Recensione a cura di Roberto Orsi
Il tempo. Il tempo è capace di cancellare tutto, ci viene detto. Spesso è “solo questione di tempo”, lo scandire delle ore e il cadenzare ritmato dei giorni che passano, agiscono come colpi di spugna sui ricordi, sul dolore, sull’immaginazione, sul nostro essere più intimo.
Eppure, ci sono ricordi ed eventi che nemmeno il tempo può sbiadire. Situazioni e sensazioni terribili che sembrano non abbandonarci più. L’artiglio del tempo rimane pronto a ferire, a rifarsi vivo anche dopo anni senza lasciare scampo o tregua. Anna Vera Viva, con questo secondo romanzo della serie con protagonista padre Raffaele, riannoda i fili dell’orrore legati all’olocausto. Approfitta del giallo poliziesco contemporaneo per riportare alla luce un quadro terribile pieno di dolore.
Dopo “Questioni di sangue”, l’autrice pubblica ancora una volta con Garzanti “L’artiglio del tempo. Un mistero tra gli oscuri vicoli di Napoli”. Ci ripresenta il determinato padre Raffaele, sacerdote della Sanità, un quartiere di Napoli che l’autrice descrive come un’isola slegata dal resto della città, con le sue peculiarità e contraddizioni. Raffaele è tornato a Napoli dopo tanti anni trascorsi a Roma. La Curia ha voluto che fosse lui a dirigere la parrocchia del quartiere dove è nato molti anni prima.
Al fianco di Raffaele non può mancare la perpetua Assuntina, già conosciuta nel primo romanzo, con il suo acume e la brillantezza mentale con i ragionamenti che aiutano il padre nella ricerca della verità.
La vittima di questa seconda indagine è Samuele Della Valle, proprietario del negozio di cappelli del quartiere, ebreo, sopravvissuto agli orrori della Shoah e della deportazione ad Auschwitz nel 1943. Samuele è un uomo anziano, che non ha mai perdonato Dio e l’uomo per quanto avvenuto nell’orrore della Seconda Guerra Mondiale. Tornato a Napoli, scampato al lager, ha condotto una vita morigerata, portando avanti gli affari del suo negozio e tenendo i figli quanto più possibile protetti dalla bestialità degli eventi passati.
“Lui, in tutti gli anni che si erano succeduti inanellando incubi, si era ripetuto una frase che avevano letto sulla parte di una baracca di Auschwitz: Se Dio esiste mi deve chiedere scusa. Samuele non era tra quelli che avevano perdonato.
Non si poteva perdonare l’imperdonabile. Non si poteva perdonare chi ti aveva costretto a non perdonarti. E con Dio, erano settant’anni che non voleva più averci a che fare”
Samuele viene ritrovato senza vita all’interno del suo negozio, steso sul pavimento, una macchia di sangue sotto la testa, la vetrinetta di esposizione dei guanti aperta. Si pensa subito a un malore e un colpo alla testa procurato nella caduta, lo stesso medico ne certifica il decesso in questo senso.
Ma per Antonino, un bambino che aveva preso in simpatia Samuele, non può essere andata così. Il bimbo non si capacita di questa morte: “se Samuele stava male me lo avrebbe detto”. L’anziano ebreo, negli ultimi tempi, dedicava molto tempo ad Antonino: una sorta di nipote a cui raccontare la propria vita. L’unico a cui potersi aprire, con cui confidarsi, a cui raccontare l’orrore del passato. Non per traviarlo o scandalizzarlo, ma per trasmettere qualcosa che tra pochi anni non avrà più testimoni oculari in vita.
Il racconto a un estraneo, per Samuele, era più accettabile delle confidenze in famiglia.
Padre Raffaele decide quindi di aiutare Antonino nella ricerca della verità: ben presto appare chiaro che alcuni tasselli non collimano con la versione ufficiale indicata dal medico. Pochi giorni prima di morire, Samuele, accompagnato dal figlio Davide a una conferenza sull’Olocausto, aveva accusato un malore momentaneo, una sorta di shock, come se avesse riconosciuto qualcuno che ne alimentava gli incubi notturni. Che cosa o chi aveva rivisto Samuele?
“Non aveva mai dato la possibilità a nessuno di guardare nella sua anima. Li aveva sempre protetti dall’abisso che avrebbe potuto inghiottirli.”
