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Le interviste di TSD: Lia Celi

Lia Celi, riminese, giornalista, scrittrice e autrice per radio e televisione, ha debuttato sulle pagine del settimanale satirico Cuore, di cui è stata redattrice, poi ha collaborato al portale Clarence, attività che le ha fruttato il Premio Satira politica Forte dei Marmi per la satira sul web. Fra i suoi libri più recenti, Tre dee alla scuola media e Delictum, una detective nell’antica Roma (Il Battello a vapore)), il saggio Quella sporca donnina (Utet), le biografie Caterina la Magnifica, vita straordinaria di una grande innovatrice e Lucrezia Borgia, la cattiva ragazza che andò in paradiso, scritti con Andrea Santangelo. Insieme a lui è autrice dei gialli Ninnananna per gli aguzzini e L’eredità dei Borgia (UTET).

Lia Celi scrittrice e lettrice, benvenuta nel nostro salottino TSD: come nasce l’amore per la storia?

Anche i supereroi, personaggi immaginari, hanno bisogno di una storia delle origini che racconti perché sono diventati quello che sono. E se ne hanno bisogno Spider Man e Capitan America figurarsi se non ne abbiamo bisogno noi… La Storia è il racconto delle origini della nostra società, dell’epoca che stiamo vivendo. Oltretutto è un’immensa riserva di trame e di personaggi straordinari, una specie di teatro portatile, la apri ed entrano in scena figure eccezionali, bizzarre, complicate. Le loro vicende ci aiutano non solo a capire chi siamo, e soprattutto, attraverso l’immaginazione e l’immedesimazione, ci permettono di sperimentare situazioni e sentimenti per i quali una vita sola – l’unica che abbiamo a disposizione – non basterebbe. Ultimo motivo, molto personale: da scrittrice umoristica trovo nella Storia – o meglio, nella sua retorica, nei cliché dei grandi personaggi, dei grandi eventi, delle frasi memorabili – una miniera di spunti per parodie e allusioni comiche. La prova? Appena laureata in Lettere Classiche ho trovato subito lavoro in un giornale satirico, il benemerito Cuore.

Da cosa è scaturita l’idea di un romanzo su Carolina Invernizio?

A dire il vero il mio primo interesse era il suicidio di Salgari, un autore amatissimo e popolarissimo, morto a pochi giorni dall’apertura dell’Esposizione Universale del 1911, la celebrazione dell’esotico e del meraviglioso di cui lui aveva riempito tanti romanzi: una coincidenza struggente, come lo fu il suo funerale ignorato dalla gente importante ma non dai ragazzi, il suo pubblico. Ma il suo privato non era quello dei suoi eroi: era fatto di miseria, segreti, intrighi familiari. Gli stessi ingredienti che in quegli anni Carolina Invernizio trasformava in romanzi popolari. E Carolina era, in un certo senso, il corrispettivo femminile di Salgari: entrambi scrivevano «per chi va a piedi e non in carrozza», come diceva lei, entrambi erano considerati dei paria dai colleghi letterati, entrambi erano non-torinesi trasferiti a Torino. A Carolina, che spulciava ogni giorno i quotidiani in cerca di ispirazione per i suoi romanzi, non dev’essere sfuggito il dettagliato e macabro resoconto della Stampa del ritrovamento del cadavere di Salgari, il 26 aprile 1911. Così ho pensato: una scrittrice specializzata in crimini e passioni si sarà fatta qualche domanda?

La protagonista del romanzo “indagò” davvero sulla morte di Emilio Salgari?

Io lo trovo plausibile, ma non ci sono prove. Però nella morte di Salgari, e soprattutto su ciò che l’ha preceduta, ci sono lati oscuri che i suoi biografi hanno tentato di chiarire attraverso la sua corrispondenza. Pare chiaro, ad esempio, che non fosse schiavizzato dagli editori, com’è scritto nelle lettere che lasciò prima di morire: Bemporad da anni lo pagava bene e veniva incontro alle sue richieste. E questa moglie amatissima, eppure spedita in manicomio in condizioni miserevoli e che i figli non rivollero più a casa? Un altro mistero per me è Fathima, la figlia maggiore, vissuta sempre nell’ombra e morta di tisi giovanissima, proprio come un’eroina romantica.

