Recensione a cura di Matilde Titone
“Abbiamo fermato Cavallero, che debbo farne?”
“Speditelo a Forte Boccea!” aveva gridato senza esitare un gongolante Badoglio, “portate quel signore a Forte Boccea! Avanti, marsch!”
Ugo Cavallero, chi era costui? Chiedo scusa per l’ignoranza, ma non lo avevo mai sentito nominare eppure fu Maresciallo d’Italia come il più noto Pietro Badoglio.
Il romanzo di Sorrentino ci svela quest’uomo che ebbe un ruolo non solo militare ma anche politico in Italia, prima e durante il ventennio fascista con alterne fortune, potremmo dire sia sull’altare che nella polvere, un militare di alto livello che si racconta e disegna un mondo che va in pezzi, che analizza ciò che successe a Roma e in tutta Italia dopo la firma dell’Armistizio di Cassibile, cosa portò a quella firma?
E cosa vissero gli italiani tutti dopo quella firma? Mentre Cavallero ripercorre la sua vita come in un film in quegli ultimi tre giorni rimasti per scegliere tra la resa o continuare la guerra a fianco dei tedeschi, l’autore come un cronista acritico descrive i treni che deportano i soldati italiani ai campi di lavoro tedeschi, gli assalti ai magazzini di viveri da parte della popolazione stremata dalla fame, le morti di uomini donne e bambini inermi, in un Italia allo sbando, confusa disorientata spaccata.
Sono più piani quelli in cui si svolge la narrazione, uno collettivo, corale, sociale, in cui si smembrano i teatri di guerra, cambiano le geometrie delle alleanze e i riferimenti crollano, l’altro è invece la vita pubblica e privata di Ugo Cavallero, Maresciallo d’Italia, padre, marito e amante, studioso, colto e raffinato nella quotidianità, rigido e privo di pietas come comandante dell’esercito in guerra, rigoroso soldato di stampo sabaudo più fedele al Re che a Mussolini di cui intuisce la precarietà politica.
“La ricompensa di un soldato è rimanere in pace con se stesso all’interno di una guerra, non rubare la vita alla morte, ma riacquistarla ogni mattina. E’ una mano colma d’orgoglio, non di odio e di crimine è un pane che sa di onore, famiglia e casa, le uniche cose per cui lotterà fino alla fine. Io, da soldato e da uomo mi batto come un leone per non perdere, contro tutto e malgrado tutti! In caso disperato non resterà che perire con onore.”
Così scrive Cavallero a suo figlio Carlo militare anche lui.
“ Quelle vittime sacrificali sarebbero state poi definite “I caduti per la difesa di Roma” così dall’otto al dieci settembre, almeno quelli per cui fu possibile un’identificazione certa, in città e comuni limitrofi ammontarono a 659 appartenenti ai diversi corpi militari e 121 civili, di cui 51 donne.”
Una pagina toccante del libro è un elenco senza commenti delle 51 donne morte a Roma dopo l’otto settembre per motivazioni tra le più varie tutte certo collegate alla occupazione della città da parte dei “moderni lanzichenecchi”, così vengono definiti i tedeschi, perite per ferite da armi da fuoco, perché si rifiutavano di eseguire ordini di evacuazione, per percosse e via di seguito. Colpisce come un pugno allo stomaco questo elenco essenziale senza commenti e fa riflettere più di mille parole sulla tragedia umana in guerra
Senza fare sconti a nessuno Sorrentino prosegue con i periti sotto i bombardamenti degli Alleati:
“ I liberatori americani non furono da meno. A mezzogiorno dell’otto settembre, quattro ondate di circa centrotrenta bombardieri pesanti della Dodicesima Forza Aerea statunitense, decollati dalle loro basi nordafricane si avventarono sulla cittadina di Frascati, colpevole di essere la località in cui il capo delle truppe germaniche in Italia, Maresciallo Albert Kesserling, aveva stabilito il proprio comando. Kesserling non fu nemmeno sfiorato dalle bombe ma in compenso perirono circa duecento militari tedeschi più di 500 civili italiani e metà degli edifici fu rasa al suolo con tellurica inesorabilità.”
Dopo l’otto settembre più di 800mila militari italiani furono disarmati e catturati dai tedeschi; chi non consegnò le armi, come sull’isola greca di Cefalonia, venne eliminato. Circa 650mila decisero di non collaborare e furono deportati nei lager come Imi (Internati militari italiani). Nessuna misura era stata prevista per difendere la capitale, e l’esercito, lasciato senza ordini, in molti casi si dissolse.
Il Generale Cavallero non accettò la proposta che gli fece il suo amico Kesserling, non volle prendere il comando di un esercito che avrebbe combattuto contro altri italiani, che sarebbe stato completamente soggiogato dai tedeschi e che gli avrebbe procurato il disonore di aver tradito il Re. Il resto è storia.
