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Figlia di due mondi – Dido Michielsen

Recensione a cura di Matilde Titone

La cosa migliore che possa capitare a una indish è sposare un belanda” diceva sempre la zia Lot.

Ecco voglio iniziare da qui

Indish: indonesiano.   

Belanda: bianco olandese.

Poi ci sono i Totok; europei purosangue, in genere olandesi.

Avvertenza: alla fine del romanzo dopo i ringraziamenti c’è un glossario illuminante sulle terminologie autoctone di cui l’autrice fa largo uso. Forse è faticoso andare continuamente a consultare il piccolo vocabolario ma ho trovato assai piacevole questo linguaggio misto. Come sempre la lingua ha una precisa funzione, quella di rappresentare chi parla, e qui parla una persona di origine giavanese, adottata da olandesi ma mai realmente tale.

Louisa nomina le cose e le persone nel modo in cui le si chiamano effettivamente, ed è bene che quei nomi restino tali, il sutra è un versetto buddista, il tampah è una cesta piatta in bambù intrecciato, il temu lawak è un medicinale a base di curcuma giavanese, terim kasih vuol dire grazie. Solo per questo modo di esprimersi si ha subito la sensazione di trovarsi dentro Giava,  un’isola lontana, dalla natura lussureggiante, dal clima caldo umido, dagli uragani violenti, dove la popolazione è suddivisa in caste, definite però dagli occidentali.

Al primo posto gli Olandesi, occupanti dell’arcipelago fin dal 1602, seguono gli indish indonesiani che hanno sposato una persona olandese, i peranakan, cinesi immigrati in Indonesia o meglio a Giava dopo la fine delle guerre dell’oppio, mercanti in genere ma soggetti a molte restrizioni amministrative, e infine gli indigeni, servi, schiavi, venditori ambulanti, poveri che vivono nei Kampung, baraccopoli locali.

“La soluzione migliore era farti sposare, Louisa, il prima possibile. …Sai che gli indish mettono da parte una grossa dote per trovare un buon partito alle figlie? A te e tua sorella non è andata così. Di voi non gliene fregava niente…..In altre parole, per quanto tu fossi giovane, eri già merce in saldo. Ricordalo la prossima volta che avrai da ridire su di me”

Louisa, protagonista del romanzo, è  indonesiana adottata da una famiglia olandese che vive a Giava. Siamo ai primi anni del ‘900 quando Giava è sotto la dominazione Olandese e per la legislazione dell’epoca l’adozione da parte di una famiglia olandese di un indonesiano comporta l’acquisizione dei diritti degli olandesi, non tutti ma in buona parte. Così come spesso accade Louisa non si sente appartenere realmente a nessuna delle due comunità, non è olandese e questo glielo ricordano spesso sia i suoi genitori adottivi che suo marito, non è indigena, non avrebbe i privilegi che ha e i locali odiano gli indish tanto quanto gli olandesi forse anche di più.

Tra poco riceverò il mio primo “tamburo di lettura”! Non vedo l’ora di leggere qualcosa di diverso dal giornale locale. In più potrò tenermi al passo con gli ultimi romanzi e con la moda europea Sarà una finestra su un mondo diverso, e anche una fuga dalla noia della quotidianità.”

È una vita anonima e banale quella che conduce Louisa, la quale ad un tratto scopre il tamburo di lettura. Si tratta di un abbonamento a quattro libri mensili a fronte di un pagamento di 2,5 fiorini al mese. Di questi libri Louisa condividerà le impressioni con un circolo di amiche e con sua sorella Pauline. Dalle lettere a sua sorella emergono le inquietudini di Louisa, la sua voglia di sapere chi è sua madre, perché non le ha cresciute, perché quella famiglia così poco affettiva le abbia adottate. Tutti, suo marito per primo, le chiedono di accontentarsi di ciò che ha, una famiglia, una vita mediamente agiata, uno status sociale buono, se non eccelso, buono. La sua amica Cato così integrata nella sua parte di indish ricca che ha sposato un olandese ricco e si sente realizzata in quel modo, le ricorda spesso  cosa avrebbe potuto essere la sua vita se non fosse stata adottata. Ha una vita agiata ma tristemente  depauperata  di affetto amore e amicizia.

I libri sono la prima finestra sul mondo che Louisa apre, Yu Leng sarà la donna che le insegnerà a vivere.  Personaggio misterioso e affascinante Yu Leng, una cinese  peranakan, che commercia in batik,  e si serve di un assistente indonesiano di stirpe nobile.  Con lei imparerà l’arte del cavarsela da soli in qualsiasi circostanza e del vivere nel senso pieno la propria vita.  

