Narrativa recensioni

La canzone di Achille – Madeline Miller

Recensione a cura di Matteo Palli

Ho sempre avuto il vizio di leggere con ritardo i best sellers sulla bocca di tutti. Non per un atteggiamento snob, ma per abitudine. Li lascio da una parte, osservo con curiosità la strada che percorrono, ascolto i commenti e li prendo in mano quando capita. E poi, come tutti, la lista dei libri in attesa di lettura è sempre senza fine…
Mi trovo quindi con colpevole ritardo a leggere La canzone di Achille, scritto nel 2011, pubblicato la prima volta in Italia nel 2013 e poi di nuovo nel 2019, quando ha preso il volo ed è diventato famosissimo.  Devo ammettere che ero molto indeciso sull’immergermi in questo testo. Un po’ per la ritrosia di tornare su un tema, che in questi anni ho dovuto approfondire per motivi personali (con la conseguente naturale voglia di altro), molto per la paura di essere deluso nel leggere la storia a me più cara in versione “romanzo rosa”.
Ma poi alla fine è questa l’operazione fatta dall’autrice nella sua personale lettura dell’opera omerica? E siamo in presenza del capolavoro osannato da tanti o semplicemente al cospetto di un libro fortunato che ha goduto (beato lui) di una massiccia opera di marketing e di un gran passaparola tra i lettori?

Iniziamo con una premessa ineludibile. Quando si parla di mito non si parla di storia. Occorre quindi fare un atto di fede e decidere se credere in ciò che ci racconta la mitologia (ovviamente al netto delle cose più fantasiose) o rapportarsi come se fossimo di fronte a un fantasy. La premessa non è banale, perché nel secondo caso non avrebbe senso evidenziare le difformità rispetto a ciò che Omero e altri ci hanno tramandato. Inutile dire che io appartengo a coloro per cui l’Iliade (e le opere collegate) sono libri “sacri” e quindi sono un po’ rigido, lo ammetto. Il problema, con cui si sono da sempre dovuti confrontare gli studiosi o i semplici appassionati come me, è l’assenza di fonti storiche e i dubbi sono molto maggiori rispetto alle certezze. Basti pensare che siamo veramente all’albore dei tempi, e la Grecia da noi conosciuta è di molti secoli successiva. Il cosiddetto periodo miceneo, con i territori abitati dai popoli achei, dovrà sparire con il dominio dorico e l’oscuro medioevo ellenico, prima di diventare la civiltà delle polis di Atene e Sparta con le loro vicende interne e le guerre contro il nemico a Oriente.  

Iniziamo a parlare del libro inserendo due aspetti che mi hanno convinto.
Il primo è una novità: il centro del racconto non è più il ratto di Elena con la conseguente guerra, e nemmeno l’ira di Achille ovviamente presente, ma raccolta in poche striminzite pagine, bensì il rapporto tra Patroclo e Achille. Dai primi incontri da bambini, fino al noto epilogo sulla piana di Troia.
Direttamente collegata a questo, una scelta narrativa secondo me azzeccata: Patroclo non solo è il vero protagonista del romanzo, ma anche il narratore. Ed è singolare e innovativa la circostanza che rivesta tale ruolo anche dopo la propria morte.
La Miller ci presenta un personaggio buono, molto positivo, riflessivo e malinconico.

È il solo ricordo che ho di mia madre. Ed è così felice che sono quasi sicuro di essermelo inventato

E il donargli il ruolo di protagonista è un’altra apprezzata novità, avendo il meneziade sempre rivestito un ruolo “pesante” nella dinamica della storia, ma marginale.

Ma chi era Patroclo? E perché combatteva a fianco di Achille? 

La domanda pare banale, ma i problemi iniziano già…
Osserviamo cosa ci racconta il mito e cosa l’autrice.
Patroclo era un principe, figlio del re Menezio di Opunte; una rocca nella regione della Locride.
Ci sono anche varie teorie sul fatto che i due compagni d’armi fossero parenti, addirittura cugini.
Provo a mettere un punto fermo, dall’alto dell’autorità in materia che non ho!
Non erano cugini, ma ci andavano vicino…
Scorrendo le genealogie presentate dal mito (sempre molto fantasiose con Zeus che compare spesso come padre al fianco di ninfe, dee e quant’altro) la nonna di Patroclo, Egina, oltre a Menezio, aveva generato Eaco che era il padre di Peleo e di Telamone. Quindi Patroclo non era cugino di Achille, bensì del padre Peleo. Da ciò derivano due conseguenze plausibili. La prima è che Omero, contrariamente a quanto sostiene l’autrice in questo libro, ci dice che Patroclo era più anziano di Achille, la seconda è che potrebbe trovare una logica il fatto che il giovane non combattesse con i suoi compatrioti.    
Infatti né Omero e nemmeno la Miller lo presentano, come poteva essere prevedibile, al comando dell’esercito della sua città, ma tra le fila dei Mirmidoni, guerrieri della Tessaglia provenienti dalla città di Ftia.  

