Recensione a cura di Laura Pitzalis
“La mia creatura” di Silena Santoni, Giunti editore, è un romanzo ispirato alla vita mai abbastanza raccontata e mai abbastanza conosciuta di Mary Shelly. Attenzione, però, non è assolutamente una biografia né una biografia romanzata, è proprio un libro di fantasia come di invenzione è il fulcro centrale e portante del romanzo intorno alla quale gira tutta la narrazione e dalla quale si definiscono una serie di eventi, che per ovvie ragioni non svelo.
Ma andiamo con ordine, partendo proprio dall’immagine di copertina, anzi dalle due immagini di copertina che sembrano essere scollegate l’una dall’altra ma non lo sono. E partiamo da quella del quarto di copertina che rappresenta Villa Diodati, bellissima villa che sorge sulle rive del lago di Ginevra. Siamo nell’agosto del 1816, in quello che fu chiamato “l’anno senza estate” perché in seguito all’esplosione di un vulcano nell’oceano Pacifico si ebbero condizioni climatiche estreme che portarono a un abbassamento delle temperature. Qui soggiornano Lord Byron con alcuni suoi amici, oltre Mary, Percy Bysshe Shelley poeta, John William Polidori medico e amico personale di Byron.
Giovanissimi, tra i diciotto e i vent’anni, sono poeti, scrittori, che vivono nei primi decenni del 1800 una vita totalmente anticonformista e al di fuori delle convenzioni sociali. Sono quelli che più tardi verranno chiamati “poeti maledetti”, praticano l’amore libero, sono contrari al matrimonio, ad ogni vincolo duraturo, fanno uso di droghe e di alcool. Sono dei geni però, ai quali dobbiamo grandi opere.
Questo cenacolo di giovani intellettuali si riunisce nelle giornate di pioggia davanti al fuoco e parlano di fantasmi, di spettri, di cimiteri, era l’epoca in cui andava in auge il romanzo gotico, fino a quando Lord Byron lancia una sfida: scrivere un racconto dell’orrore. È qui che Mary Shelly appena diciannovenne concepisce il suo capolavoro, quello che viene unanimemente considerato il primo horror gotico di fantascienza, “Frankenstein”, la storia, come tutti sanno, di una creatura mostruosa nata dall’assemblaggio di parti di cadaveri che, per un esperimento folle del dottor Frankenstein, in una notte di tempesta, prende vita attraverso l’elettricità del fulmine. Il fulmine che troviamo nell’immagine della copertina principale sul medaglione appeso al collo di una donna che richiama, anche se non è il ritratto, Mary Shelley. Tra le mani tiene quello che resta di un cuore, il cuore del marito morto in un naufragio e il cui corpo viene ritrovato sul litorale viareggino e poi cremato, con una cerimonia pagana, sulla spiaggia. Ma il cuore, secondo una credenza, resiste e viene dato a Mary e poi sepolto, così pare, insieme a lei quando molti anni più tardi morirà.
“16 agosto 1822. Viareggio
Dalla mia camera si vede la spiaggia […] su cui è stata eretta una catasta di legna. Riconosco le sagome scure degli amici più stretti che sostano intorno in raccoglimento: Byron, il poeta. Hunt, il giornalista. Trelawny, il marinaio […] Vedo la torcia incendiare la pira, innalzarsi il fumo denso, forse sento il crepitio dei rami che ardono.
Su quella catasta stanno cremando quello che resta del tuo corpo, Percy Bysshe Shelley.”
Ecco le due copertine sintetizzano la storia de “La mia creatura”.
Quello che la Santoni racconta è solo un breve periodo della vita di Mary, dalla nascita fino a quando rimane vedova all’età di ventiquattro anni, ma estremamente concentrato e importante. Prende spunto dalla sua vita per poi staccarsene mescolando fantasia e realtà, attribuendo a Mary comportamenti, situazioni di vita che non ci sono mai state.