Napoli vive nella prosa dell’autrice, con i suoi colori e i suoi rumori, nei vicoli chiassosi di una città viva e mai doma, dove sono i Napoletani a renderla unica. L’indagine di padre Raffaele indaga nel passato, scandaglia negli indelebili sentimenti umani di paura e terrore, riporta alla luce frammenti di buio sepolti. L’indagine nei vicoli e rioni di Napoli si trasforma in un’occasione per raccontare l’olocausto, per non dimenticare. Il giallo e la soluzione del caso passano in secondo piano nell’economia narrativa dell’autrice che senza ombra di dubbio regala i passi più toccanti nelle memorie dei sopravvissuti e nel racconto delle emozioni.
“Tante volte, in quell’ultimo periodo, dopo il suo ritorno nella Sanità, si era domandato quanto le sue radici gli consentissero di essere un buon prete. E se tutta la sua vita non sarebbe stata altro che un continuo domarsi, dominarsi, reprimere ciò che in lui c’era di più vero. Una natura irosa, pronta a farsi giustizia da sola.”
Il sentimento genuino di Antonino, affezionato come pochi altri alla vittima, con la sua bontà d’animo e la freschezza della gioventù; il rapporto tra padre Raffaele e il fratello Peppino, che ha ritrovato al rientro a Napoli (nel primo romanzo), scoprendolo come uno dei malavitosi più pericolosi e temuti della città, del quale non riesce comunque a pensare male o a staccarsi, in quell’indissolubile legame di sangue che la famiglia porta con sé; il rispetto e l’affetto reciproco con la perpetua Assuntina, sempre pronta a spendersi per Raffaele e per i giovani ragazzi della Sanità che gravitano attorno alla parrocchia; l’orrore rivisto e rivissuto dai tanti personaggi del romanzo, nelle testimonianze accorate e spesso disilluse che ripercorrono uno dei periodi più bui della Storia dell’umanità.
Ecco che il romanzo di Anna Vera Viva si trasforma in un atto di denuncia e un grido di dolore verso quel passato doloroso e indimenticabile. L’eterna lotta tra Bene e Male, tra la vita e la morte, tra l’amore e l’odio, il perdono e la vendetta, quando i conti con il passato tornano a galla nel modo più inaspettato e doloroso.
“Il mondo è disposto a farsi scendere una lacrimuccia solo quando il sangue è ormai freddo, quando l’orrore, quello vero, è passato. I cadaveri devono essere vecchi. Le ingiustizie lontane. Il mondo ama commemorare, ma non intervenire nel momento in cui le ingiustizie vengono compiute.”
PRO
Scrittura fluida e diretta nella parte di fiction, delicata e toccante nella parte più riflessiva
CONTRO
Aiuta, anche se non fondamentale, aver letto il primo romanzo per avere una conoscenza più approfondita dei protagonisti principali
Trama
La Sanità è un’isola e per navigare il mare che la circonda ci vogliono passione, abilità e coraggio. Lo sa bene padre Raffaele, da poco tornato nei luoghi dove ha vissuto i primi anni di un’infanzia rubata e dove l’ombra di Peppino, il fratello malavitoso che il destino gli ha dato in sorte, si allunga su ogni evento del quartiere. Questa volta, però, un’ombra ancora più fosca avvolge le indagini del prete e della sua perpetua: è l’ombra della storia; di una guerra lontana che sembra ancora vicina; di una Napoli che si ribella ai nazisti; di un popolo fiero che non cede al gioco dei potenti. Perché c’è un morto che non è una persona come le altre: sul braccio porta tatuati i numeri che ricordano un orrore impossibile da dimenticare. È Samuele, l’anziano venditore di cappelli che viene trovato senza vita nel suo negozio. Per tutti si tratta di un incidente, ma nulla di quanto accade alla Sanità risponde alla spiegazione più logica e padre Raffaele, convinto che la morte di Samuele sia strettamente allacciata a quel tempo, si trova a ripercorrere eventi che parevano ormai lontani. Perché lui sa che la storia ha tentacoli lunghi e che il male scorre in fiumi che giungono fino a noi. Così il sangue del passato si mescola con quello del presente, si insinua negli stessi vicoli, ma parla parole nuove che padre Raffaele dovrà decifrare. Anna Vera Viva ha dato vita a due personaggi che sono entrati nel cuore dei lettori. Un prete e un boss della malavita che indagano, vivono e respirano alla Sanità che li ha visti crescere, perdersi e poi ritrovarsi. Le atrocità della Seconda guerra mondiale tornano a riaffiorare, ma Napoli sa come resistere e non lasciarsi zittire da niente e nessuno.