Recensione a cura di Luca Vinotto
Il medico di Istanbul è un romanzo davvero particolare, sotto molti punti di vista.
La sua unicità risiede innanzitutto nelle vicende che narra, incentrate sulla relazione amorosa tra il medico Melchiorre Guilandino e il suo collega Gabriele Falloppio. Una storia che sarebbe già straordinaria in quanto la loro relazione fu tollerata dalle autorità, anche se all’epoca l’omosessualità era ferocemente condannata dalla Chiesa cattolica. Ma che si arricchisce di una componente di avventura, perché Melchiorre, durante una traversata via mare, venne catturato da un corsaro turco, costringendo Falloppio, gravemente malato, a un lungo viaggio per riscattarlo.
Basandosi su questi eventi realmente accaduti, l’autrice sviluppa una trama inventiva ma credibile, centrata sul forzato “soggiorno” di Melchiorre tra gli Ottomani.
Il XVI secolo rappresenta il periodo culminante dell’impero ottomano, praticamente alla sua estensione massima, arrivando a controllare, sotto la guida di Solimano il Magnifico, buona parte dell’Europa sud-orientale, dell’Asia occidentale e del Nord Africa, e parti dell’Europa centrale e orientale. Il Mediterraneo è nelle mani della sua flotta e i suoi corsari diventano l’incubo di tutti i paesi rivieraschi.
Istanbul è il simbolo della grandezza e della potenza dell’impero. Una città enorme, ricchissima, crocevia di tutti i traffici tra l’Occidente e l’Estremo Oriente. Ecco come la descrive l’autrice, attraverso il racconto del protagonista che vi arriva via mare:
“[…] una costa lussureggiante di aranceti e di giardini verdissimi, dolcemente mossi da una lieve brezza. Mentre la galea avanzava spedita, a poco a poco cominciarono ad apparire, intervallate da bianche cupole rotonde e da alti cipressi, le guglie dorate delle moschee. Quell’alternanza di verde, bianco e oro si rifletteva, tremolante e mille volte moltiplicata, in acque chiare e trasparenti, solcate da ogni genere di imbarcazioni: caicchi, feluche, galee di varie dimensioni. Melchiorre mormorò:
– So che molti chiamano Costantinopoli la Città della luce. Ora capisco il perché.- ”
Certo è la città degli eccessi, dove all’ostentata ricchezza dei potenti si contrappone la terribile condizione dei deboli. L’autrice ci offre una prospettiva realistica di questa dicotomia attraverso gli occhi di diversi personaggi, nobili e umili, senza tralasciare gli aspetti più crudi, ma sempre contestualizzati nel periodo storico. Come afferma uno dei protagonisti, il cristiano convertito Uluch Alì, da giovane catturato come schiavo sulle coste della Calabria e diventato uno dei più importanti ammiragli del sultano:
“Il mondo mussulmano è molto diverso da quello occidentale, per certi versi meno crudele. Chi nasce povero non è detto che debba morire povero, e chi nasce schiavo può morire libero.”
L’intento dell’Autrice è quello di farci vedere questo mondo non solo con gli occhi dell’europeo che lo scopre a poco a poco ma anche ma anche attraverso i diversi personaggi che vi appartengono, offrendoci così una prospettiva più interna. Nonostante non sempre ci riesca in modo impeccabile, è anche questa doppia visuale che, a mio parere, conferisce un’unicità al romanzo.
La vicenda si snoda in gran parte nel Serraglio, la sontuosa dimora del Sultano. Nel cuore di un turbinio fatto di intrighi, amori e vendette, la trama ci condurrà verso una conclusione inaspettata, in cui il protagonista si troverà di fronte a una decisione cruciale: dover scegliere tra due mondi e due passioni, una duplice scelta affatto scontata.
PRO
L’accurata ricostruzione storica dei personaggi realmente vissuti e della società ottomana ai tempi di Solimano il Magnifico.
Lo stile, sempre fluido e scorrevole, rende piacevole la lettura.
CONTRO
Il romanzo presenta un gran numero di flashback a volte molto lunghi, dedicati non solo ai personaggi principali ma anche a quelli minori, che poco o nulla aggiungono al racconto.
La trama appare a tratti sfilacciata e l’interazione tra i personaggi poco realistica.
Avrebbe potuto essere un vasto affresco storico dell’epoca, ma l’autrice ha scelto di focalizzarsi sulle storie individuali dei personaggi, costringendoci a osservare l’intero scenario attraverso una chiave di lettura molto ristretta
Trama
Mediterraneo Orientale, 1558. Sulla galea che lo conduce a Istanbul, lo schiavo Melchiorre Guilandino entra nelle grazie del potente ammiraglio Uluch Alì guarendolo dalla tigna, impresa in cui nessun luminare era mai riuscito. Melchiorre, infatti, è un brillante medico che i turchi hanno fatto prigioniero mentre era in cerca di erbe curative per la sua preziosa collezione. Giunto nella capitale, in virtù delle sue competenze evita la prigionia e viene condotto alla corte del più grande sovrano dell’epoca, Solimano il Magnifico, che lo destina a una sorte ancora più atroce: provvedere all’evirazione degli eunuchi per l’harem imperiale. Melchiorre, ribelle e idealista, non può né vuole piegare la sua arte medica a un compito così terribile, e chiede a Uluch Alì di aiutarlo a fuggire a Padova dalla persona che ama, il collega Gabriele Falloppio. Lo spietato e astuto ammiraglio, però, esige in cambio un prezzo altissimo: Melchiorre dovrà giacere in gran segreto con la figlia di Alì, Mariam, e farle concepire un bambino che lei possa poi spacciare per il figlio dell’anziano marito. Il rischio dell’impresa è enorme, Melchiorre non vuole tradire Falloppio ma è costretto a mettersi in gioco per riprendere in mano le redini della sua vita.