Recensione a cura di Serena Colombo
Il Ventennio fascista, l’Ovra, un dattoliscritto misterioso, un commissario e un responsabile editoriale morti in circostanze tutte da verificare.
Sono questi gli elementi di base di un giallo, il primo di questo scrittore – che è stato anche vicepresidente della Mondadori Libri, ma anche editorialista del Corriere della sera – che confeziona un libro godibile, leggero, agile, che tiene compagnia per le due ore che richiede la sua lettura (essendo poco più di 120 pagine).
Eppure, leggerezza non vuole dire vacuità, tutt’altro.
Sebbene breve, Ferrari ha l’abilità di ricostruire uno spaccato storico – gli anni ’30 del Novecento italiano – attraverso dei personaggi perfettamente cesellati che rappresentano due facce di una medaglia, del fascismo, dell’antifascismo; dell’Ovra e dell’editoria. Il bello è proprio questo puntare la luce su un sentiero poco battuto quando si parla di fascismo: il rapporto con l’editoria, mettendo in relazione il mondo di chi i libri li “faceva”, con quello di chi li censurava. E mettendo in luce quanto il fascismo aveva perfetta cognizione (e controllo) non solo delle notizie, ma anche dei libri.
«Abbiamo qualcuno là dentro?»
«Certamente, come in tutte le aziende importanti, soprattutto quelle sensibili come i giornali e le case editrici.»
«E sarebbe?»
«Abbiamo diversi informatori occasionali, pagati di volta in volta. Poi abbiamo un fiduciario, una specie di capoazienda, questo a stipendio fisso.»
Allo stesso tempo, però, della censura si evidenzia, con sottile ironia, la miopia, i limiti e l’ignoranza di non comprendere che i libri vanno anche letti tra le righe
La censura […] Quelli sono dei bifolchi, non capiscono l’importanza dei libri, e neanche il loro senso, stanno lì a vedere se ci sono dei suicidi, degli aborti o se l’autore è ebreo. Lasciamo perdere. Noi invece dobbiamo badare alla sostanza, sapere quel che bolle in pentola prima di trovarci le pietanze scodellate davanti.
L’indagine che un funzionario asservito al Fascismo, impettito nei suoi abiti buoni, con le scarpe tirate a lucido conduce su un suo sottoposto trovato morto in una casa non ammobiliata, farà scoprire un intrigo misterioso nascosto dietro alla sparizione di un dattiloscritto tanto prezioso dall’aver causato la morte del responsabile editoriale di una nota e importante casa editrice.
Ne viene fuori, grazie soprattutto al taglio ironico che veste tutte le pagine, un libro capace di allietare il lettore, ma anche di farlo entrare in alcuni aspetti del fascismo italiano intrecciato indissolubilmente con gli intrighi e ei delitti che hanno caratterizzato quel periodo.
Il tutto con personaggi apparentemente fuori dagli schemi – a cominciare proprio dal commissario morto, che aveva un modo tutto suo di condurre le sue indagini (e potremmo dire del tutto all’opposto delle tecniche dell’Ovra)
Il commissario teneva soprattutto alla riservatezza. Voleva tutelare le sue relazioni e principalmente i suoi informatori. Così sarebbero stati molto più utili avrebbero detto molte più cose.
Non credeva nell’incutere paura, credeva nella confidenza. Nell’impulso irresistibile che, secondo lui, tutti hanno, di raccontare le cose più segrete che sanno, di dire proprio quello che non si dovrebbe mai dire.
Fino ad arrivare alla segretaria di redazione della casa editrice, nonché collega (e forse non solo) del responsabile editoriale ucciso (in una maniera molto rocambolesca), morte per la quale è forse in qualche modo colpevole?
E poi l’innesco: cosa si nasconde in quel dattiloscritto che, potremmo definire maledetto, visto che chi lo tocca poi muore?
Pro
L’insieme dei vari elementi, ben amalgamati
Contro
Il finale: abbozzato e poco chiaro, lascia un senso di incompiuto
Citazione preferita:
Quel che non si sa, non si può raccontare.
Trama
C’è un libro, anzi un manoscritto, misterioso. Luigi Bassetti, antifascista e direttore editoriale di una grande casa editrice, non se ne stacca mai, se lo porta sempre appresso in una borsa a tracolla, non lo fa vedere a nessuno, non ne parla con nessuno. Tranne, ma solo per vaghi cenni, con Donatella Modiano, suo braccio destro e sua amante, a capo della segreteria editoriale. Non sa, Bassetti, che Donatella è stata ricattata e arruolata come informatrice da un alto funzionario della polizia politica segreta, il commissario. Il quale vuole anche lui sapere, a tutti i costi, che cosa c’è scritto in quel famoso libro. Teme infatti che vi sia nascosto qualcosa di esplosivo, persino letale, per il regime fascista. Al momento, dopo la conquista dell’impero, trionfante. E forse anche per la stessa figura di Mussolini, l’onnipotente Duce. Nella Milano del 1936, città di intrighi e di sospetti, dove molti hanno una doppia faccia e tutti sono avvolti da una ragnatela di silenzi, si dipana una doppia indagine. Quella del commissario, che non si ferma di fronte a nulla, e quella di Donatella, che dopo la morte in un incidente all’apparenza casuale di Bassetti, di Luigi, del suo amore, sente crescere dentro di sé una rabbia feroce, una volontà sempre più determinata di andare fino al fondo, di sapere la verità e di chiudere i conti. Gian Arturo Ferrari, che ha fatto l’editore per tutta la vita e che sull’editoria riflette e dell’editoria racconta – ricordiamo il successo della sua Storia confidenziale dell’editoria italiana –, esordisce nel giallo con una storia che ricostruisce uno degli ambiti meno esplorati del fascismo italiano: l’editoria. Un’indagine appassionante sugli ambigui rapporti tra chi i libri li pubblica e chi vorrebbe, più o meno metaforicamente, bruciarli.