Viaggio nella storia

Chi sono gli “angeli” di Coltano?

Ci sono angoli di storia dimenticata che attendono di essere rispolverati e portati alla luce e, in tal modo, fanno scoprire come nostra eredità e preziosa memoria dopo lunghi silenzi sulla loro esistenza, vicende eroiche e profondamente umane. Nel tempo ci hanno preceduto donne e uomini sconosciuti che tuttavia con le loro scelte, hanno lasciato il segno del loro passaggio. Solo con un’attenta ricerca tra i documenti, i memoriali, le testimonianze o le lettere, al pari di “ricercatori archeologici” che con delicata attenzione fanno affiorare reperti di grande valore, è possibile almeno un po’ ricostruirne l’operato.

Il lavoro di ricerca intrapreso all’interno degli studi dell’ACSSA (Associazione Cultori di Storia Salesiana) ha voluto fare proprio questo, senza la pretesa di esaustività, anche perché dopo così tanto tempo i testimoni dei fatti non li possono più raccontare, e la ricerca di tracce richiede impegno, molto tempo e percorsi giusti.

La mia attenzione è stata proprio questa: portare alla luce l’umile, silenziosa storia di queste donne di Dio che sono stati “angeli” nell’inferno di un Campo di prigionia, e far conoscere, almeno un po’, i volti e i lineamenti di chi è stato coinvolto in questa dolorosa vicenda.

Il testo 1945: le Figlie di Maria Ausiliatrice “angeli” di Coltano, edito dalla Casa Editrice ETS di Pisa (2024) nelle sue 384 pagine aiuta il lettore a ripercorrere questa storia sconosciuta.

La ricerca ricostruisce quanto è stato realizzato dalle Figlie di Maria Ausiliatrice di Livorno e Pisa nel 1945 a favore dei prigionieri del Campo 337 di Coltano (Pisa), il più grande Campo di prigionia d’Italia, nel quale sono passati dai 35.000 ai 40.000 italiani dai 9 agli 80 anni. Gli Americani, risalendo la Penisola per liberare l’Italia dai Tedeschi, crearono questi Campi di detenzione che, nella confusione del momento, hanno visto imprigionare uomini presi senza troppo discernimento, e al termine della guerra i Campi di concentramento in Italia erano più di 400. All’interno del Campo c’era un po’ di tutto: dai prigionieri della RSI ai ladruncoli per fame, dagli aderenti alle SS a sprovveduti che chiedendo un passaggio si sono visti sfortunatamente mescolati ai prigionieri, da giovani obbligati alla leva agli orfani, agli anziani e, sorprendentemente, anche 994 partigiani.

A distanza di quasi 80 anni da questi fatti, è significativo rileggere quanto hanno compiuto le Suore salesiane di Livorno e Pisa del tempo, al di là delle bandiere o posizioni politiche, che in questo lavoro non interessano, è stata una scelta schierata dalla parte dell’umanità sofferente. Bambini, ragazzi, adolescenti, giovani, anziani, malati e mutilati, erano tutti attendati in piccole canadesi abbastanza comode per due persone, ma dove dovevano stare, solo dopo l’imbrunire, in 6 o in 8 equipaggiati di una sola coperta. Una desolata distesa di un terreno bonificato preparato dagli Americani con ruspe e diserbanti, della grandezza di un chilometro quadrato senza un albero né un filo d’erba, ha ospitato questa umanità, da aprile a novembre, distribuita in dieci recinti o steccati con una triplice recinzione di filo spinato e torrette di controllo ogni 500 metri, con soldati armati di mitra ed equipaggiati di potenti fari per la sorveglianza.

Nel Campo di concentramento PWE (Prisoners of War Encampents) 337 di Coltano la sofferenza era disumanizzante perché i prigionieri vivevano nell’isolamento e abbandonati a se stessi. Non poter condividere con nessuno i soprusi, le violenze fisiche e psicologiche, la fame e le condizioni ambientali imposte, impediva a queste persone di poter umanizzare in relazioni significative la loro condizione. Il filtro delle relazioni che rende umana la vita non esisteva, qui, come in tutti i Campi di prigionia della storia, l’umanità veniva degradata e l’uomo era ridotto a una “cosa”.

In questo scenario che lascia immaginare dolorosa anche solo la vista, le Suore Figlie di Maria Ausiliatrice hanno dato il loro contributo di aiuto e sostegno concreti fino alla chiusura del Campo. Dal luglio al novembre 1945 queste donne coraggiose, con abnegazione, grande generosità e punte di eroicità, hanno svolto una missione di soccorso facendosi mediatrici tra la Santa Sede e il Comando americano che, in prima battuta, aveva la giurisdizione sul Campo e, successivamente, quando questa è passata al Governo italiano, punto di riferimento insieme all’Arcivescovado di Pisa, con la nobile figura di Mons. Gabriele Vettori arcivescovo di allora.

