Recensione a cura di Roberto Orsi
Antoine-François Derues. È lui il protagonista di questo nuovo romanzo targato Scrittura & Scritture all’interno della collana VociRiscoperte, di cui già da tempo abbiamo imparato ad apprezzare le storie riportate al grande pubblico.
Sorprende scoprire che si tratti di un personaggio realmente esistito e che Alexandre Dumas ne abbia raccontato le gesta all’interno della sua collana “Delitti celebri”. La casa editrice di Napoli ha la capacità, ancora una volta, di scovare chicche storiche sconosciute ai più, in questo caso portando per la prima volta in Italia la traduzione di questo romanzo.
La storia di Derues sembra tratta dalla sceneggiatura di un film o una serie tv. Un personaggio letterario che potrebbe tranquillamente ricordare quell’Arsenio Lupin nato dall’estro di Maurice Leblanc. E chissà che proprio l’autore francese non si sia ispirato alle gesta di Derues per i suoi racconti con protagonista il “ladro gentiluomo” per eccellenza.
“Derues. L’avvelenatore” è un romanzo breve in cui vengono raccontate le vili gesta di un uomo che fece dell’ipocrisia e della mistificazione una ragion di vita. Un modo di essere in cui Derues si cala completamente fin dalla giovane età. L’avidità che ne dirige le azioni e il concetto di perversione portato all’esasperazione giocano un ruolo primario all’interno del racconto di Dumas.
Personaggio decisamente ambiguo che riuscì a ingannare molte persone nel corso della sua breve vita. Una vita trascorsa al limite della legalità, capace di farsi ben volere grazie alla sua reputazione di uomo di fede che seppe costruirsi attraverso l’inganno.
“Di primo acchito il suo nome, diversamente da quello di altri grandi criminali, non si collega a una lunga serie di delitti, ma quando si approfondiscono le informazioni sull’esistenza tortuosa, vile e sotterranea, di quest’uomo si scopre una macchia ad ogni passo.”
L’autore ripercorre, inizialmente, le fasi della giovinezza di Derues, il trasferimento a Parigi da Chartres, sua città natale, delineando le fattezze di un mostro capace di mimetizzarsi tra gli individui della società. La facilità con cui riusciva a ingannare l’opinione pubblica, i travestimenti e i cambi nome a cui ricorse in più occasioni, lo avvicinano a quei personaggi trasformisti, come Lupin appunto, in una sorta di parodia letteraria a cui si stenta a credere in diversi passaggi.
Eppure, la ricostruzione di Alexandre Dumas è assolutamente fedele ai fatti narrati dalle cronache del tempo e dagli atti processuali che videro implicato lo stesso Derues, dopo gli atroci delitti che lo videro protagonista in negativo.
“Fuori dalle leggi dell’organizzazione umana, spogliato dei sentimenti e degli appetiti o, se si vuole, degli effetti più o meno sviluppati in tutti gli adulti, Derues era sollecitato solo dalla proprie cattive inclinazioni e agiva senza contrappeso e distrazioni.”
Questo piccolo gioiello di racconto vuole fare luce su un personaggio che non è entrato negli annali della Storia per quanto commesso. Lo stesso Dumas lo considera un “delinquente minore”, uno di quelli che, di primo acchito non danno una sensazione di orrore o terrore a chi ne sente pronunciare il nome. Ma è comunque un personaggio vittima della sua stessa malvagità: così abile e convinto nell’ingannare il prossimo, da voler quasi ingannare sé stesso, raccontandosi una verità che solo lui poteva comprendere. Il lettore ne segue le vicende e assiste all’evoluzione del personaggio, capace di farsi ben volere al punto da suscitare la simpatia e la protezione della massa popolare.
Il libro di Dumas è un viaggio nell’io più intimo di Antoine-François Derues, in un crescendo di suspense e malvagità. L’affare De La Motte, raccontato con dovizia di particolari nella seconda parte del romanzo è l’apice dell’inganno voluto e orchestrato da Derues. L’avidità di denaro e una tendenza morbosa verso il male non possono lasciare spazio ad altri sentimenti per un uomo inaridito fino al midollo.
Dumas ha la capacità di raccontare le vicende con una semplicità diretta, quasi disarmante. Non si eleva a giudice, ma lascia al lettore qualsiasi considerazione, avvicinandosi al compito di un giornalista di cronaca nera.
“lo scrittore ha il dovere di raccogliere e annotare questi fatti per poter ricostruire lo sviluppo logico di quest’anima degradata. Li raggruppa secondo la loro natura e conta i gradini che il criminale ha progressivamente salito”
Finchè…
“I suoi piedi raggiungono l’ultimo gradino del crimine e al tempo stesso si posano sul primo gradino del patibolo”.
Un compito che Alexandre Dumas assolve in tutto e per tutto, donando al lettore una storia che si legge come un diario di cronaca nera, inframezzata da alcuni passaggi in cui l’autore si rivolge direttamente al lettore in una sorta di incredulità generale. Non giudica ma lancia spunti di riflessione, spinge il lettore a ragionare sulla crudeltà fine a sé stessa e gli istinti più bassi che guidano una mente malata.
Si apre un abisso scuro sulle pulsioni recondite di un criminale nel racconto di una vicenda dai lineamenti duri e le tinte fosche che si addensano come nuvole cariche di pioggia.
PRO
Il fatto di raccontare una storia sicuramente meno conosciuta ma che risulta interessante per la capacità di analisi dell’uomo e del contesto storico in cui si mosse. Aver dato luce a una vicenda di cui non si trova praticamente nulla nemmeno online.
La grande capacità descrittiva di un maestro come Alexandre Dumas
CONTRO
Dumas avrebbe potuto scrivere un romanzo molto più lungo
Trama
Un breve ma denso romanzo della serie dei Delitti celebri tradotto e pubblicato per la prima volta in Italia. La storia dalle tinte noir e dai toni spietati di Antoine-François Derues, personaggio storico della Francia del Settecento. Ambiguo, scaltro, capace di cambiar pelle come un serpente, ma allo stesso tempo suscitare nelle persone fiducia incondizionata, Derues si macchiò di atroci delitti. Grazie alle sue mille maschere, alla sua furbizia e ai suoi abili travestimenti, scampò varie volte alla giustizia. Riportato spesso nelle cronache francesi con l’espressione affaire Derues, ricordato da molti come un avvelenatore, viene descritto da Dumas come un genio del male. Nel racconto non c’è spazio alla pietà e compassione per restituire al lettore un ritratto vivido e suscitare le più sordide sensazioni.