C’è tanto carattere, sensibilità, temperamento nella Mary Shelley della Santoni, protagonista e “io narrante” del romanzo. Una ragazza che fin da piccola vive lutti perché sua madre muore subito dopo il parto, perché perde quattro dei cinque figli che concepisce in sette anni, perché rimane vedova a ventiquattro.
È inizialmente una donna non succube del marito ma che ne subisce fortemente l’influenza sì, fino ad accettarne la subordinazione ma che poi nel corso della vicenda riesce a liberarsi, a trovare una propria dimensione, una propria dignità. L’input l’avrà dalla governante fiorentina, Bice Benci, personaggio di fantasia straordinario che compare in poche pagine del romanzo ma che “colpisce” subito per il modo di proporsi , alta, robusta, bionda come una vichinga, la voce squillante.
“In quel ’autunno fiorentino Bice Benci entrò nel a mia vita come un caldo vento d’estate. Possedeva i pregi di quel popolo complicato, ma ne aveva evitato i difetti. Era fiera senza arroganza, schietta senza malevolenza […] Bice era l’unica persona capace di farmi ridere […] Era l’individuo più libero che avessi mai conosciuto. […] ”
Sa a stento leggere e scrivere ma possiede una saggezza antica e sa scrutare in fondo all’ anima. È grazie a lei che Mary, fino ad allora giovane donna rassegnata di fronte ai tradimenti del marito, che sta in casa ad allattare, così rinunciataria alla vita, per la prima volta prende coscienza di sé stessa, si libera dall’ascendente di Percy e trova un senso alla sua esistenza.
Mary non è l’unica voce narrante del romanzo, l’autrice ne inserisce un’altra tra un capitolo e l’altro: è quella di Halle. Insieme al marito Pierre, entrambi personaggi di fantasia, sono molto importanti nell’evoluzione della trama, anche se all’inizio possono sembrarne completamente avulsi.
Sono una copia di albergatori, due persone semplici che vengono dalla montagna, che con tanto lavoro e tanta fatica hanno messo su un albergo abbastanza lussuoso sul lago di Ginevra, proprio alla riva opposta ma di fronte alla Villa Diodato. La loro storia e quella di Mary corrono parallele fino a che non s’intersecano con un colpo di scena che non è altro che la trovata narrativa del romanzo, il fulcro, di cui ho parlato prima, sul quale ruota tutta la vicenda.
Da globe trotter on the road seriale quale sono non potevo non apprezzare le parti del romanzo dedicate ai viaggi degli Shelley, grandi viaggiatori. Ricordiamo che siamo agli inizi del 1800 e la nobiltà europea dell’epoca aveva la tradizione del Gran Tour, viaggio che durava anni, e naturalmente, per l’Europa meridionale, l’Italia era la tappa previlegiata. E gli Shelley, anche se il loro viaggiare non si può rapportare ad un vero e proprio Gran Tour, ci accompagnano in questo viaggio pazzesco che dall’Inghilterra ci porta in Francia, in Svizzera e poi in Italia, che girano tutta: Milano, lago di Como, Venezia, Napoli, Roma, Firenze, Pisa, Viareggio.
“Venezia è bellissima con i suoi merletti di marmo che si specchiano nella laguna, ma puzza di morte …”
“ … Golfo di Napoli, immobile come in un dipinto, con le barche sospese sull’ acqua trasparente, le isole di Capri, di Ischia e di Procida in lontananza e, su tutto, la sagoma imponente del vulcano.”
“Chi non ha visto Roma porta dentro di sé un vuoto che non potrà colmare. Roma è sublime”.
“Firenze insieme a Shelley. La città con le sue bellezze era un richiamo troppo forte per restare chiusa in casa […] avevo sostato ammirata davanti alle chiese e ai palazzi, mi ero affacciata dalla spalletta per guardare l’Arno scorrere impetuoso sotto i ponti.”
