Recensione a cura di Laura Pitzalis
Secondo il Dottor Marsden, professore presso il Beacon College di Leesburg, in Florida, uno dei motivi che spinge all’odio è legato ad un timore verso tutto ciò che è diverso da noi. Come conseguenza si ha un atteggiamento istintivo di condanna che porta un costante desiderio di nuocere chi è fonte di quest’odio.
Nell’ultimo romanzo di Marco De Luca “Odio Mediterraneo”, l’odio è il protagonista: odio per chi, di umili origini, riesce a risalire la scala sociale con un’ottima situazione economica; odio religioso per chi professa fedi diverse dalla propria; odio “femminile” per la condizione di sudditanza all’uomo.
Siamo nella Venezia del ‘500. Il protagonista del romanzo è Maffeo Raffaelli, parón Maffeo, mercante di umili origini che grazie al suo duro lavoro arriva ad essere considerato uno degli uomini più influenti di Venezia e per questo disprezzato da chi il prestigio, e quindi il potere, l’ha acquisito non sul campo ma per casta.
“Poco ci era mancato, l’anno prima, che non fosse sbattuto ai Pozzi dai Giudici di Petizion per presunte irregolarità commerciali: qualcuno aveva chiaramente cercato di farlo fallire, con documenti artefatti e testimoni spergiuri.”
Ha un desiderio Maffeo, il riconoscimento sociale. Sacrifica la propria esistenza al lavoro sicuro che la ricchezza economica e l’aver comprato, nel vero senso della parola, una moglie nobile e giovane possa bastare per essere accettato all’interno della cerchia di quei nobili che invece lo disprezzano, che tramano contro di lui e per i quali non è parón Maffeo ma quello delle marasche.
Un personaggio che mi ha catturato da subito, che Marco De Luca è riuscito a caratterizzare in modo supremo sia dal punto di vista fisico che introspettivo. Ho simpatizzato subito con quell’uomo “dalla tinta abbronzata di un marinaio”, dalla presenza non troppo signorile, da un corpo appesantito dal benessere, una barba fatta crescere per vezzo perché le persone importanti la portano. Un uomo preoccupato di celare il suo accento balcanico con quello veneziano, cosa che in verità non gli riusciva in pieno, convinto che potesse aiutarlo ad avere quel rispetto che solo i nobili avevano per retaggio.
Costruendo da sé la propria fortuna con intelligenza e duro lavoro, riesce da ragazzino che commerciava in maraschino, “costretto a legarsi i calzoni con un pezzo di corda”, a diventare uno dei mercanti più ricchi e capaci di Venezia. Ma non è nobile, è solo un arricchito e di conseguenza vittima delle malelingue, che lo vogliono trafficante di schiavi bianchi e reliquie trafugate, e degli invidiosi di alto rango, soprattutto Giovanni Bembo, nobile appartenente ad una delle casate patrizie più antiche di Venezia.
“Era convinto che presto o tardi ogni mendicante arricchito avrebbe ambito a un seggio in seno al Consiglio e che, di certo, ci sarebbero riusciti sfruttando quei cani dei patrizi decaduti, buoni solo a tirare dadi, a vendere i loro voti in Consiglio e a impegnare i gioielli di famiglia. Aveva provato in tutti i modi a sabotare le spedizioni del parón Raffaelli, era stato lui stesso a denunciarlo ai Giudici di Petizion, ma con astuzia e ostinazione quel mezzo slavo era sempre riuscito a sottrarsi a queste attenzioni.”
È quest’odio la chiave di volta del romanzo.
Dopo essersi imbarcato per una delle sue tante spedizioni commerciali, la vita di Maffeo Raffaelli è completamente stravolta e lo troviamo schiavo, ad Algeri, alla dipendenze di Uluç Alì, conosciuto tra i marinai come Occhialì, famigerato corsaro.
“Non c’era alcun dubbio: si trovava al cospetto del reggente di Algeri, Uluç Alì, uno tra gli sciacalli più spietati che avevano rinnegato Dio, un demonio in mare quanto sulla terra.”
A questo punto Marco De Luca dà al romanzo un’impronta più dinamica e più introspettiva, che ho apprezzato molto.
Introspettiva perché sono pagine che fanno riflettere e che mettono in discussione le credenze storico-religiose retaggio culturale che ci hanno imbrigliato per secoli.
Attraverso le bellissime conversazioni fra Maffeo e Uluç Alì, il romanzo ci svela che nel XVI secolo il mondo islamico era molto più tollerante e meno classista di quello cristiano. In quel periodo, infatti, nella comunità cristiana il “virus dell’intolleranza” si esprimeva in forma repressiva su tutto ciò che non fosse conforme all’impostazione ufficiale. All’opposto, secondo il diritto ottomano cristiani ed ebrei erano considerati “dhimmi”, protetti, in cambio della lealtà allo stato e del pagamento della tassa.
“I musulmani sono visti come i discendenti di Caino, eppure vi siete mai chiesto se Abele sarebbe stato capace di trattare gli ebrei come fate voi cristiani? … Sono tanti gli uomini liberi che deliberatamente abbandonano le terre cristiane, dove sono vittime di discriminazione, abusi e dove se uno nasce contadino, muore contadino … Questo è un mondo nuovo, un mondo dove uno schiavo può diventare Rais … Pensate, rinnegati sono chiamati i cristiani che diventavano turchi a tutti gli effetti, mentre i maomettani che si fanno cristiani sono chiamati convertiti seppur disprezzati …”
Parole queste che s’insinuano nella mente di Maffeo, che lo pongono davanti a molte domande, lo rendono incerto su cosa credere o su cosa pensare ma che saranno risolutive quando si troverà a dover fare una scelta.
L’impronta dinamica del romanzo è data dalle pagine squisitamente storiche che descrivono, in modo dettagliato e crudo, lo scontro tra le flotte musulmane dell’Impero Ottomano e quelle cristiane della Lega Santa che culmineranno con la battaglia di Lepanto.
Lo stile narrativo di De Luca è inappuntabile, fluido che rende piacevole la lettura di questo libro dalla trama singolare, coinvolgente, con tanti spunti di riflessione. Una trama dietro la quale s’intuisce una ricerca storica possente e nella quale la finzione si amalgama molto bene alla verità storica. E il risultato è sicuramente pregevole.
Ma non dico altro. A voi scoprire questo romanzo che consiglio a tutti e non solo a chi ha nel cuore la grande Storia della Serenissima.
PRO
l’introspettiva svolta finale dei protagonisti, soprattutto quella di Maffeo Raffaelli, che ci costringe a porci molte domande e ad approfondire.
CONTRO
i troppi incisi nella lingua veneziana che mi hanno rallentato la lettura. Ma forse perché ho un rapporto molto conflittuale con le lingue “straniere”
Sinossi
Venezia, 1568. Nel cuore infuocato del Mediterraneo Venezia e Costantinopoli, due amanti indissolubili, abituati a consumarsi in un perpetuo gioco di amore e odio, si scatenano in un’epica danza che travolge tutto e tutti, perfino Maffeo Raffaelli: un perfetto nessuno.
Dove vuole arrivare questo pidocchio? Oserà davvero sfidare l’ordine sociale considerandosi al pari dei patrizi?
All’alba dello scontro navale più celebre e sanguinoso del Cinquecento, tra intrighi, passioni e ambizioni, a bordo di navi corsare e tra le mura dei bagni penali di Algeri, i protagonisti di Odio Mediterraneo si troveranno a scoprire sulla propria pelle la potenza inaspettata dell’odio.