Recensione a cura di Maria Marques
L’onda d’urto prodotta dalla Rivoluzione Francese si propagò non solo in Europa, ma anche nel Nuovo Mondo investendo in pieno l’isola di Haiti che dopo anni di lotte, nel 1804, ottenne infine l’indipendenza dalla Francia.
Portavoce dell’indipendenza dell’isola che, all’epoca, si chiamava Saint-Domingue, fu Toussaint Louverture, soprannominato lo “Spartaco nero” perché guidò, come il suo omonimo di epoca romana, una grande rivolta di schiavi. Sulla sua figura, come spesso accade, la verità si stempera nella leggenda. Merito dell’autore, Sudhir Hazareesingh, è di aver ricostruito attentamente attraverso i testi e lettere che ci sono pervenute, la realtà storica di questo personaggio, collocandolo nel contesto sociale di Haiti e del suo tempo e naturalmente sfrondandolo di ogni nota leggendaria, evidenziandolo con le sue luci e le molte ombre.
“Sono nato schiavo, ma la natura mi ha dato l’anima di un uomo libero”.
Toussaint nacque “all’interno della tenuta di zucchero di Bréda, in cui i genitori lavoravano come schiavi” ereditando la condizione servile dei genitori e il cognome della piantagione in cui nacque. Se questo è un dato incontrovertibile, è assai più complicato stabilire la sua data di nascita che può essere avvenuta tra il 1735 e il 1746, perché “agli schiavi non venivano rilasciati certificati nascita”. Toussaint, soprannominato Fatras-Bâton (Bastone rinsecchito), lavorò nella piantagione come domatore e poi come cocchiere, sviluppando doti di eccellente cavallerizzo, imparando anche a leggere e a scrivere dai Gesuiti. L’educazione di stampo europeo e cristiano si fuse a quella ereditata dalla tribù africana degli Allada da cui mutuò tradizioni, riti incluse le pratiche mediche, tanto da diventare un guaritore. Abile e intelligente, ottenne la libertà e diventando il braccio destro dell’amministratore della piantagione e si prodigò per migliorare le condizioni socio sanitarie di tutti i suoi compagni di schiavitù.
Allo scoppio della Rivoluzione Francese, Haiti era il “più grande produttore mondiale di zucchero e caffè, e poteva contare anche su quantità significative di cotone, indaco e cacao” e nelle piantagioni lavoravano, in condizioni disumane, circa cinquecentomila schiavi, la maggiore parte originaria dell’Africa che non godevano di nessun diritto anche se, il “Code noir” risalente al 1685, disciplinava il loro trattamento, nelle colonie francesi. Accanto ad essi, schiavi fuggiaschi alimentavano il desiderio di ottenere maggiori diritti, facendo pressione sul governo, come osserva l’autore, sottolineando che a differenza di quanto accadde in Francia “la forza motrice che innescò la rivoluzione non fu la classe dei liberali borghesi bianchi, ma quella degli schiavi neri…”.
Nel 1790 un ristretto gruppo di schiavi si ribellò e nel 1791, ai mulatti e a tutti le persone di colore nate libere, furono concessi i diritti politici. La ribellione scoppiò e dilagò per l’isola e Toussaint, dopo un primo momento in cui non si unì ai ranghi dei ribelli, prese posizione diventando il comandante di cui gli schiavi avevano bisogno.
Toussaint consapevole che per la ricchezza insita nell’isola, lo scontro sarebbe divampato a livelli ben più alti, coinvolgendo le potenze europee che vedevano la Francia schierata contro Spagna e Inghilterra, seppe sfruttare a proprio favore questi scontri. Cambiò bandiera a seconda delle convenienze, perseguendo però un unico fine: una società migliore in cui esistesse un’uguaglianza giuridica tra tutti gli abitanti dell’isola e l’abolizione della schiavitù. Con estrema lucidità comprese anche che il razzismo vigente nell’isola, tra i bianchi, i creoli e gli ex schiavi fosse da superare: “Tra le altre cose Toussaint era convinto, ad esempio, che l’emancipazione dei neri non si sarebbe potuta realizzare senza tenere conto degli interessi dei bianchi e dei mulatti della colonia”, perché tutti erano necessari e ciascuno capace di un apporto peculiare alla ricchezza e prosperità dell’isola.
“Il suo senso di fratellanza era irrobustito dalla fede cattolica, che cementava a sua volta la certezza che una rigenerazione sociale fosse possibile: vi erano un significato e uno scopo soggiacenti all’esistenza umana, e tutti gli uomini e le donne erano parimenti degni della grazia di Dio, al di là della etnia e del colore”.
