Recensione a cura di Valeria Lorusso
Romanzo d’esordio di Marta Lamalfa, “L’isola dove volano le femmine”, edito da Neri Pozza, si basa su un avvenimento storico sconosciuto ai più, ossia l’allucinazione collettiva che colpì gli abitanti dell’isola Alicudi nel 1903, causata dall’infestazione della segale da parte di un fungo parassita chiamato ergot che liberava l’acido lisergico presente nell’LSD e che ha effetti psichedelici sull’uomo.
Gli abitanti dell’isola vivevano al limite della sussistenza, la fame era una costante delle loro vite e mangiavano il pane nero fatto con la segale infestata. Erano convinti di vedere le majare, ossia le streghe che volavano o gli spiriti dei defunti.
<<Che sono le majare?>> chiede Rosina.
<<Le majare>> risponde Palma la catananna sotto lo sguardo ruvido di Palmira <<sono delle donne uguale a noi, solo che c’hanno dei poteri>>.
<<Quali?>> continua Rosina.
<<Prima di tutto, volano>>e si avvicina alla nipote con l’occhio buono
Protagonista del romanzo è la famiglia Virgona, conosciuta come gli Iatti, gente che vive di stenti, lavora la terra a mezzadria e fatica sui campi per un raccolto di cui ha diritto solo per una parte.
Il romanzo si apre con il funerale di Maria, sorella gemella di Caterina e figlia di Onofrio e Palmira. Maria è morta a causa della sifilide, sono tutti convinti che sia colpa di Ferdinando, un giovane che sconta la sua pena nel castello di Lipari e avevano visto mano nella mano con la ragazza pochi giorni prima della comparsa della malattia. La madre non si dà pace:
“M’ha ucciso la figlia quel disgraziato. Me l’ha disonorata e poi me l’ha uccisa, Che disgrazia che mi doveva capitare. Ma io l’ammazzo, quanto è vero Iddio. L’ammazzo con queste mani mie se si ripresenta, Si pensava che mia figlia una donnaccia qualsiasi era. Oddio non ci voglio pensare, poveri noi” e alza le mani al cielo.
<<E tu niente sapevi? Vi raccontavate tutte cose>>.
Palmira si gira verso Caterina”
Caterina aveva giurato che non avrebbe raccontato nulla di Maria e Ferdinando alla famiglia perchè non avrebbero capito. Ferdinando non è un delinquente, ma solo un ragazzo pervaso dagli ideali rivoluzionari, un sognatore che protesta per i privilegi delle classi più abbienti. Era innamorato di Maria, ma non l’aveva mai toccata e alla fine con il suo eloquio riuscirà a farsi ascoltare da Onofrio e a convincerlo sulla necessità della rivoluzione.
“Ogni volta che poi Ferdinando ritornava ad Alicudi, con molti giorni di ritardo, si piegava in mille inchini e gli diceva parole gentili. E quando quello andava via con una nuova scusa diceva sempre:
<<Questo signore è! Ha una testa che re dovrebbero farlo!>>
Poi girava tutto sorridente e col petto in avanti e fischiettava ogni volta che andava in campagna.
<<Come vi alliscia il pelo lui…>> gli rispondeva sempre Palmira”
L’isola dove volano le femmine è anche la storia di Caterina che da sola, senza l’aiuto della madre affronterà il passaggio da bambina a donna. Quel suo pensare alle donne che volano rappresenta un anelito di libertà, la speranza di poter vedere Lipari o Palermo, di allontanarsi dall’isola claustrofobica per trovare se stessa e la propria identità.
Il volare visto anche come l’affrancarsi dalla povertà e dai campi, la speranza di poter superare le barriere sociali e poter aspirare a un futuro migliore.
Ma questo romanzo è anche la storia di chi sogna di poter ritrovare il vecchio amore allontanandosi da un matrimonio combinato e privo di qualsiasi forma d’affetto.
Buona la caratterizzazione dei personaggi principali e secondari tutti credibili e ascrivibili al periodo in cui è ambientata la storia. Mi ha molto intenerita Nardino per il quale speravo un futuro migliore.
La lingua, uno dei punti cardine della narrazione, all’inizio non rende facile addentrarsi nelle vicende, poi proseguendo la lettura ci si abitua al linguaggio e ci si immerge nel racconto. Lo stile elegante, capace di incantare con le parole ricrea l’immaginario sud del secolo scorso. Storia e immaginazione s’intrecciano grazie alla scrittura di un’autrice decisamente promettente.
Marta Lamalfa ha costruito un romanzo dalla storia interessante, ben equilibrata in tutte le componenti narrative e con dei personaggi che non si dimenticano.
PRO
Scrittura sopraffina e storia originale.
CONTRO
Più che romanzo storico nel senso classico del termine propenderei per storia familiare in ambientazione storica.
Trama
Alicudi, 1903. Caterina guarda il corpo gelido e duro come una crosta di pane di Maria, la sua gemella, e pensa che ora la vita cambierà per sempre. Era Maria a scegliere per lei i pensieri giusti da pensare, e adesso chi lo farà al suo posto? Se l’è portata via un male cattivo e tutti in famiglia – dalla bisnonna che non ci vede più bene ma capisce tutto, a Palmira, la madre che ha per la quarta volta un bambino in pancia ma ha perso la testa per il dolore – pensano sia colpa di Ferdinando, che sconta una pena al Castello di Lipari, e vuole fare la rivoluzione. Ora che Maria non c’è più, anche se la stanza di Caterina si è allargata, la vita è diventata molto più stretta: lavora nei campi di don Nino fino al tramonto, consegna le acciughe sotto sale e aiuta la mamma con le fatiche di casa, aspettando il suo giorno preferito, quello in cui tutti si riuniscono per impastare il pane. Da qualche tempo, però, alle spighe di segale dell’isola sono spuntati dei piccoli corni neri come il carbone, tizzonare le chiamano. All’inizio non s’erano fidati a mangiare quel pane aspro, ma ora non c’è altro, così anche Caterina butta giù quei morsi duri che hanno l’odore della morte. Forse però in quei bocconi grami c’è la chiave per scappare da un presente sempre più solitario e amaro, e raggiungere le majare, le streghe che vivono sull’isola e si librano in cielo, libere nell’ala scura della notte. Caterina non lo sa, ma non è l’unica a vedere cose che poi sfumano nella nebbia. Per lei, come per tutti i settecentotredici arcudari, verrà il momento di scegliere tra la realtà e il sogno.