Personaggi Storici Viaggio nella storia

La vita di Girolamo Savonarola

Le origini

Girolamo Savonarola fu un Frate domenicano (Ferrara 1452 – Firenze 1498), di famiglia originaria di Padova, figlio di Niccolò Savonarola e di Elena Bonaccorsi.
Fu educato fin dalla sua prima giovinezza dal nonno Michele, un medico dai rigidi principî religiosi e morali. La vocazione religiosa, già manifesta nelle canzoni De ruina mundi (1472) e De ruina Ecclesiae (1475), lo indusse a lasciare la casa paterna e a interrompere gli studî di medicina, per entrare nell’ordine dei domenicani (1475) nel convento di S. Domenico a Bologna. Compiuti poi i suoi studî teologici a Ferrara, fu trasferito (1482) a S. Marco a Firenze come lettore; a San Gimignano tra il 1485 e il 1486 formulò con la predicazione, appassionata e nutrita dalle profezie bibliche che egli applicava alla situazione presente, la tesi secondo cui la Chiesa doveva essere castigata, poi rinnovata, e che ciò era imminente.

Allontanatosi da Firenze (1487) per recarsi a Ferrara, poi a Brescia, a Genova e ancora a Brescia, ritornò a Firenze (1490) richiamatovi per l’insistenza di G. Pico della Mirandola presso Lorenzo de’ Medici. Qui, ispirandosi all’Apocalisse e ai libri profetici, denunciò nella sua predicazione i vizi del suo tempo e gli abusi di un governo ritenuto tirannico e annunciò la venuta del novello Ciro, che sarebbe sceso d’oltralpe a compiere la vendetta divina.

Dal 1491 era priore del convento di S. Marco. Mentre è leggenda il fatto che ponesse le condizioni (fra cui la restituzione della libertà alla repubblica) per confessare Lorenzo morente, certo è che il programma di restaurazione, nel suo convento, della severità della regola, che l’indusse a staccarsi dalla congregazione lombarda e a unire a S. Marco i conventi di Fiesole, Prato e Pisa aderiva al programma mediceo di consolidamento regionale. Quell’espansionismo monastico, pur dettato da esigenze religiose e non politiche, creò malumori nell’ordine suo e anche tra i potentati italiani. 

Il falò delle vanità

Dopo la morte di Lorenzo de Medici, Savonarola, ormai in un contesto di vuoto di potere, cominciò a lanciare le sue infiammate prediche dal pulpito del duomo di Firenze, censendo la profana arte fiorentina e, nel contempo, denigrando l’aspetto troppo mondano della Chiesa. Il 7 di febbraio Girolamo Savonarola compì il suo primo gesto esemplare con Il falò delle Vanità  presso Piazza della Signoria a Firenze. Vennero date alle fiamme cose peccaminose, libri, gioielli, vestiti, sculture, pitture, strumenti musicali, canzoni profane, specchi, cosmetici. Le intenzioni del Savonarola erano quelle di arrestare la corruzione imperante a Firenze, ma i modi non erano certamente quelli di un paladino delle libertà.

Savonarola non solo predicava contro i lussi – “Tu vorresti roba: vivi secondo Dio e parcamente e non volere le pompe, e le vanità, ed a questo modo, risparmierai ed avrai più roba” (dalle Prediche italiane ai Fiorentini) – e le mondanità del tempo, ma imponeva anche alla città una moralità estremamente stretta che gli derivava dalla sua peculiare interpretazione del cristianesimo.

Savonarola e Alessandro VI

Quando l’intervento dei francesi (1494) consentì ai fiorentini di espellere i Medici dalla città e istituire la repubblica, Savonarola, che ebbe anche incarichi politici (un’ambasceria a Carlo VIII), adattò la sua predicazione profetica alla nuova realtà politica, propugnando la creazione a Firenze di un centro di rigenerazione morale e religiosa che avrebbe dovuto irradiare per tutto il mondo cristiano. Savonarola ebbe una funzione quasi dittatoriale di determinazione della nuova struttura della città, e interpretò l’intervento francese come realizzazione della vendetta e della punizione divina che aveva profetato.

Alle riforme in direzione di democrazia e giustizia sociale si unì la forte propaganda morale del partito del frate, i piagnoni, che contrapposero la nuova realtà fiorentina alla corruzione della Roma papale. Il conflitto con papa Alessandro VI, che stava organizzando alleanze in funzione antifrancese, divise i fiorentini. Savonarola ignorò una convocazione a Roma, che lo chiamava a dar conto delle supposte rivelazioni divine, e il papa, sollecitato dal partito che a Firenze si opponeva al frate, iniziò un’inchiesta e lo sospese (1496) dall’ufficio di predicatore fino alla conclusione del processo. All’inizio Savonarola parve accettare la condizione di non toccare temi politici durante il processo (in effetti, una condizione impossibile da soddisfare); Alessandro VI alla fine lo scomunicò (1497), ma Savonarola negò ogni validità al provvedimento. La sua intransigenza gli alienava sempre più le simpatie dei cittadini, finché venne arrestato, dopo che un assalto al convento e contrasti con i frati francescani ebbero evidenziato il suo isolamento. Venne giudicato e condannato per eresia e scisma, e bruciato sul rogo, dopo l’impiccagione, con due confratelli, il 23 maggio del 1498.

Il rogo

Gli ultimi drammatici momenti di Girolamo Savonarola, ascetico profeta di un rinnovamento nei costumi corrotti della Chiesa e di una riforma nelle istituzioni civili della città. Il conflitto aperto con il clero mise fine alla sua vita e alla sua visione utopistica della realizzazione terrena di un’umanità “perfettamente cristiana” Alle nove del mattino frate Girolamo Savonarola e i due confratelli che ne condividevano la sorte avevano già ascoltato la messa e si erano anche comunicati. Insomma erano pronti per morire. Sulla soglia di Palazzo Vecchio un confratello strappò loro l’abito: quella sorta di degradazione fu il primo atto dell’atroce cerimoniale. Scomunicato dal papa e giudicato da un tribunale che aveva già deciso la sua morte, frate Girolamo guardò la folla che riempiva la piazza, poi percorse la passerella che dall’angolo del palazzo portava al patibolo. Un vescovo si parò davanti ai tre condannati per un’ulteriore degradazione, ma quando ebbe di fronte frate Girolamo sbagliò la formula e disse: “Io ti separo dalla Chiesa militante e trionfante”. Savonarola lo corresse: “Solo dalla militante: l’altro non sta a te”. Il vescovo dovette ripetere la formula.

Ormai frate Girolamo non era che un rifiuto umano da consegnare al carnefice e il magistrato lesse ad alta voce la sentenza di condanna dei tre frati, “intesi ed esaminati i loro turpissimi delitti”. Ai piedi della forca i tre recitarono il credo e si lasciarono mettere il cappio al collo: furono impiccati per primi i due compagni, Savonarola fu terzo. Fu soltanto dopo l’impiccagione, quando i tre corpi penzolarono inerti, che i carnefici accesero il rogo. Forse a causa del gran calore, o forse in un ultimo spasimo dell’agonia, parve che il braccio di frate Girolamo si levasse quasi a benedire, ma una fitta gragnuola di sassi, dicono, investì il corpo. Il braccio si riabbassò.

Prima di sera ciò che restava dei tre corpi fu gettato nelle acque dell’Arno perché nessuno ne conservasse la minima reliquia. Così passò a Firenze il 23 maggio 1498, vigilia della Ascensione.

Fonti

www.rinascimento.it

www.wikipedia.it

Che ne pensi di questo articolo?

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.