Recensione a cura di Roberto Orsi
1949. Il clima torrido di Sicilia e della città di Palermo evapora dalle pagine di questo romanzo. La terra arida e ostile su cui il sudore dei braccianti si riversa giornalmente per ottenerne i frutti migliori. Una regione che esce dalla Seconda Guerra Mondiale, come tutto il territorio della penisola, in un contesto di ricostruzione e di speranza, di opportunità e grandi possibilità.
Ma anche un territorio su cui si inizia a intravedere la longa mano della malavita, dove le faccende dei malavitosi e dei banditi prendono il sopravvento in alcune circostanze e ne dirigono le sorti a discapito degli onesti.
“Era una terra non lavorata, abbandonata a se stessa, piena di erbacce. Era il feudo. La presidiavano i gabellotti. Dei veri parassiti, i mafiosi, una crescente borghesia, chiamati a controllare la terra dei loro signori, i proprietari terrieri, i latifondisti. I gabellotti mafiosi, gli stessi che spesso tradivano i loro protetti altolocati, arraffandosi terra e fiducia. I contadini e i braccianti erano alla base di questa ingiusta piramide, tanti e poveri.”
In un contesto sociopolitico di fermento e di grande trasformazione, dopo le brutture della guerra, il romanzo affronta la vicenda della morte di Tindara Persichini, la Romanziera. Sfuggita, da giovane, al terremoto di Messina insieme al resto della famiglia, la sua esistenza riprende il ritmo vitale in una Palermo che è pronta ad accoglierla. Dopo alcuni anni diventa famosa non solo per i romanzi pubblicati ma anche per le miracolose guarigioni con cui si è fatta conoscere in tutto il territorio ormai da tempo. In una realtà come quella dell’isola siciliana, ancorata a fede e tradizioni popolari, gli inspiegabili accadimenti che ruotano attorno alla figura della Romanziera la elevano alla stregua di una Santa.
La sua morte, avvenuta in circostanze poco chiare, lascia sgomenti i cittadini specie coloro che dalla Romanziera avevano ottenuto il miracolo. La morte, sopravvenuta dopo aver ingerito un decotto nel convento della Torretta in prossimità di Palermo, pare venire archiviata come un banale incidente.
Il fratello della vittima, Bernardo Persichini, onorevole deputato eletto al Parlamento di Roma, non accetta tale versione e si rivolge alla polizia per aprire indagini più accurate su quanto avvenuto.
“La Romanziera non sarebbe tornata tra di loro come un Gesù risorto. Era morta. Era la dimostrazione che fosse terrena e non divina come molti pensavano. Una mediocre farsa, quella della Romanziera, alla quale l’ignoranza e la povertà d’animo, la mancanza di fede e la miscredenza avevano fatto da trampolino di lancio a un successo immeritato e pericoloso.”
L’ispettore capo della polizia di Palermo, Rosario Granata, vede materializzarsi sulla propria scrivania un’indagine che, molto probabilmente, avrebbe preferito lasciare in archivio. Il suo senso di giustizia è forte ma si contrappone anche a un istinto di sopravvivenza che, da una parte, suggerisce di non pestare i piedi a personaggi dei poteri forti. Ben presto il coinvolgimento di personaggi poco raccomandabili e legati alle sfere politiche del Paese, lasciano intendere al commissario Granata che l’indagine è ben più pericolosa di quanto si potesse immaginare.
La Romanziera aveva smosso l’interesse del Vaticano per le sue guarigioni, così come quello di personaggi del calibro di Salvatore Giuliano, noto bandito e malavitoso palermitano. Possibile che un semplice decotto preparato dalle mani delle suore del convento di Torretta possa averne provocato la morte? E perché non è stata soccorsa nei tempi più consoni prima di rendere l’anima al Creatore?
“Tindara era qualcosa che non si riusciva a spiegare, ma che tutti avrebbero voluto incontrare, per risorgere, guarire, essere mondati da tutti i mali della Terra.”
Le indagini di Rosario Granata, affiancato dal suo abile assistente Mario Lombardo, sembrano immergersi sempre in un vicolo cieco. Gli interrogatori e le considerazioni di tutti gli interessati portano alla stessa conclusione: la Santa era nel cuore di tutti i palermitani, nessuno poteva volerla morta in città.
L’autrice regala un affresco completo dell’atmosfera siciliana del primissimo dopoguerra, ne ricrea l’atmosfera da una parte euforica e pronta al cambiamento, dall’altra immota e immobile, refrattaria a qualunque nuova forma di ribaltamento delle condizioni sociali.
“Quelle lunghe dita avevano sparso briciole di menzogna in tutta la regione, contagiando per prime le campagne. Muovendosi veloci si erano insinuate tra le fila dei banditi; articolando fitti orditi si erano compromesse con gli alleati americani e purtroppo si erano intrecciate, strette strette, a personaggi ambigui: i mafiosi. Erano insidiose propaggini che, come tentacoli, stavano allacciandosi ai tre angoli dell’isola, cominciando a stritolarla.”
La scrittura di Marcella Formenti ricorre a similitudini di forte impatto e passaggi introspettivi che consentono un maggior coinvolgimento del lettore nei pensieri dei protagonisti. Rosario Granata, trasferitosi da Scafati a Palermo, è un leone in gabbia, incapace di integrarsi completamente nel tessuto palermitano, e osteggiato dal resto del personale del commissariato. Mario Lombardo è un giovane assistente arguto e capace, l’unico davvero capace di tenere testa al caparbio capo commissario Granata.
Durante la lettura mi sono sorpreso a ripensare e rivedere in certe scene e descrizioni, la scrittura di Maurizio De Giovanni. Diversi i riferimenti e i camei alla fortunata serie del Commissario Ricciardi, in un’ambientazione spazio-temporale diversa ma non troppo lontana per forza e carattere.
Un giallo storico in cui realtà e finzione si intersecano e si amalgamano nel migliore dei modi grazie a una scrittura affascinante quanto ammaliante. Un romanzo che sembra lontano nel tempo ma che in realtà tratta di un’epoca ancora viva e fortemente presente.
pro
Le descrizioni del contesto sociale, culturale e storico del secondo dopo guerra, così come la capacità dell’autrice di proporre una scrittura immersiva e avvincente; la caratterizzazione dei personaggi principali, distinguibili e ben definiti nel contesto narrativo.
contro
La parte del giallo in sé potrebbe risultare più “debole” ma questo non inficia un romanzo storico che assume connotati molto più interessanti per il contesto in cui si muove e che l’autrice ha desiderato raccontare.
Trama
Nell’estate del 1949 la morte di una guaritrice miracolosa, Tindara Persichini, detta la Romanziera, scuote la città di Palermo. Quello che sembra un incidente non convince il fratello di Tindara, Bernardo, deputato del Partito Socialista, che decide di rivolgersi all’ispettore capo di Palermo, Rosario Granata, un campano fresco di nomina, sempre affiancato dall’assistente, il giovane Mario Lombardo, ben più dotato del suo superiore. La morte della Romanziera non è un affare semplice. Intorno alla signora gravitavano infatti diversi esponenti di spicco della società, politici e religiosi, persino il famoso Salvatore Giuliano, l’affascinante bandito. Sullo sfondo di un giallo dalle tinte fosche e tragicomiche, il paesaggio aspro e ostile, ma al tempo stesso familiare e consolatorio, di una Sicilia dove si combatte per tutto: l’indipendentismo, il diritto alla terra degli agrari, la fame e la mafia, ormai indissolubilmente legata alla politica.