Il mito narra che aveva dovuto lasciare la sua città e aveva trovato rifugio a Ftia (a questo punto alla corte del cugino Peleo). Posizione simile la troviamo in questo romanzo dove però l’autrice non gli dona il prestigio del guerriero, non fa cenno alla parentela, ma gli cuce addosso il vestito del “compagno” esile ed esule di Achille, incapace di combattere, che lo seguirà perfino in guerra per amore…
Omero ci racconta altro: Patroclo non era valoroso come Achille e probabilmente nemmeno come Aiace o Diomede, ma era un soldato temibile. Non è un caso che uccida uno dei più forti tra gli avversati (Sarpedonte, il re dei Lici) e che cada sotto i colpi di un soldato troiano, con il colpo di grazia inferto da Ettore, solo per l’intervento maligno di una divinità che lo priva delle forze e delle protezioni al corpo.

Non mi ha convinto quindi quanto ho letto, affezionato a un’idea più antica del personaggio. Patroclo è più mite rispetto al sanguigno Achille, più dolce e riflessivo ma non un inetto incapace anche di tenere una spada in mano.

Il grande tema del romanzo è il rapporto amoroso tra i due. L’omosessualità non era un tabù nell’antica Grecia, ma addirittura vista come “propedeutica” a una successiva eterosessualità. Una pratica abbastanza comune, come esperienza in giovane età, quando probabilmente veniva trascorso maggior tempo con i compagni in armi, che con le rappresentanti dell’altro sesso.

Il legame tra Achille e Patroclo è sempre stato considerato ambiguo, ma Omero non lo ha mai dichiarato apertamente come omosessuale. Nell’ Iliade, dopo la morte dell’amico, la madre Teti, invita Achille ad andare a combattere e pensare a prendere moglie! Come si può leggere questo passaggio?  A parte il fatto che, in teoria, era già sposato con Deidamia, la figlia del re di Sciro, città dove la madre lo aveva nascosto per non farlo partire per la guerra di Troia, che gli aveva dato anche il figlio Neottolemo…  
L’autrice rompe gli indugi raccontando di due giovani amanti e legatissimi fin dalla giovane età.
La scelta narrativa ci può stare alla luce di quanto abbiamo sopradetto, ma la cosa che mi ha convinto poco (e che paradossalmente credo sia il motivo del successo del libro) è trasformare il tutto in un romanzo dai toni quasi rosa. La guerra, la voglia di conquista, perfino l’ira di Achille, diventano elementi minimi in un romanzo sentimentale. Io sono di parte e preferisco il racconto delle mischie sotto le mura con le urla dei guerrieri, ma la scelta probabilmente è stata vincente. Anzi sicuramente visto il successo del libro!

Il romanzo è molto scorrevole e la qualità della prosa ottima. Ci sono molti passaggi capaci di emozionare, ma il senso di perplessità non l’ho mai perso durante tutta la, seppur piacevole, lettura.
Ci sono alcune imprecisioni riguardo a cosa ci racconta il mito e alcuni personaggi invece ben più strutturati e valorizzati. Penso alla nuova e maggiore luce data a Briseide, che con Achille e Patroclo forma quasi una famiglia felice, fino a quando Agamennone non la reclama a sé scatenando di fatto la famosa ira.

Se, nonostante le perplessità sopradette, ho apprezzato il personaggio di Patroclo, non posso dire la stessa cosa di Achille. Considerato il miglior guerriero da tutti i re achei, ma la prima volta che combatte è a Ilio… Fino all’inizio della guerra è tranquillo, timido e innamorato del compagno, all’improvviso, nonostante affermi che i Troiani non gli avevano arrecato alcun torto, diventa spietato e cattivissimo in battaglia. Gli episodi dove vengono rappresentate le virtù del figlio di Peleo e le sue debolezze (la lite con Agamennone, la morte di Patroclo, l’uccisione di Ettore e la restituzione del corpo a Priamo) sono tutti liquidati in pochi righi. E il romanzo non è certo breve…
Il concetto fondamentale, da sempre legato alla figura del protagonista omerico, della conquista della gloria eterna attraverso i successi in battaglia, è totalmente assente.
E allora cosa rimane…      

