Recensione a cura di Lorenzo Angelaccio
Di romanzi e diari di memorie che raccontano l’orrore della Shoah ce ne sono tanti, alcuni diventati capolavori della letteratura mondiale; eppure in pochi affrontano questa tematica con un taglio che trascende la realtà, sublimandola in una dimensione quasi onirica utilizzando elementi fantastici. Questo è il caso del romanzo L’asilo di pietra di Alessandro Bellomarini, pubblicato da Pathos Edizioni.
Il romanzo ha come protagonista Jana Kilmek, bambina ebrea di Praga che, in seguito alle leggi razziali, è costretta a fuggire dalla città durante la “notte dei cristalli” e a separarsi dalla madre. Riesce a salvarsi finendo su un camion pieno di ebrei diretto in Svizzera, a Locarno, dove viene adottata da Elisa Keller, enigmatica magnate locale.
Qui incontra diversi personaggi, tra cui l’ombroso Urs, ragazzo con cui inizierà una torbida relazione che condizionerà tutta la sua futura vita. Parallelamente, viene narrata la vicenda di Klaus, padre di Jana, che si era allontanato dalla famiglia diverso tempo prima che lei lasciasse Praga. Dopo essere stato costretto ad abbandonare la compagnia teatrale per cui recitava, Klaus viene deportato nel campo di Bergen-Belsen, dove assiste agli orrori della Shoah. Riesce a salvarsi, in seguito ad alcune circostanze, diventando il domestico di Josef Mengele, il famigerato “angelo della morte”, e assiste indirettamente ai suoi terribili esperimenti sui bambini prelevati dal campo di sterminio.
Un tipo nerboruto gli tatuò sul braccio il suo numero di matricola. I pirati e i marinai erano pieni di quei simboli e disegni sulla pelle, ma non immaginava di certo che facesse così male disegnarseli. Era come una lama rovente che gli scavava nella carne. Si paragonò alle vacche e ai vitelli che venivano marchiati a fuoco. Si sentì parte di una demoniaca filiera dalla fine incerta.
Le vicende di Jana e Klaus procedono in parallelo fino a intrecciarsi nell’ultima parte del romanzo, dove una serie di colpi di scena metteranno in discussione tutto ciò a cui si è assistito in precedenza.
L’asilo di pietra è un romanzo crudo e allo stesso tempo onirico, che trae proprio dall’alternanza e dall’intrecciarsi delle diverse vicende e dei diversi protagonisti uno dei suoi principali punti di forza. All’inizio si potrebbe rimanere un po’ spiazzati dalla presenza di diverse ambientazioni e diversi piani temporali (soprattutto se ci si aspettava un romanzo interamente ambientato durante la Seconda guerra mondiale), ma una volta entrati nel vivo della vicenda, questa cattura il lettore fino alla fine attraverso tutti i suoi colpi di scena.
L’elemento di maggiore originalità, invece, è costituito dall’onirometro: immaginario apparecchio elettrico in grado di provocare, in chi lo usa, una fase REM indotta artificialmente che provoca visioni oniriche e soprannaturali, come dei veri e propri sogni, causando però anche intensi effetti collaterali come ustioni e nausea. L’uso di questo apparecchio si intreccia alla storia vera di Mengele: come è tristemente noto, eseguiva esperimenti di ogni tipo sui bambini prelevati dal campo, che poi uccideva senza la minima pietà.
L’autore immagina che Mengele usasse proprio questo macchinario fantascientifico per condurre le sue ricerche e manipolare la psiche delle cavie. Anche Jana, suo malgrado, si ritroverà a fare da cavia subendo gli effetti di questo macchinario (sebbene non da Mengele): cosa che influirà notevolmente sulla sua futura vita. È comunque da sottolineare come questo elemento tipicamente fantastico (se non addirittura fantascientifico) sia ben integrato nella trama e nell’ambientazione del romanzo al punto da sembrare un macchinario realistico, che avrebbe potuto benissimo essere usato dai nazisti nei loro esperimenti. La credibilità, quindi, non viene mai intaccata con intrusioni troppo esplicite dell’elemento fantastico, che al contrario rimane sempre un po’ sullo sfondo – importante ma non invadente.
Il romanzo è veramente molto ricco e stratificato e, come già anticipato, va oltre il tradizionale resoconto degli orrori dell’Olocausto. È largamente presente il tema dell’amore (sia sensuale, sia affettivo), e come quest’ultimo ubbidisca spesso e volentieri a impulsi irrazionali e distruttivi, che spingono Jana verso persone che le faranno solo del male.
Quando non la punivano, le mancava. Pensò che invece di tornare nella sconfinata vastità della tenuta, sarebbe potuta andare al bunker di Urs: magari l’avrebbe accolta per nuovi esperimenti, ma poi rifletté che non era la scelta giusta. Doveva imparare a vivere senza dipendere da qualcuno.
È affrontata, inoltre, la tematica dei manicomi, in un’efficace giustapposizione con i campi di sterminio. Sebbene nei manicomi non viene ucciso direttamente nessuno, nella scena in cui Jana viene forzatamente internata è impossibile non pensare a come questa triste realtà sia simile a quella dei lager nazisti; e come anche in questi posti, che dovrebbero essere di cura e di riabilitazione, si compiano esperimenti di ogni tipo, tra cui quelli con l’elettroshock. Viene quindi spontaneo domandarsi se effettivamente ci siamo liberati degli orrori nazisti o se questi siano ancora presenti nella società di oggi – magari sotto altre forme e modalità.
L’asilo di pietra è un romanzo intenso e toccante, costantemente in bilico tra realtà e fantasia, al punto che si vorrebbe pensare che tutta la Seconda guerra mondiale sia solo un incubo. Una trama che mescola i generi in un mix originale e unico, ma in cui non viene mai sacrificata l’accuratezza storica e la volontà di far immergere i lettori in personaggi molto lontani e dalla mentalità molto diversa dalla nostra.
La poesia non può non essere sincera perché è qualcosa che appartiene all’anima. Più si conoscono bugiardi e più si dovrebbe vivere con sincerità.
PRO
- Affronta la tematica della Shoah in maniera inusuale
- L’elemento fantastico dona originalità, ma senza snaturare la componente storica
- Ogni personaggio è sfaccettato e tridimensionale, ricco di luci e di ombre
CONTRO
Ci vuole un po’ prima di entrare nel vivo della vicenda
Trama
Jana Kilmek ha 10 anni e può vedere i fantasmi. Durante la Notte dei Cristalli di Praga sua madre le strappa la Stella di David dal cappotto e la mette su un furgone che la conduce clandestinamente in Svizzera. La ospita l’enigmatica Elisa Keller: facoltosa magnate di Locarno che la educa con rigore e severità. L’innamoramento con Urs, il figlio sedicenne dell’ex fattore della magione della donna, interessato ai suoi poteri psichici, condurrà la bambina nel bunker nel bosco in cui il ragazzo vive. Per Jana sarà l’inizio di un incubo che riporterà a galla un passato torbido che la comunità vuole tenere nascosto.