Ci può raccontare qualche curiosità sulla Invernizio che non ha potuto o voluto inserire nel libro?

Più che curiosità, un dato biografico: Carolina aveva una figlia amatissima, Marcella, che la rese nonna. Era lei che governava la casa, permettendo alla mamma di scrivere. Ma una coppia madre-figlia sarebbe stata più impegnativa, avrebbe spostato troppo il focus sulla famiglia Quinterno, mentre la coppia di sorelle Carolina-Vittorina era più «neutra», la dinamica Sherlock-Watson era più gestibile. Del resto la sorella che «teneva il conto dei morti» c’era davvero…

Quanto c’è di vero e documentato sul rapporto tra le sorelle Invernizio?

La collaborazione c’era, lo raccontava la stessa scrittrice in un’intervista. Il resto l’ho ricostruito con l’immaginazione e anche tenendo conto che molti scrittori si sono appoggiati alle sorelle. Pascoli con Ida e Maria, Gozzano con Erina… Devo confessare che, da figlia unica, ho sempre sentito la mancanza di una sorella o di un fratello. È un rapporto unico, complesso e incomprensibile per chi non l’ha vissuto, fatto di solidarietà e di competizione, di amore e anche di sopraffazione, consapevole o meno. Avendo quattro figli lo vedo tutti i giorni. E mi ha molto divertito poter descrivere un rapporto tra sorelle adulte, una l’opposto dell’altra, come carattere e scelte di vita, eppure quasi simbiotiche.

Qualche lettore, durante la nostra lettura condivisa, ha visto una certa somiglianza tra Carolina Invernizio e Lidia Poët? Quali sono i punti in comune tra queste due donne?

La Lidia Poët reale o quella della serie televisiva? Perché c’è qualche discrepanza, soprattutto sotto il profilo della vita privata… Mi pare che con la Lidia vera Carolina Invernizio abbia davvero poco in comune, a parte il periodo, l’epoca e la città in cui si muovono. Carolina è una rispettabile signora della buona società, una moglie e una madre affettuosissima. La famiglia, anche nei suoi romanzi, viene prima di tutto, e lei stessa non permette al suo pur adorato lavoro di mettersi fra lei e i suoi doveri familiari. Lidia Poet invece è una delle grandi pioniere dell’emancipazione femminile, come Anna Kuliscioff o Emilia Mariani e sacrifica tutta la vita alla battaglia per la parità di uomini e donne nell’avvocatura. Non che Carolina fosse insensibile alla questione femminile, anzi, ma aveva una posizione decisamente più conservatrice.

Ci può spoilerare quale sarà il/la protagonista della sua prossima storia?

Carlo Ferrari, ovvero The Italian Boy, come lo chiamarono giornali inglesi del 1831: un quattordicenne di origine piemontese che mendicava per le vie di Londra, vittima di una tratta che per tutto l’Ottocento portava nelle grandi città d’Europa ragazzini da un’Italia allora poverissima, sia al Nord che al sud. Un giorno sul tavolo di un anatomista arriva il cadavere sfigurato di un adolescente, e molti riconoscono in lui Carlo Ferrari. Sotto accusa, le bande di “resurrectionists”, i ladri di cadaveri che forniscono «materiale» agli studenti di anatomia, e quando non riescono a rubare salme dai cimiteri se le procurano con altri mezzi… Il caso dell’Italian Boy farà epoca e desterà l’interesse di un giovanissimo Charles Dickens. Insomma, anche in questo romanzo, come in Carolina dei delitti, sarà tutto vero tranne ciò che è inventato, ma in questo caso la realtà storica è decisamente più nera di qualunque fantasia…

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