In questo viaggio introspettivo e retrospettivo, pubblico e privato, Cavallero incontra nomi che conosciamo ma qui possiamo quasi entrare in contatto con ciascuno di loro e restare sbalorditi per le connotazioni umane e disumane che essi portano in sé. Eugene Dollman, laureato in filosofia, raffinato uomo di cultura amante di arte italiana, interprete di Hitler, agente segreto e diplomatico, Kappler, personaggio di poco spessore e poca cultura, Priebke, tirapiedi di Kappler, e Kesserling, il feldmaresciallo che mantenne il controllo dell’Italia con spietata durezza anche contro la popolazione civile, giudicato criminale di guerra e processato dopo la fine della guerra, condannato a morte ma in seguito la condanna fu tramutata in ergastolo, amico di sempre di Cavallero o subdolo assassino? Buffarini Guidi, anch’egli arrestato per ordine di Badoglio e carcerato a Forte Boccea, accetterà la proposta tedesca di unirsi alla Repubblica di Salò, sarà fucilato dai Partigiani il 26 aprile 1945.
Su Ugo Cavallero forse neppure i posteri sapranno mai la verità. La possiamo solo intuire. Mussolini informato del presunto suicidio di Cavallero disse che si era suicidato con la mano di Kesserling, tenuto conto che il generale era mancino mentre si sarebbe sparato con la mano destra.
Una nota curiosa, il giorno dopo i funerali di Cavallero l’agenzia di stampa di regime Stefani, diramò un dispaccio diffuso in tutto il mondo, in cui si annunciava che: “il Maresciallo Ugo Cavallero aveva commesso un suicidio volontario, non essendo stato in grado di sopportare il disonore del vergognoso tradimento della sua Patria.”
pro
Ho trovato questo romanzo molto interessante, seppur romanzo e quindi opera di fantasia come afferma nella prefazione il suo Autore, per due motivi: il primo perché apre tante finestre di osservazione e interpretazione di un momento critico e forse ancora non completamente chiaro su ciò che accadde dopo l’otto settembre del 1943 in una Nazione che si spaccò tra fascisti e antifascisti, favorevoli alla continuazione della guerra a fianco della Germania e partigiani che combatterono per facilitare l’ingresso delle truppe degli Alleati, che mise italiani contro italiani in una dura e sanguinosa guerra civile. Senza prendere parte alla divisione e senza enfatizzare né la resa né la resistenza di cui poco anzi si parla, il libro mi sembra aver dato spazio alla gente comune morta senza alcuna gloria all’interno di un contesto incomprensibile. Il secondo perché descrive la vita di un uomo che finalmente si interroga su se stesso e su ciò che ha fatto, guardandosi forse per la prima volta senza la benda al cuore che chi, come lui ha avuto potere di vita di morte su altri esseri umani, porta per non vedere mai l’orrore che gli ordini spesso producono.
Una nota voglio fare sullo stile dei dialoghi, faticoso forse da seguire ma perfetto perché aderente al linguaggio dell’epoca, formale, retorico a tratti roboante come fosse ancora propaganda di un tempo finito.
contro
Per me è stato complicato leggere un’analisi così meticolosa delle strategie militari, delle tattiche di guerra, della politica della guerra e le disquisizioni quasi scientifiche sulle decisioni di guerra appropriate o meno, giuste o no, delle sottigliezze politichesi tra amici di partito eppure nemici. Quello stile retorico è il suo pregio e il suo difetto.
Trama
“La benda al cuore” è un romanzo che affronta uno degli enigmi più oscuri della storia italiana: la misteriosa morte del Maresciallo Ugo Cavallero, capo di stato maggiore generale delle Forze Armate Italiane durante la Seconda Guerra Mondiale, un uomo complesso e controverso, capace di suscitare l’ammirazione e l’avversione dei suoi contemporanei. Una figura dalla personalità enigmatica, che continua ad affascinare e a suscitare interrogativi a distanza di ottanta anni esatti dalla sua morte. L’autore ci conduce attraverso gli ultimi tre giorni di vita del generale, raccontando gli eventi che portarono alla sua tragica scomparsa, avvenuta nel settembre del 1943: si trattò di un suicidio oppure di un omicidio ordito dai tedeschi o dai fascisti? La morte di Cavallero è solo uno dei tanti elementi che compongono questo romanzo. Vi è presente anche una drammatica e dettagliata ricostruzione delle convulse giornate che seguirono l’armistizio dell’8 settembre 1943. Una pagina della storia italiana caratterizzata da una grande confusione, dalle atrocità e deportazioni perpetrate dai tedeschi e dalle devastazioni causate dalle Forze Alleate.