Recensione a cura di Anna Cancellieri
Quando in un romanzo trovo un “cattivo” esagerato che si macchia di efferatezze prive di logica, mi sento indispettita, perché penso che l’autore non è riuscito a escogitare di meglio per tenere in piedi una storia.
Ma qui non abbiamo un cattivo inventato: siamo nel 1545 e Pier Luigi Farnese, appena eletto duca di Piacenza, mostra fin da subito una natura brutale e spietata da orco delle fiabe. E, come nelle fiabe, ci aspettiamo che faccia una brutta fine per mano di avversari non meno spietati e senza dubbio motivati.
Purtroppo nella vita reale il lieto fine non è così scontato.
Vediamo prepararsi la tragedia attraverso gli occhi di una coppia di nobili piacentini, antenati dello stesso autore: Gianluigi ed Elisabetta Confalonieri. Lui è un combattente avvezzo a farsi largo con la forza delle armi, lei, amante dei fiori e della natura, vede con sgomento crescere nel marito la tentazione di unirsi ai congiurati.
La consapevolezza da parte della nobildonna arriva dopo una lunga e inorridita contemplazione dell’affresco Cattivo governo di Lorenzetti, nel palazzo Pubblico di Siena.
Elisabetta indicò una figura con in mano una coppa colma di sangue, che indossava un mantello color oro e rosso tempestato di pietre preziose
«Oh, mio Dio! Quel mostro è spaventoso!»
«Sì, è orribile. Si tratta di Tirannide, la meretrice di Babilonia. Le due corna che spuntano dalle trecce bionde e la bocca con i canini sporgenti sembrano quelli di una lupa feroce..»
Man mano che Gianluigi illustra i vari personaggi del dipinto, lo vede infervorarsi e accendersi sempre più di furore e indignazione:
Lei capì che era il momento di fargli tirare fuori quello che da giorni lo tormentava.
«Pensi anche tu che la pace sia una conseguenza della superiorità militare?»
«Sì, essa può essere conquistata solo con la forza.»
Parole rivelatrici che riempiono il suo animo di foschi presagi.
Il Farnese d’altra parte, forte della protezione di papa Paolo III, di cui è il bastardo primogenito, si sente in diritto di combinarne di tutti i colori, un atteggiamento che porta all’esasperazione i nobili locali e quasi li obbliga a un’azione di forza, per la quale sarà decisivo l’appoggio dell’imperatore Carlo V.
Dal canto loro le dame trovano un modo pacifico e originale di manifestare il loro dissenso, assentandosi in massa dalle giostre e dalle celebrazioni del carnevale.
Ma serve a ben poco, ormai le cose si sono spinte troppo avanti.
In contrapposizione ai personaggi maschili, che si lasciano governare dai loro istinti più feroci, abbiamo due bellissime figure di donne, forti e amorevoli a un tempo. Oltre a Elisabetta, madre premurosa e moglie sagace, vediamo crescere la figlia Ortensia, fanciulla bellissima e piena di talento. La sua passione per il liuto, che suona con grande competenza e trasporto, la mette persino in grado di esibirsi in pubblico. È lo stesso padre orgoglioso a presentarla.
«Amici, grazie di essere intervenuti a questa matinée per festeggiare l’inizio del nuovo anno. Mia figlia Ortensia e mia nipote Clara si esibiranno in una novità: “Il Concerto delle donne” della signora Maddalena Casulana.»
Gli ospiti apparvero incuriositi: la Casulana era la prima donna compositrice, beniamina dei Medici, che a Firenze l’avevano beneficiata del loro mecenatismo.
Essendo io stessa musicista, non posso che essere deliziata dalla presenza di una liutista, ma è stata una scoperta venire a conoscenza di una compositrice che ha dovuto lottare contro i pregiudizi maschili per imporre al mondo la sua arte.
Grazie al suo talento e alla sua schiettezza Ortensia attira le simpatie di un giovane di nobiltà e ricchezza superiori, e questo apre un nuovo capitolo nella sua vita.
Ma altre sorprese ci riserva la sapienza botanica di madre e figlia: Il loro giardino ospita alcune piante di limoni fatte venire apposta dalla Sicilia, i cui vasi di terracotta vengono spostati a ogni stagione. Il nuovo giardiniere appena assunto non riesce a spiegarsi il motivo per cui non vengono piantati in terra come gli altri alberi da frutto. Sarà Elisabetta a spiegare:
«La terracotta trattiene il calore del sole e lo rilascia gradualmente al terriccio, concimato con il letame di cavallo. Così le radici hanno un tepore ideale.»
Sono queste piccole cose che rendono piacevole la lettura di un romanzo storico. Beninteso la storia ruota attorno ai conflitti di un ducato minore e alle loro nefaste conseguenze, ma a calarci davvero nell’atmosfera dell’epoca sono proprio queste pennellate di vita domestica e artistica.
Pro
La competenza con cui l’autore tratta un pezzo di storia poco conosciuta, dovuta senza dubbio alle fonti dirette a cui ha potuto attingere. Il rispetto e la pietà con cui ci racconta le sue antenate femminili, così duramente colpite dall’inesorabile svolgersi degli eventi.
Contro
Niente da segnalare
Link cartaceo: I Superbi
Trama
Piacenza, settembre 1545. La città accoglie il suo primo duca Pier Luigi Farnese, che semina da subito malcontento nella classe dirigente per la sua volontà di recidere i fili col passato, nonostante i consigli alla prudenza di suo padre Alessandro, eletto papa con il nome di Paolo III. Spinto dall’ambizione di voler estendere il suo ducato, Pier Luigi si inimica anche l’imperatore Carlo V che sostiene una congiura di nobili locali volta a destituirlo con l’uso della forza. Anche il conte Gianluigi Confalonieri viene chiamato a partecipare al complotto, ma la moglie Elisabetta cerca di farlo desistere: infrangere il giuramento di fedeltà al duca sarebbe un atto di lesa maestà, punibile con la damnatio memoriae. Gianluigi, nonostante gli avvertimenti della moglie, si farà coinvolgere in un intrigo più grande di lui e molto pericoloso: ad andarci di mezzo sarà anche la felicità di Ortensia, la figlia tanto amata. Elisabetta, suo malgrado, si troverà a prendere le redini della famiglia per evitare che cadano tutti nel baratro. Basato su fatti storici e personaggi realmente esistiti, il romanzo è ambientato in un Rinascimento nepotista, spietato, sanguinario, combattuto solo dalla forza dei sentimenti di donne come Elisabetta. Così la descrive l’umanista e biografo Lodovico Domenichi nel suo saggio La nobiltà delle donne del 1552: «Mostra una certa schiettezza e generosità in tutti i suoi costumi, con cui le cose noiose e avverse pazientemente sopporta; e ritrovandosi in altezza e felicità non è punto sopra l’humana misura levata…».