Nel libro si tocca anche la genesi del personaggio del mostro. È una storia quella di Frankenstein che soprattutto oggi che si parla di intelligenza artificiale, di eugenetica è di una attualità sorprendente. È una storia che richiama a tanti temi del presente e prima di tutto al rapporto tra la scienza e l’etica.
Silena Santoni raccontandoci di Mary non ha voluto seguire la tendenza della figura femminile offesa e ferita ma ha riproposto il coraggio e la bravura di una grande scrittriceche con il suo “Frankenstein” ci parla oggi più che mai della ricerca, a volte discutibile, dell’essere umano di oltrepassare le forze della natura e le sue leggi per sconfiggere la morte e conquistare l’immortalità: il dottor Frankenstein crea un mostro e quando si accorge di aver creato un essere mostruoso l’abbandona al suo destino. Chi è il vero mostro il creatore o la creatura? La creatura nasce buona, diventa “mostro” perché. in quanto diversa, diventa vittima dei pregiudizi e si vendica perpetrando delitti orribili. Una creatura, una creatura assetata d’amore, molto diversa dall’immagine che ci ha trasmesso il cinema e che ora il libro di Santoni spinge a riscoprire.
In realtà poi si capisce nel romanzo che l’immortalità non si può conquistare, che questi esperimenti sono folli e possono generare solo mostri. La vera immortalità nasce dalla capacità di lasciare un ricordo indelebile di ciò che si è fatto:
“ … quando hanno desistito dal cercarlo, quando hanno smesso anche di ricordarlo, allora sono arrivata io e l’ho reso eterno. Non con gli elettrodi, con un romanzo, con questa mia creatura che nessuno potrà più togliermi. Solo io, lettore, ci sono riuscita, perché ho compreso che questa è l’unica forma di immortalità concessa a noi umani. Forse, fra cento, duecento anni qualcuno parlerà ancora di me, dirà: “Oh sì, Mary Shelley, l’autrice di Frankenstein, la creatrice del mostro!”
PRO
Un romanzo che prende, molto liberamente, le mosse dalla vita di Mary Shelly per poi sviluppare una trama propria, dando a questa scrittrice così particolare e interessante una fisionomia un po’ diversa, diciamo di donna più dei nostri tempi che di due secoli fa.
Il romanzo gotico, ma anche storico perché il racconto di un’epoca lontana dettagliato fin nel particolare, risulta perfettamente coerente e al tempo stesso ben comprensibile e accessibile al lettore.
CONTRO
.. che poi dopo 288 pagine finisce.
SINOSSI
Da sempre, Mary inabissa il suo straordinario talento di scrittrice sotto il peso dei fantasmi e delle colpe. È solo l’amore folle per Percy Shelley che la tiene in vita: per quell’uomo anticonformista e geniale, romantico e crudele, Mary è disposta a tutto. Anche a perdere sé stessa. Pierre è un montanaro pacifico e curioso che gestisce con la moglie una locanda sulla riva del Lago di Ginevra. Quando vede sopraggiungere a Villa Diodati l’eccentrico poeta Lord Byron con i suoi ospiti, ne è stregato. Inizia a spiarli: Percy Shelley, Claire Clairmont, Polidori si lasciano andare alle più depravate sregolatezze mentre ai margini, come estranea agli eventi, Mary li osserva. È il 1816, “l’anno senza estate”, e a Villa Diodati sta per consumarsi una vicenda oscura che, fra crimini e inquietanti ossessioni, porterà Mary a concepire la sua creatura: un mostro spietato che, nel metterla di fronte agli incubi più cupi, le darà finalmente anche la forza di liberarsene. Per diventare immortale. Un romanzo gotico ispirato alla vita di Mary Shelley che intreccia verità e finzione in un’emozionante storia di rivalsa femminile. Un’eroina tormentata, magnetica, indimenticabile.