ATTENZIONE! LA VOTAZIONE È ANNULLATA PER PROBLEMI TECNICI CHE NON STANNO CONSENTENDO A TUTTI DI VOTARE REGOLARMENTE. MI SPIACE PER LE AUTRICI CHE SI SONO SPESE PER QUESTO GIOCO.
Complimenti per il percorso fatto fino a questo punto!
Una finalissima tutta al femminile quella che parte oggi sulle pagine di TSD per decretare l’autrice più amata dai nostri lettori!
Abbiamo messo in sfida le tre vincitrici del torneo autunnale, invernale e primaverile che ci racconteranno un personaggio appartenente a un loro romanzo storico, in modo molto particolare!
Leggete le tre presentazioni e votate in fondo alla pagina quella che preferite!
marina colacchi simone e giovanna di castiglia
Soliloquio di una grande regina
Tordesillas, 12 aprile 1555, Venerdì Santo
Eccomi. Sono Giovanna di Castiglia, la “Locha”, la “Pazza”. Pazza per il volere di Ferdinando d’Aragona, mio padre, e Filippo d’Asburgo, detto il “Bello”, lo sposo adorato, desiderato e venerato per tutta la vita. Entrambi vedevano in me solo un trono da conquistare, quello di Spagna. Ho trascorso buona parte della mia esistenza nel tetro palazzo Villamarin a Tordesillas affinché la mia coraggiosa voce non si levasse oltre quelle mura e mi rendesse la vera erede della grande Isabella, mia madre. Ed ora che sento l’afflato della vita lasciarmi ho accanto a me solo un ascetico gesuita che tenta di farmi traversare i confini dell’Ade con tutti i sacramenti. Ma io adoravo Erasmo da Rotterdam, leggevo i classici di impronta riformista, mi appassionavo alle tesi di Lutero, soprattutto rifiutavo di confessarmi davanti ad un prete. Ma cosa avrei dovuto confessare ? D’esser stata prigioniera quasi mezzo secolo, di aver subito l’allontanamento dei miei figli Carlo, Isabella, Maria e Eleonora rimasti nelle Fiandre in mano agli Asburgo, e di Ferdinando cresciuto a due passi da me e mai potuto abbracciare. Solo Catalina, l’ultimo fiore sbocciato dal mio amore con Filippo, ha lenito il dolore della mia lunga prigionia. Ed ora che sto lasciando questa amara vita consentitemi di essere fiera dell’epiteto che mi è stato dato dalla Storia. Sì, sono Giovanna di Castiglia, sono la Pazza.
Michela rivetti e lucrezia bebbi
“Lucrezia”, ch’ardito nome, oh padre,
voluto hai darmi. È forse pel destino
meco aspro, da Morfeo a mia madre
profetizzato, che quale mastino
un dì avrà il core mio sbranato,
stabilisti che d’infelice fiera
romana il nome avrei portato?
Così voi mi desiate, ben so: altera,
dotta, amabile, ricolma d’onore.
Una gemma rara, per la famiglia
ornamento, d’invidioso stupore
suscitante: così son degna figlia.
Ogni dì, all’aprir degl’occhi, sento
il carico gravoso d’eccellenza,
paura mai mi lascia un momento:
sempre di macchie la fama mia senza
esser deve, errar non m’è concesso.
Sempre sagace, ogni dì gioiosa,
sempre erudita, ogni dì il successo
ghermendo, perfetta senza posa.
Fragilità? Bandita sia ogni traccia!
Giammai esitante, giammai affranta,
giammai tediosa, giammai rossa in faccia.
Virtù nel cuore sorge e m’ammanta.
Moglie volete sia d’un gran Signore,
che potente novo alleato vi sia;
saprà rispettar, tributar onore
alla coscienza ed all’indole mia?
“Con astuzia, sapere e fierezza
consiglia e proteggi tuo marito”,
voi mi dite; ma ne sarò all’altezza?
M’indicate qual virgulto fiorito,
ma nel giusto siete oppur nel torto?
Chiusa nel palagio, con la poesia
mi diletto e di lodi mi conforto;
discerno sincerità da ipocrisia?
Tremar mi fa il crudele pensiero
di non valere quanto mi adulate,
di non sopportar l’avvenir nero,
quando le certezze saran crollate.
Lotte e sangue, ferino furore:
la faida sacra tutti trascina!
Vittima o carnefice per l’onore
sarò: viva o muoia, ormai s’inchina
a me quell’agognata giusta gloria.
Fratelli, a questo io forte anelo:
di nostro valor resti memoria.
Pei grand’uomini, sempre vuole il Cielo
insidie grandi e grandi tormenti.
Fatiche, dolor non ci smarriranno:
saldi qual rupe sferzata da venti
gli animi nostri sempre resteranno.
Che la vittoria c’arrida e ci innalzi,
che sconfitta ci trascini in rovina,
mai viltà l’onore dal cor scalzi:
fia la virtù nostra fama divina.
roberta mezzabarba e giulia farnese
Cari gentili lettori, sono Giulia Farnese, La Bella, la Sponsa Christi, la Venere papale, sono nata nel 1475 a Capodimonte (VT) ultima di 4 figli, in seno a un nobile casato che, puntando tutto su me e mio fratello Alessandro, è riuscita ad ascendere al potere, quello vero.
Dopo un’infanzia spensierata ad appena 14 anni mi sono trovata maritata a Orsino Orsini e contemporaneamente amante del Cardinal Rodrigo Borgia, per favorire la carriera ecclesiastica di mio fratello Alessandro.
Non avrebbero potuto essere due persone più differenti: Orsino, giovanissimo e insicuro, Rodrigo uomo maturo, navigato ammaliatore che dominò senza sforzo alcuno la volontà di Orsino. Dopo pochi giorni dalle nozze mi trasferii a Roma, dove le stanze di Rodrigo divennero la mia casa e il suo letto l’alcova dove mi prese bambina e mi fece donna, mentre lui svestiva i panni di Cardinale per divenire Papa Alessandro VI. Quando poi le sue attenzioni morbose furono assorbite dagli affari di Stato, per la prima volta nella mia vita, ho potuto scegliere e tornare da Orsino, con nostra figlia Laura.
La sorte beffarda mi ha reso presto vedova, non prima però che Orsino, contravvenendo a tutte le norme del tempo, mi nominasse erede del feudo di Carbognano (VT): fui così la prima Domina nell’Italia del 1500 in cui le donne erano solo pedine in mano delle loro famiglie.
Ho avuto il coraggio di scegliere non per lasciare un segno, ma per insegnare.
La gioia del mio secondo matrimonio e la stima delle mie fedeli servitrici mi hanno ripagato dei bocconi amari che ho dovuto ingoiare, compresa la damnatio memoriae a cui mio fratello, divenuto Papa, ha sottoposto tutte le mie effigi.
Nell’anno 2024, 5° centenario dalla mia morte, una donna, una scrittora, Roberta Mezzabarba, ha raccontato la mia VERA STORIA: de omnibus dubitandum ma non della parola scritta…
votate!
Esprime grande passione in tutto ciò che la riguarda.