Recensione a cura di Mara Altomare
Il protagonista di questo romanzo, il capitano Giordano Bruno Venettacci, per qualcuno è una vecchia conoscenza: chi ha letto “In morte di Anita Garibaldi” ha già scoperto le sue doti di investigatore, e può riconoscere l’impronta dell’autore, Andrea Santucci, che da profondo conoscitore del periodo risorgimentale, coniuga la storia con un giallo in piena regola. Uno stile coinvolgente che immerge la trama in un’epoca di grande vivacità, arricchendola delle atmosfere della Roma pontificia all’indomani dell’esperienza della repubblica romana: è una cornice affascinante a cui fa da sfondo il fiume Tevere con i suoi misteri.
Il Tevere scorreva lento, quasi controvoglia. Il capitano Giordano Bruno Venettacci non aveva sempre guardato al fiume con affetto, specialmente nell’ultimo anno, ma trovarsi al suo cospetto significava essere a casa, nella Roma in cui aveva trascorso tutta la vita, e quello, per lo meno, era qualcosa di cui essere felici.
Il romanzo inizia proprio sulle rive del fiume, che in una fredda giornata di dicembre riporta a galla un cadavere, sulla cui vicenda Giordano Bruno Venettacci è chiamato ad indagare. Quello che apparentemente sembra un incidente, potrebbe nascondere una verità più complicata: il sospetto che ci si trovi di fronte a un omicidio, piuttosto che a un suicidio, si fa sempre più concreto. Ma c’è di più: questo mistero induce Giordano a rivivere il dramma della morte di suo fratello Italo, avvenuta un anno prima e nelle medesime circostanze. Una serie di analogie che risvegliano un dolore mai sommerso e alimentano in Giordano profondi dubbi, con la necessità sempre più urgente di trovare delle risposte. Ecco perché l’indagine diventa “privata” e la motivazione del capitano è animata sì dal dovere, ma anche dai sentimenti.
Amo mio fratello e lo amerò per sempre, ma la sua morte ha preso possesso di tutti gli altri ricordi che ho di lui e non posso lasciare che resti così
Le descrizioni dei personaggi e degli ambienti sono molto dettagliate e trasportano completamente il lettore dentro alla scena. Suggestivo il ritrovamento del cadavere… un uomo che giace prono su un tappeto di fanghiglia brunastra, le gambe ancora immerse nell’acqua, i vestiti di tessuto grossolano fradici aderenti al corpo come a un sudario…
Giordano spicca per la sua intelligenza e arguzia, ma il suo dolore personale fa emergere la sua umanità: la mai avvenuta rassegnazione, il tormento per la perdita del fratello e poi il sentimento di protezione nei confronti della cognata, Lucia, diventata vedova troppo presto, con cui cresce un rapporto di grande complicità, protezione, affetto, e forse, tra le righe, qualcosa di più profondo…
A tratti Giordano ci fa anche sorridere per le sue fissazioni sulla pulizia, il continuo sciacquarsi le mani con acqua mista ad aceto, per non parlare delle sue improbabili abitudini alimentari, del suo cocciuto rifiuto di bere vino e di fumare tabacchi!
Tocco di classe sono i dialoghi tra Giordano Bruno Venettacci e il suo secondo Scaccia, compagno prezioso, anche lui già conosciuto nel romanzo precedente, con cui Giordano Bruno condivide le indagini e la ricostruzione dei fatti. Il brigadiere Scaccia è il collega e anche l’amico attento che comprende i sentimenti del suo superiore, che con rispetto e ironia lo riporta alla realtà e alla concretezza; la spalla divertente che con il suo accento romano aggiunge alla narrazione un alone di leggerezza, sdrammatizzando la serietà del suo capo; l’attore non protagonista che sa mantenere sempre viva l’attenzione del lettore, man mano che si aggiungono elementi utili alla risoluzione del caso.
E’ possibile che una persona sia responsabile della morte di mio fratello”
“Capità… E’ anche possibile che vi facciano Papa – ribattè Scaccia senza nemmeno cercare di mascherare il suo scetticismo – dopotutto siete cattolico e celibe!”
E poi… c’è una splendida Roma in questo romanzo! Viva e movimentata, si apre al lettore con le strade e i vicoli, i monumenti, da Piazza del Popolo al teatro Marcello, passando per la Bocca della Verità, tra gli odori e i suoni di Trastevere, e lungo il corso di quel fiume che trasporta vita e morte.
Una città il cui tumulto di quegli anni si rispecchia nell’inquietudine di Venettacci. Sono gli anni immediatamente successivi alla repubblica romana e all’esperienza liberale, che Giordano Bruno aveva peraltro abbracciato. Ma è anche il momento in cui la repubblica romana collassa su sé stessa: quando Mazzini fugge, la città piomba nel caos, nel vuoto di potere; Roma accoglie di nuovo il Papa, ma in questo clima irrequieto lo stesso Venettacci si sente perso, vive il timore di ripercussioni, di essere accusato di tradimento, ed è a sua volta costretto a diffidare di tutti, dagli indagati, ai testimoni, ai colleghi…
A volte il modo migliore per individuare la verità è allontanarsi da quello che è ben definito dalle regole
L’ambientazione di un così particolare contesto fa sì che il giallo sia tessuto su una base che dà una veste di alto spessore storico e politico alla trama e ai personaggi, lasciando comunque il romanzo scorrevole e godibile. Una lettura agile che si fa apprezzare anche per la sua struttura in capitoli brevi: pagine che segnano i giorni che trascorrono, che articolano una trama intensa, ma che si svolge in un arco di sole due settimane, in un freddo mese di dicembre del 1854. E sarà proprio il Natale a incorniciare per noi lettori l’epilogo di questa storia, consegnandoci la risoluzione dell’indagine in una gelida Roma avvolta dalla neve.
PRO
Equilibrata alternanza tra storia, fantasia e mistero, con un omaggio a Roma esaltata nei suoi luoghi più celebri e svelata in quelli più oscuri.
CONTRO
Presenza di numerosi personaggi che infittiscono la trama e contribuiscono a mescolare le carte del mistero, rischiando di disorientare il lettore; tuttavia è indubbio che le frequenti riflessioni dei due protagonisti sulle indagini aiutano spesso a non perdere il filo.
Link cartaceo: Un’indagine privata
Link ebook: Un’indagine privata
Trama
Roma, 1854. Dopo la caduta della repubblica romana, la Gendarmeria pontificia è più che mai impegnata nella caccia ai liberali. È in questo clima che una mattina di dicembre viene ritrovato un cadavere sulla riva del Tevere, disteso nel fango. Potrebbe essere un banale caso di annegamento dovuto a una caduta accidentale nel fiume, ma il capitano della Gendarmeria Giordano Bruno Venettacci, intervenuto sul posto insieme al brigadiere Scaccia, non è disposto a chiudere il caso così in fretta. Quella morte, infatti, ricorda a Venettacci quella del fratello Italo, avvenuta esattamente un anno prima. Anche Italo era stato trovato una mattina sulle rive del Tevere, morto. E anche il suo caso era stato chiuso come “incidente”. E se invece dietro queste morti si celasse un’unica mano? Per Venettacci e Scaccia inizia un’indagine non autorizzata per scoprire cosa abbia causato la morte di Italo e dello sconosciuto.