Sono state donne di alto spessore umano, spirituale e culturale, che hanno saputo leggere la storia del loro tempo e hanno avuto la capacità di fare scelte aderenti ai bisogni più urgenti del momento. Con intelligenza e furbizia, hanno ottenuto, a partire dal mese di agosto, ciò che a questi prigionieri non era concesso: il riconoscimento dei diritti e, con questo riconoscimento, la possibilità di avere colloqui con i familiari, di poter mandare e ricevere posta, pacchi e quanto necessario per vivere. Il loro entrare e uscire dal Campo ha sostituito, poco per volta, il filo spinato col “filo” della Carità cristiana e ha aperto gli animi alla speranza. Con questo “filo” hanno saputo intrecciare la trama e l’ordito di un tessuto di collaborazioni che si è allargato a sacerdoti, religiosi, associazioni, militari e persone di buona volontà che hanno dato il loro contributo alla ricostruzione della società italiana.

Scoprire che le Suore, su grande lungimiranza e generosa apertura di Madre Lelia Rigoli, ispettrice della Liguria e della Toscana a quel tempo, hanno costituito un vero e proprio centro di riferimento a Livorno e anche a Pisa per i familiari che da tutta Italia si sono riversati in queste due città, coi mezzi e i disagi di allora, alla ricerca del proprio marito, fratello o figlio di cui non avevano più notizie; immaginarle nella trasformazione della scuola in veri e propri uffici per i permessi, per lo smistamento della posta, per la preparazione dei pacchi alimentari e vestiario per i prigionieri; vedere la generosa accoglienza offerta ai familiari condividendo e trasformando ambienti necessari, in dormitori per passare la notte e allargare la mensa per sfamare e confortare chi arrivava; immaginarle arrivare tutti i giorni al Campo con mezzi di fortuna ed entrare per la consegna della posta e dei pacchi e per dare a queste persone una parola di speranza e di fede; mettere in luce le collaborazioni con i Cappellani Militari, prigionieri essi stessi, ottenendo per loro la possibilità di fare assistenza spirituale nei recinti, riempie di grande ammirazione, fa riflettere e ci serve da esigente monito nelle scelte e missioni del nostro tempo. Una riflessione poi con la sensibilità attuale, porta anche a sottolineare la loro determinazione scevra da timori e tentennamenti di fronte ad una scelta che poteva anche avere conseguenze pericolose per la loro vita, perché le esponeva a forme di rivalsa o aggressioni.

Dopo aver presentato chi sono questi prigionieri, il testo fa un tentativo di ricostruzione su tre piani: quello dello sfondo nazionale tormentato dalla fine della Seconda guerra, quello provinciale che mette a fuoco le condizioni delle due città di Livorno e Pisa e infine l’operato della Chiesa e delle Suore Salesiane nel Campo 337 di Coltano. Tutto l’excursus, che mostra al lettore la sintesi panoramica di un periodo compreso tra il 1943 e il 1945, è attraversato dalle descrizioni tratte dalle Cronache del tempo, scritte in bella grafia, dalle suore degli Istituti di Livorno e Pisa dalle cui pagine emerge tutto il vissuto intessuto di sacrifici immani, servizio alla popolazione, dedizione totale anche in condizioni proibitive e di estrema povertà.

Nella prefazione al testo, Mons. Giovanni Paolo Benotto, arcivescovo di Pisa, così sottolinea:

“Suor Maria Stella Calicchia con il suo libro 1945: le Figlie di Maria Ausiliatrice “angeli” di Coltano ci dimostra che il Bene può sempre vincere il male e che anche le tenebre più fitte possono essere rischiarate dalla luce dell’amore autentico”.

In un contesto come quello del Campo di prigionia, non si immagina che gli uomini possano pensare a iniziative spirituali, eppure proprio in quel contesto sboccia e prende corpo una sottoscrizione votiva per la costruzione di una cappella da dedicare alla Madonna del Buon Ritorno. Il testo, con numerosi inediti, presenta questo e altri particolari storici che meritano di essere portati alla luce.

Nel contesto attuale, questo testo, rileggendo la nostra storia italiana, offre un messaggio molto significativo e importante, un messaggio pacificatore e di superamento delle divisioni, perché quando la sofferenza dell’uno incontra la sofferenza dell’altro nascono il perdono e la pace.

Maria Stella Calicchia fma

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