Tra il 1792-93, Toussaint adottò il soprannome di Louverture, dalla parola francese che significa “apertura” o meglio “colui che ha aperto la strada” e anche se graficamente errato, questa fu la sua firma, come appare da alcune lettere autografe. Dapprima alleato degli spagnoli che sostenevano gli schiavi ribelli contro la Francia, per poi passare dallo schieramento opposto quando nel 1794 il commissario francese dell’isola proclamò l’emancipazione di tutti gli schiavi di Haiti. Schiavo, comandante militare, governatore dell’isola, una carriera che si interruppe solo quando nel 1802 Napoleone inviò a Haiti un nuovo esercito per riprendere il controllo dell’isola. Tradito e catturato, Toussaint si spegnerà in una prigione francese.
Un’esistenza incredibile quella di questo personaggio, che l’autore tratteggia e spiega in modo chiaro ed esaustivo non solo dal punto di vista storico, ma anche ideologico e politico.
Impossibile restare indifferenti alla parabola umana di questo ex schiavo che seppe convivere con i principi illuministici e cristiani e che attraverso, violenza, pragmatismo e mediazione cercò di portare la sua patria verso un progresso economico ma anche sociale, senza mai dimenticare la sua cultura africana. E, nonostante che la sua esistenza termini nel modo più triste, nuovamente prigioniero, lui che aveva, di fatto, liberato dalle catene della schiavitù il popolo di Haiti, la sua isola nonostante un percorso difficile, divenne il secondo stato del continente americano a ottenere l’indipendenza dalla madrepatria.
Un saggio in cui l’autore, noto per i suoi saggi su Napoleone, ha affrontato un lavoro certosino di ricerca di testi originari comparandoli tra loro, per portare alla luce quello che probabilmente fu Toussaint, e che delinea in modo approfondito il suo agire e il periodo in cui si trovò a vivere. La realtà storica di Haiti e del suo popolo emerge dalle pagine con un sapiente bilanciamento di spiegazioni e di avvenimenti, permettendo al lettore di comprendere la portata dei principi della Rivoluzione Francese che spesso pensiamo limitata solo al Vecchio Continente.
“Sono Toussaint Louverture, forse avrete già sentito il mio nome. Voi sapete, fratelli, che ho intrapreso la strada della vendetta e che desidero una Saint-Domingue in cui regnino libertà e uguaglianza. Sin dal principio mi sono impegnato affinché questo accadesse per la felicità di noi tutti”.
PRO
Un saggio per scoprire un personaggio la cui esistenza spesso s’ignora e che seppe, grazie ad intelligenza e spietatezza, ricavarsi un ruolo fondamentale nella politica coloniale francese di Haiti. Utilissima l’introduzione con la storia di Sainte –Domingue e la cronologia inserita nelle ultime pagine del saggio del periodo trattato.
CONTRO
Un saggio ricchissimo di avvenimenti e personaggi che spesso si confondono e da cui talvolta è difficile districarsi. Indubbiamente un’approfondita conoscenza del momento storico nonché della politica coloniale francese in America, può aiutare, ma per chi ne è digiuno, genera la sensazione di perdersi in un labirinto…caraibico.
Trama
Agosto 1791. Una scintilla accende la rivoluzione degli haitiani contro l’oppressione dei coloni francesi. I primi a sollevarsi sono gli schiavi neri, capitanati da un personaggio oggi leggendario: Toussaint Louverture, ex schiavo liberato, capopopolo, guerriero e ribelle. È proprio lui a guidare il processo che, nel corso di dodici anni, porta alla proclamazione del primo Stato nero indipendente: diventa governatore, promulga la Costituzione, dialoga con scaltrezza con i colonizzatori europei. Fino alla tragica morte, da prigioniero, in una fortezza francese.Eppure, quella di Toussaint Louverture resta forse la più enigmatica tra le figure che contribuirono a delineare l’Età delle rivoluzioni. È tutt’oggi raffigurato su monete, banconote e magliette diffuse in tutto il mondo, ma l’unico ritratto che gli fu fatto in vita è andato irrimediabilmente perduto. Esperto conoscitore di autori quali Machiavelli e Rousseau, fu comunque liquidato da Thomas Jefferson come «un cannibale». Sebbene sostenesse di mirare a «dire poco ma fare il più possibile», la sua intensa corrispondenza riuscì a sfinire i cinque segretari che aveva all’apice del potere. E, nonostante avesse tentato di soppiantare la religione locale, alla sua scomparsa fu comunque venerato tra i loa, gli spiriti della cultura vudù. Grazie a uno straordinario acume interpretativo e a ricerche approfondite condotte su archivi inediti, Sudhir Hazareesingh ci presenta la biografia definitiva – avvincente e ricchissima – dell’eroe haitiano, delineandone la parabola umana e politica senza nasconderne le ombre (l’autoritarismo, il fatto che avesse avuto degli schiavi…). E, soprattutto, ci mostra come sia stato capace di incanalare nella propria battaglia l’eredità ibrida della cultura degli schiavi, nutrita anche di misticismo caraibico e tradizioni africane, fondendola agli spunti dell’Illuminismo e dei moti rivoluzionari europei.