Recensione a cura di Ivana Tomasetti
Un romanzo che arriva dall’Ottocento e che ne ha tutte le caratteristiche. Prima di addentrarci in una recensione dobbiamo spendere due parole sull’autrice.
Carolina Invernizio (1851 – 1916) fu una delle più popolari autrici di romanzi d’appendice dell’Italia unita. L’accusarono di essere una casalinga frustrata, in realtà fu la prima giallista italiana, autrice di numerosi libri, che sono stati tradotti in molte lingue. Criticata per lo stile semplice, le vicende al limite dell’inverosimile e l’uso di titoli a effetto, di recente ha conosciuto un ritorno di interesse da parte di lettori e critica, smentendo l’affermazione di Gramsci che la definì “un’onesta gallina della letteratura popolare”.
Immergersi nella lettura è come fare un salto nel passato autentico, quasi documentario, da cui si giustifica la prefazione di 50 pagine che introduce gradualmente il lettore al tempo storico e dà notizie dell’autrice.
Ciò che colpisce subito è senz’altro il linguaggio, così romantico ai limiti dell’ampolloso, ridondante e quasi aulico, che ci tuffa nel feuilleton e nello stile gotico. Ci si chiede se sia una caratteristica del tempo oppure una velleitaria forzatura dell’autrice. L’uno e l’altro, propongo a credere. Se paragonata ai romanzi del tempo, è la trama che l’ha resa lontana e poco apprezzata dai grandi del suo tempo e paradossalmente più vicina a noi, lettori moderni. Se togliamo qualche lemma di sapore arcaico, rimane lo scorrere dei fatti che somiglia fortemente agli autori moderni del genere giallo e che giustifica il grande successo popolare.
Gli scrittori storici si sforzano di padroneggiare un linguaggio consono all’epoca di cui scrivono, Carolina Invernizio è davvero un esempio ancora vivo di un linguaggio “in situazione”, che mostra personificazioni, accenni al platonismo, un uso dell’accento toscano, come fattori di cultura e modernità, anche se non arriva al “tocco di rabbia vera” della protagonista femminile, che rimane tratteggiata in una “forza morale” davanti alle traversie.
“Anche in mezzo ai tormenti più angosciosi, che a ripensarli mi si agghiaccia il sangue nelle vene, non un solo pensiero di odio si elevò dalle mie labbra per l’autore delle mie pene”
Il romanzo, che consta di 170 pagine, offre tre chiavi di lettura temporale: il lettore di oggi che hic et nunc legge un romanzo di amore e morte; il punto di vista di Carolina Invernizio che sbuca da dietro le scene e ne diventa parte; il pensiero di Pia, che pur ambientato nel 1266, risulta specchio di un’età ottocentesca e dei suoi principi. Mettendo insieme questi piani di lettura ne esce un romanzo a tutto tondo che giustifica le scelte dell’autrice e fa comprendere i comportamenti e i pensieri dei personaggi. Non si tratta di un vero e proprio romanzo storico, in quanto la vicenda è volutamente lontana dalla realtà storica della protagonista.
La trama riprende la sfortunata vita di Pia de’ Tolomei, la stessa che troviamo nel canto V del Purgatorio di Dante, accusata di tradimento da un amico del marito, lo stesso che la insidia; l’intreccio si svolge attraverso inganni, travestimenti, nella semplicità e prevedibilità degli avvenimenti, con una fine romantica scontata. Nonostante ciò, la lettura procede con gradevole interesse ed entriamo nella psicologia dei personaggi, anche se talvolta sfiorano un carattere patetico ottocentesco. Rinaldo è il marito che si lascia ingannare dall’amico di cui non dubita nel modo più assoluto e qui vediamo come le parole di un uomo valgano più di quelle della propria moglie. Pia rappresenta la donna perfetta che tace e sopporta le angherie del destino, vittima sacrificale del fatto che il marito non le crede, ma lei non lo tradirà mai; infine Ugo, il malvagio per definizione che la insidia e a causa del rifiuto, attua la sua diabolica vendetta. I due personaggi contrapposti, Pia e Ugo, rappresentano chiaramente e in modo semplice il bene e il male, in una coppia oppositiva senza ambiguità, né tentennamenti, in una chiarezza e coerenza d’intenti che arriva anche al lettore meno “acculturato”, come in una bella e didascalica fiaba.
“«Per l’inferno!», gridò, «non accrescere le mie smanie con il tuo silenzio… parla!».
Parve che Ugo facesse un violento sforzo sopra se stesso.
«Oh! Come mi duole all’anima essere costretto ad aggiungere ai tuoi dolori un dolore ancora più vivo», mormorò a voce bassa; «ma tu lo esigi ed io non posso più oltre tollerare di vedere un uomo nobile e buono come sei tu, vilmente ingannato…».
Rinaldo soffocò un grido ed impallidì. La luce, una sinistra luce si faceva strada nella sua anima.
«Cosa vuoi dire? Spiegati! Forse…”
L’autrice crede nel potere educativo della lettura e scrive consapevolmente per una classe sociale poco abbiente. (come detto nella prefazione)
Per quanto riguarda il personaggio femminile il modello e il valore sociale si identificano con l’esigenza di salvaguardare la pace domestica e di sacrificarsi per essa, in un’accettazione cristiana della propria sorte, sperando nella giustizia divina.
“La storia non si seppellisce coi cadaveri dei traditi: essa vive nel cuore del popolo ed è quasi sempre il popolo che la mette alla luce, con le sue poetiche leggende e pietose superstizioni!”
Pro
Un libro che ci dà una ventata di purezza, dove il finale di perdono riscatta le cattiverie, come in una bella favola, che suggerisce la speranza di un mondo migliore, che i tempi ci hanno fatto dimenticare e in controtendenza con la narrativa di oggi.
Contro
Un linguaggio antico che non sempre riusciamo ad apprezzare.
Cartaceo: Pia de’ Tolomei
Ebook: Pia de’ Tolomei
Trama
In questo romanzo, tra i primi libri storici italiani, Carolina Invernizio imposta già quello stile che le garantirà il successo come la più grande scrittrice italiana di libri gialli. Emoziona la storia di Pia de’ Tolomei, figura emblematica dell’immaginario ottocentesco a cui Carolina Invernizio sa ridare anima e respiro in una storia tutta da inventare e raccontare in una Siena medievale.