Recensione a cura di Raffaelina Di Palma
“Mi chiamo Emilie, nome ordinario che in germanico significa lavoratrice, ma mi chiamano tutti Milly le petit rat”.
Inizia così il romanzo, La Ragazza dell’Opera, di Adriana Valenti Sabouret, edito da Arkadia Editore.
Con questa breve e concisa frase si apre il sipario sulla vita di Emilie Desmoulins, nome d’arte Milly, il minuscolo “ratto” dell’Opera di Parigi.
Verso la fine dell’Ottocento Parigi respira l’atmosfera incantata della Ville Lumiere in piena modernità.
La protagonista nasce nel quartiere popolare di Pigalle. Sua madre cerca, attraverso lei, la più bella delle sue tre figlie, una sorta di riscatto a una vita di stenti e di umiliazioni. Determinata a inseguire il successo porta Milly, ancora bambina, al Teatro dell’Opera perché possa intraprendere i corsi di danza per diventare una famosa ballerina, ma la sua ambizione non si ferma qui. Lei non aspira soltanto a un futuro di successo per la figlia, ma spera che attraverso quel successo possa esercitare anche e soprattutto l’arte della seduzione, ottenendo così la “protezione” di qualche gentiluomo facoltoso in modo che anche l’intera famiglia possa godere dei benefici.
“Alla mia epoca l’infanzia non era tutelata, la scuola primaria era facoltativa e la maggiore età a livello sessuale era da poco tempo fissata a tredici anni per correggere la precedente e precoce soglia degli undici anni. Tutto ciò che ci accadeva di brutto era in qualche sorta legale o legalizzata.”
Con questo racconto, viene sfatato un mito come quello della danza, mostrata in tutta la sua durezza, delle piccole danzatrici, presentate come “topolini grigi”, dai cosiddetti “gentiluomini” delineati come protettori. Un tema trattato in tutta la sua crudezza, in prossimità tra il mondo della danza e quello della prostituzione: capitava spesso, infatti, che le giovani ragazze, quando non venivano scritturate, finissero a lavorare in un bordello.
Un passato ricostruito con cura, un racconto struggente di bambine che suscitano ammirazione e tenerezza.
Lo sguardo di quella Parigi di fine Ottocento, si concentra su quella spinta elementare che porta ogni essere umano a combattere per riscattarsi dalle proprie sconfitte e frustrazioni: espressioni dei ceti più umili della società. Sono toccanti le rappresentazioni che pittori famosi dell’epoca fanno delle mamme popolane che scortano fiduciose le loro bambine al primo esame.
In uno dei suoi quadri più famosi, “L’attesa”, Edgar Degas, espone in maniera reale tutte le speranze che le famiglie meno abbienti ponevano nell’avere una figlia all’Operà. Piegate su se stesse, mamma e figlia, sono commoventi, schiacciate dall’attesa del verdetto: l’artista, ha colto in maniera straordinaria quel momento, carico di angoscia senza tempo.
“Erano lungi dall’immaginare quanto stanche potessimo essere dopo aver trascorso ore e ore a danzare contorcendoci in orribili ed estenuanti pliès, in prove e spettacoli ricompensati da un pugno di vaghi ed effimeri applausi. Per i galantuomini eravamo sifilidi, sultane, leggiadre farfalle, creature alate, insetti dalle ali dorate che si libravano nell’aria emanando essenze vanigliate e speziate. Fremevano di piacere nell’osservarci.”
Adriana Valenti Sabouret, con il suo stile narrativo ricco di neologismi e di sinestesie che danno colore e fluidità alla narrazione, ci racconta il mondo dell’Opera da un punto di vista insolito, in una delle sfaccettature che pare essere un mondo a sé: separato dalla realtà e forse lo è, ma non nel senso di un mondo ribaltato, per innalzare il rispetto e la dignità femminile: anzi il potere maschile si manifesta con certezza e si acutizza, senza quei limiti, seppur imposti dalle regole sociali.