“È scientificamente provato che noi europei siamo più evoluti degli indigeni orientali.”riprese Hendrik, “Proprio negli ultimi tempi è stato pubblicato uno studio interessante,….Certo non possiamo biasimare queste persone se sono più vicine alle scimmie che a noi. Hanno un disperato bisogno del nostro aiuto. Tutto qui. Perfino i nostri bambini sono più bravi di loro a leggere scrivere e comportarsi civilmente”

Gli olandesi, come del resto è sentimento comune negli imperi colonialisti, si sentono superiori alla popolazione indigena, di religione induista, buddista o islamica.  I loro usi e costumi sono considerati folklore e vengono ritenuti incivili. Giava venne raggiunta dalla Compagnie delle Indie olandesi nel 1602 e da lì ebbe inizio la penetrazione politico-militare dell’Isola e dell’intero arcipelago indonesiano. Intorno al 1920 si è creato il movimento rivoluzionario dell’Indonesia, ma l’indipendenza venne ottenuta solo nel 1949.

La narrazione ci propone la storia di  due lotte per l’ indipendenza, quella di Louisa come donna, che si scoprirà capace realizzare progetti suoi e vivere una vita piena, lavorando e facendo ciò che le piace, riscoprendo la sua radice indonesiana e non avendone più paura. L’altra indipendenza è quella dell’Indonesia che arriverà, dopo lunghe lotte e perfino una colonizzazione giapponese, fintamente liberatrice, solo nel 1949, quando un popolo sfruttato e sottomesso a casa propria troverà finalmente la sua liberazione dagli occidentali “superiori” e potrà affermare le proprie tradizioni, culture e religioni.

Pro

La storia è interessante e affascinante per i temi proposti, la donna indish e la sua condizione sociale sotto le dominazioni occidentali; e ancora, la storia di un mondo molto lontano da noi, non credo conosciuta dai più, che mostra il periodo coloniale e le sue contraddizioni. Il libro mi sembra metta bene in evidenza quanto stupido sia pensare ad una presunta superiorità occidentale, così come stupida è la pretesa di un mondo dominato dagli uomini di comprimere le donne che invece troveranno sempre la loro strada in qualsiasi condizione.

Contro

Mi spiace sempre mettere i contro ma non mi sentirei in pace con me stessa se non dicessi ciò che, perlomeno a me, non è piaciuto. Il libro tratta temi alti ma non è un grande libro, la storia non è narrata con maestria, a tratti perde il filo, e soprattutto il registro linguistico non è eccelso. Ci sono frasi che si usano nel linguaggio moderno giovanile, o moderno gergale e dialettale, es: mettere le pezze al culo e tante altre simili, come sempre non so se è la traduzione ma credo che essa rispetti il testo e quindi è probabile che sia l’autrice a utilizzare questo linguaggio.  Forse serve a dare un tono leggero, non saprei ma non mi piace.

Inviterei comunque a leggere il romanzo, è molto molto interessante per la storia dell’Indonesia, i suoi usi, le tradizioni, il popolo e la cultura orientale. Come è interessante la storia di Louisa, donna di grande sensibilità e intelletto

Trama

Isola di Giava, 1901. Louisa non si è mai sentita a casa. Non presso la famiglia olandese che l’ha adottata subito dopo la nascita, educandola come un’europea per nascondere le sue origini giavanesi e dandola infine in sposa giovanissima a un uomo che lei non ama. E nemmeno tra i giavanesi, che la considerano alla stregua degli altri bianchi colonizzatori, se non peggio. Ma qualcosa cambia quando Louisa conosce Yoe Lang, un’intraprendente sarta cinese che sopporta a testa alta le discriminazioni degli europei, difendendo con orgoglio la sua cultura. È lei a incoraggiare Louisa a ritrovare se stessa, insegnandole a lavorare i batik, tessuti dipinti a mano con motivi tradizionali dell’isola. Eppure, persino nella quiete del laboratorio, tra stoffe e colori sgargianti, Louisa si sente come unakinnari, le creature mezze donne e mezze uccello della mitologia giavanese, che non appartengono né alla terra né al cielo. Forse, per Louisa, l’unico modo di riconnettersi con le proprie radici è rintracciare quella madre che non ha mai conosciuto e di cui nessuno sembra voler parlare. Anche a costo di riportare alla luce vecchi scandali e riaprire ferite mai rimarginate…

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