoca 56 anni e con un modo completamente diverso di intendere il comando.

Le gravi perdite costrinsero il Comando Supremo a schierare da subito la famigerata “classe del ’99”, i ragazzi nati nel 1899 (e perciò appena maggiorenni). Dopo un breve addestramento furono trasferiti lungo il Piave ed isolati dai reparti sopravvissuti a Caporetto, in questo modo non sarebbero stati influenzati dal disfattismo che in quei giorni regnava nelle file dell’esercito, Diaz si dimostrò molto  abile fu in grado di ridare fiducia ai soldati in un momento chiave e seppe condurre  l’esercito italiano fino alla vittoria finale, nel novembre del 1918 .

CONSIGLI DI LETTURA

BALLATA SENZA NOME

È il 28 ottobre 1921. Siamo nella basilica di Aquileia. Maria Bergamas ha di fronte a sé undici bare e deve scegliere il feretro che verrà tumulato a Roma, nel monumento al Milite Ignoto, simbolo di tutti i soldati italiani caduti durante la Grande Guerra. Ogni bara le racconta una storia. Sono vicende di giovani uomini, strappati alle loro famiglie, ai loro amori, ai loro lavori. Attraverso le voci di questi soldati senza nome non solo riviviamo i momenti cruciali della Grande Guerra, durissima e feroce, ma riscopriamo un’Italia che oggi si può dire definitivamente scomparsa. Massimo Bubola, in questa «ballata», fonde le sue doti di musicista con una sensibilità linguistica rara.

CAPORETTO

Alle due del mattino del 24 ottobre 1917, i cannoni austro-tedeschi cominciarono a colpire le linee italiane. All’alba le Sturmtruppen, protette dalla nebbia, andarono all’assalto. In poche ore, le difese vennero travolte e la sconfitta si trasformò in tragedia nazionale. Oggi sappiamo che quel giorno i nostri soldati hanno combattuto, eccome, finché hanno potuto. Ma perché l’esercito italiano si è rivelato così fragile, fino al punto di crollare?
Da cent’anni la disfatta di Caporetto suscita le stesse domande: fu colpa di Cadorna, di Capello, di Badoglio? I soldati italiani si batterono bene o fuggirono vigliaccamente? Ma il vero problema è un altro: perché dopo due anni e mezzo di guerra l’esercito italiano si rivelò all’improvviso così fragile? L’Italia era ancora in parte un paese arretrato e contadino e i limiti dell’esercito erano quelli della nazione. La distanza sociale tra i soldati e gli ufficiali era enorme: si preferiva affidare il comando dei reparti a ragazzi borghesi di diciannove anni, piuttosto che promuovere i sergenti – contadini o operai – che avevano imparato il mestiere sul campo. Era un esercito in cui nessuno voleva prendersi delle responsabilità, e in cui si aveva paura dell’iniziativa individuale, tanto che la notte del 24 ottobre 1917, con i telefoni interrotti dal bombardamento nemico, molti comandanti di artiglieria non osarono aprire il fuoco senza ordini. Un paese retto da una classe dirigente di parolai aveva prodotto generali capaci di emanare circolari in cui esortavano i soldati a battersi fino alla morte, credendo di aver risolto così tutti i problemi.
In questo libro Alessandro Barbero ci offre una nuova ricostruzione della battaglia e il racconto appassionante di un fatto storico che ancora ci interroga sul nostro essere una nazione.

L’ALTRA CAPORETTO

Come la sceneggiatura di un film, il libro narra l’avventura di alcune suore rimaste sole, con 300 donne pazze e un gruppo di orfanelle, sotto i bombardamenti nella linea del fronte, e profughe nei paesi invasi, dopo Caporetto. L’epica femminile delle donne in guerra attraverso la narrazione di una suora e delle sue consorelle nel Veneto e nel Friuli invaso.

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