“Spalancò gli occhi. «Dimmi il nome di un eroe che è stato felice.»
Riflettei. Eracle era impazzito e aveva ucciso la sua famiglia, Teseo aveva perso la sua sposa e suo padre; i figli e la nuova consorte di Giasone erano stati uccisi dalla sua prima moglie; Bellerefonte aveva ucciso la Chimera ma era caduto dal dorso di Pegaso ed era rimasto storpio.»
«Non puoi.»  Si alzò a sedere e si sporse in avanti.
«Non posso.»
«Lo so. Gli dei non permettono a nessuno di essere famoso e felice.»
Inarcò un sopracciglio. «Ma voglio confidarti un segreto.»
«Dimmi.»  Adoravo quando faceva così.
«Io sarò il primo.»
Mi prese il palmo della mano e lo premette sul suo.
«Giuralo.»
«Perché io?»
«Perché sei tu la ragione. Giuralo.»
«Lo giuro.» “

Un romanzo d’amore, ben scritto e con passaggi anche emozionanti. Come dice la trama, dimentichiamo la guerra, i duelli, le stragi. Soprattutto dimentichiamo Omero…

“Un urlo, che lacera ogni cosa che trova sulla sua strada per uscire. E poi un altro, e un altro. Ciocche dorate cadono sul corpo insanguinato. Patroclo, dice, Patroclo. Patroclo. Ancora e ancora, e alla fine il nome diventa soltanto suono. Da qualche parte, Odisseo è in ginocchio, chiede a gran voce da mangiare e da bere. Una rabbia rossa e feroce lo afferra, e per poco non lo uccide. Ma dovrebbe lasciarmi andare. E non può farlo. Mi tiene così stretto che riesco a sentire il debole battito del suo petto, come le ali di una falena. Un’eco, l’ultimo brandello di spirito ancora imbrigliato al mio corpo. Un tormento.”

Arriviamo alla conclusione.
Il romanzo è un capolavoro? Direi di no.
Merita il successo che ha avuto? Probabilmente no, però l’autrice è stata brava. Ha inserito una storia dolce e ben scritta, all’interno di un racconto amato e conosciuto da tutti e due meriti le vanno ascritti.
Il primo è che è andata a coprire un’area vergine (abbiamo quanto il rapporto tra Achille e Patroclo fosse pieno di ombre, di cose non raccontate e lacunoso). Poi ciascuno si può fare la propria idea sul risultato finale.
Il secondo merito è che ha fatto tornare di moda il tema omerico. Si sono susseguiti romanzi in questi anni (alcuni belli, altri meno), e continuano a esserne pubblicati senza sosta. Arriveremo all’overdose, ma da amante del genere ne sono contento. Se penso al peso che ha avuto questo libro, mi torna in mente “Il Codice da Vinci” di Dan Brown, gradevole e avvincente, che ha di fatto creato o perlomeno fatto esplodere il genere del thriller storico, ancora più direi de “Il Nome della Rosa”, capolavoro e pilastro del genere, che non aveva, perlomeno nell’immediato causato la stessa spinta emulativa.   
Un romanzo quindi che si può leggere, probabilmente più tagliato per una platea femminile (e considerando quanto leggono di più le donne rispetto agli uomini è  stato sicuramente un enorme vantaggio per la sua diffusione), a patto di accantonare quanto conosciuto e non fare paragoni e confronti che vedrebbero La canzone di Achille uscire sconfitta!

“Nell’oscurità, due ombre si avvicinano attraverso il crepuscolo fitto e senza speranza. Le loro mani s’incontrano e la luce si riversa inondando ogni cosa, come centro urne d’oro che, aperte, fanno uscire il sole. “


PRO
Alcuni passaggi sono indubbiamente toccanti, l’aver creato una storia dove mancava, l’enorme spinta alla letteratura di genere.

CONTRO
Un romanzo leggero e a tratti rosa, l’assenza totale di quanto respirato nell’Iliade

Link cartaceo: La canzone di Achille
Link ebook: La canzone di Achille

Trama
Dimenticate Troia, gli scenari di guerra, i duelli, il sangue, la morte. Dimenticate la violenza e le stragi, la crudeltà e l’orrore. E seguite invece il cammino di due giovani, prima amici, poi amanti e infine anche compagni d’armi – due giovani splendidi per gioventù e bellezza, destinati a concludere la loro vita sulla pianura troiana e a rimanere uniti per sempre con le ceneri mischiate in una sola, preziosissima urna. Madeline Miller, studiosa e docente di antichità classica, rievoca la storia d’amore e di morte di Achille e Patroclo, piegando il ritmo solenne dell’epica alla ricostruzione di una vicenda che ha lasciato scarse ma inconfondibili tracce: un legame tra uomini spogliato da ogni morbosità e restituito alla naturalezza con cui i greci antichi riconobbero e accettarono l’omosessualità. Patroclo muore al posto di Achille, per Achille, e Achille non vuole più vivere senza Patroclo. Sulle mura di Troia si profilano due altissime ombre che oscurano l’ormai usurata vicenda di Elena e Paride.

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