Si acuisce la distanza socio-economica tra spettatori e ballerine e “istituzionalizza” il corpo femminile, che fa cadere ogni forma di decoro, che mai nella vita reale un aristocratico avrebbe guardato come una bestia rara una sua pari rango. Questo è il mondo che traspare dai capolavori di Degas; in essi si rivela la profonda malinconia che emerge da certe sue danseuses.
Molto ben delineati i profili delle persone più importanti della vita di Milly: dal padre al principe Valerio, da Lord Sanbury, dal direttore del teatro Roche, alla madre; ognuno di essi spunta dalla narrazione come un unicum.
È la stessa Milly a raccontare in prima persona quel mondo nel quale l’ha catapultata, l’ambizione e l’egoismo di sua madre.
“Noi petits rats eravamo le figlie della miseria, proprio come i gamins des rues, (ragazze di strada), e le altre figure del popolo parigino onesto e industrioso. Sorrisi mesti e innocenza perduta, lavoravamo per non morire, barattando i nostri esili corpi per un tozzo di pane costretti dalla sorte matrigna.”
In questa bambina, sbocciata in una meravigliosa ragazza bionda con gli occhi azzurri, ricca di una grazia e di un’attitudine innata si sviluppa la passione per la danza, accompagnata da un rigore che le fa prendere la sua professione come una missione.
Valerio, il suo grande amore romantico, il principe italiano, bello e sensibile. A lui segue la complicata storia con un lord inglese. Anche se non molto fortunate, queste due storie, si rivelano i cardini sentimentali più importanti della sua vita.
Malgrado le traversie che deve superare nell’arco della sua vita, Milly, si rivela una donna molto forte con una grande carica di vitalità. Capace di far fronte alle avversità, uscendone ogni volta rafforzata; capace di trasformare l’evento negativo in una fonte di apprendimento che le consente di acquisire competenze utili per migliorare la propria vita.
La sua storia è un continuo scendere a patti con la vita, che spesso la lascia nella disperazione ma, ogni volta, si rialza sperando che ci sia ancora una briciola di felicità per lei.
“Il tratto di matita nera attorno agli occhi cominciò a declinare sciogliendosi sul bianco di piombo della palpebra inferiore. Sentivo il fiato caldo del pubblico quasi invisibile, annegato nel buio. Danzavo alla cieca, portata dal demone del ricordo e piangevo.”
La lettera finale è un vero colpo di scena. Densa, profonda, sincera. In essa c’è l’anima e lo sguardo di Milly; sul mondo e su noi stessi.
PRO
Il crollo di un mito, soprattutto di quei “gentiluomini” descritti come protettori.
CONTRO
Alla fine alcuni personaggi si riscattano, ma la storia lascia l’amaro in bocca
Trama
Milly Desmoulins è una splendida creatura che la povertà della famiglia e l’ambizione della madre spingono nelle fauci dell’Opera de Paris per lavorarvi come petit rat. Sottoposta a una disciplina ferrea, patisce la fame, conosce l’ignoranza, subisce l’interesse spesso vizioso di gentiluomini che la mantengono agli studi in cambio dell’innocenza che presto sfiorirà fra le loro mani. La sua vita romanzesca, sullo sfondo di una Parigi ottocentesca, è costellata di aneddoti curiosi sul suo ambiente e di episodi che travolgono Milly senza mai toglierle la linfa vitale che la anima. Due amori, quello del principe italiano Valerio Cedronio e per l’inglese Lord Sutton Bunbury, la salveranno in maniera diversa dall’abisso che avrebbe potuto risucchiarla.
Una recensione che mi va dritta al cuore per l’acume con cui Raffaelina Di Palma ha saputo cogliere i messaggi dell’autrice. Ottime anche le scelte dei brani e delle immagini a corredo dell’interessante recensione.
Un grand Merci!