C’era una volta, tanto tanto tempo fa, un papa seduto su un trono a un processo!
No, non è l’incipit di una favola, ma una storia vera, accaduta, questo sì, tanto tanto tempo fa.
Anche perché se fosse una favola, sarebbe dalle tinte horror, dato che l’imputato assiso sullo scranno era… un cadavere!
È il processo a Papa Formoso, istruito dopo la sua morte. Un processo a un papa cadavere, col cadavere presente: un evento unico nella Storia, senza precedenti e che mai più si ripeterà: il Sinodo del cadavere!
Apriamo le porte della Cattedrale di San Giovanni in Laterano: fa freddo, del resto siamo nel febbraio dell’anno 897, in una Roma sferzata da aria pungente.
Vedete lì? Al banco dei giudicanti siede un concilio presieduto da Papa Stefano VI (successore di papa Formoso).
Di fronte, su un maestoso trono, siede l’imputato, papa Formoso, o meglio il suo cadavere, fatto riesumare, vestito con i suoi paramenti pontifici. Guardatelo: le orbite vuote, il naso scarnificato, le mascelle in vista, le braccia tenute insieme da qualche tendine, le ossa coperte da un sottile strato di pelle.
Intorno gli girano come mosche gli accusatori, nell’aria vortica l’interrogatorio, gli fanno domande, l’avvocato dell’accusa lo incita a rispondere.
Il suo silenzio è pallido, la sua mascella resta immobile, eppure una voce riecheggia in risposta: è quella di un diacono-avvocato di difesa, incaricato di rispondere in sua vece.
Una messinscena terrificante a cui si è arrivati per volere di Lamberto di Spoleto e sua madre Ageltrude.
La sentenza è già scritta, ma fingiamo per un momento che il corteo accusatorio si raccolga per deliberare.
E noi ne approfittiamo per raccontarvi gli intricati fatti politico-religiosi dell’epoca che portarono a tutto ciò.
Roma, a quei tempi, era in balia di alcune potenti famiglie, tutte in lotta per la conquista del trono papale ma anche per raggiungere la supremazia sulla Penisola: da un lato gli imperatori carolingi, dall’altro alcune casate aristocratiche italiane come quelle dei duchi di Spoleto e i marchesi del Friuli.
Sul soglio pontificio sedeva papa Giovanni VIII, intenzionato a eliminare dall’amministrazione pontificio alcuni membri dell’aristocrazia laica, a cui, invece, era legato Formoso, il quale fu accusato di aver tessuto intrighi contro il pontefice per impossessarsi del trono apostolico. In seguito all’accusa, Formoso fuggì da Roma, nell’876 fu condannato in contumacia, ridotto allo stato laicale e scomunicato. Si rifugiò prima alla corte del duca di Spoleto, poi in Francia in attesa che si calmassero le acque.
Quando, nell’883, venne eletto pontefice Marino I, questi revocò l’anatema contro Formoso e gli restituì il vescovato di Porto e, nell’891, alla morte di Stefano V, ascese al soglio pontificio.
Rivolse subito l’attenzione alle vicende politiche della Penisola dove regnava Guido da Spoleto che nell’889, dopo aver sconfitto il rivale Berengario, duca-marchese del Friuli, era stato incoronato re d’Italia a Pavia e due anni dopo aveva costretto Stefano V a incoronarlo imperatore.
Formoso dovette riconoscere il ruolo di Guido e incoronare anche il figlio di quest’ultimo, Lamberto, che fu così associato al trono imperiale. Tuttavia, Formoso mal tollerava la supremazia del nuovo re d’Italia e si rivolse ad Arnolfo di Carinzia, re di Germania, perché liberasse l’Italia e la Santa Sede dai “cattivi cristiani”.
Morto Guido da Spoleto, dopo una breve tregua, nell’895 il papa si appellò di nuovo ad Arnolfo che ridiscese in Italia e marciò su Roma, dove nel frattempo era entrata, accompagnata dall’esercito spoletino, l’imperatrice madre Ageltrude.
Quest’ultima prese prigioniero Formoso e lo rinchiuse in Castel Sant’Angelo, ma alla fine fu costretta alla fuga dal re di Germania. Il pontefice fu liberato e dopo pochi giorni incoronò Arnolfo imperatore, rinnegando apertamente Lamberto.
Pochi mesi dopo, Formoso, reo di aver invitato in Italia uno straniero, morì a ottant’anni, probabilmente avvelenato.
La cosa sembrava conclusa, ma al soglio pontificio sale Stefano VI (dopo la breve parentesi del pontificato di Bonifacio VI durato solo 12 giorni), antico rivale di Formoso e sostenitore di Lamberto di Spoleto, il quale, approfittando della debolezza di Arnolfo, colpito nel frattempo da apoplessia, entrò trionfalmente a Roma con la madre Ageltrude.
Ed ecco che arriviamo al “Processo “. I due sovrani della dinastia spoletina vollero la condanna di Formoso, con tanto di una pubblica umiliazione.
È tempo ora di tornare nella fredda sala di San Giovanni in Laterano: è il momento della sentenza.
Colpevole! Formoso è dichiarato indegno e usurpatore del pontificato e quindi ufficialmente deposto con il conseguente annullamento di tutti i suoi atti e gli ordini da lui conferiti dichiarati non validi.
I paramenti vengono strappati di dosso alla mummia, le tre dita della mano destra – quelle per le benedizioni – tranciate. Il cadavere trascinato fuori dalla sala e gettato nel Tevere.
Cosa successe dopo?
Il cadavere per tre giorni venne trasportato dalla corrente del fiume, fino ad arenarsi su una sponda presso Ostia dove viene riconosciuto e raccolto da un monaco che lo tenne nascosto fino alla morte di papa Stefano.
Mentre, però, il cadavere di papa Formoso vagava nel fiume, il processo aveva sollevato l’indignazione del popolo romano fino a livelli di vera e propria rivolta popolare che portò alla cattura di papa Stefano (con conseguente deposizione) che finì i suoi giorni nelle prigioni di Castel Sant’Angelo e qui verrà strangolato nell’897.
Due mesi dopo, i resti di Formoso vennero riconsegnati a papa Romano e di nuovo inumati nella basilica di San Pietro dal successore, papa Teodoro.
Un anno dopo, Papa Giovanni IX (898-900) annullò il processo contro Formoso e tutti gli atti relativi vennero dati alle fiamme.
I prelati presenti al Sinodo del cadavere furono perdonati in quanto si riconobbe che presenziarono sotto minaccia, mentre i promotori del processo furono scomunicati.
E da quel momento furono vietati i processi contro i morti. E il processo al papa cadavere rimarrà un unicum, ma anche uno dei fatti più oscuri nella storia della Chiesa, ripreso anche da Luis Bunuel nel suo film “La via lattea”