Inauguriamo questa rubrica TSD Crime portandovi a Brighton.
È il 1872 e ha inizio il processo a Christiana Edmunds, nota come la killer dei cioccolatini.
Le accuse che pendono sul capo di questa donna sono di omicidio, tentato omicidio e avvelenamento multiplo.
All’arresto, e quindi al processo, si è arrivati dopo indagini più lunghe e complicate del previsto, durante le quali ci sono stati numerosi depistaggi e vicoli ciechi.
Se il movente, a un certo punto, fu abbastanza chiaro, il vero problema era la mancanza di una prova schiacciante che inchiodasse la Edmunds.
Vi abbiamo incuriosito abbastanza?
Allora sedetevi nei banchi del Tribunale e ascoltate la ricostruzione di questa storia vera.
Tutto ha inizio nel 1871. A Brighton, in Inghilterra, Christiana Edmunds – una 42enne di buona famiglia – sta uscendo dalla chiesa dopo la messa. Si sente osservata, quindi si volta e incrocia lo sguardo di un distinto signore. Uno sguardo forse innocente, casuale, che per Christiana però significa qualcosa di più. Ed è l’inizio della fine.
L’uomo è il dottor Peter Beard, sposato, padre di due figli, abita poco distante dalla casa della Edmunds e di lui, Christiana si invaghisce perdutamente, lo deve conquistare. Inizia a spedirgli delle lettere, cui il dottore risponde saltuariamente. Ma quel rapporto epistolare a un certo punto non basta alla donna che arriva persino a fingersi malata pur di vederlo. Si convince che l’unico ostacolo che si frappone tra loro due è la moglie del medico, Emily. Così con la scusa di voler fare amicizia con lei prende a farle delle visite a casa: l’intento è quello di eliminarla. Durante una di queste visite, le porta in dono dei cioccolatini, che ha provveduto a “imbottire” con una dose di stricnina e arsenico.
La combinazione delle due sostanze avrebbe potuto causarne la morte, ma fortunatamente (o sfortunatamente per Christiana) Emily sopravvive e il dottor Beard tronca ogni tipo di contatto con la presunta amante.
Tuttavia per qualche oscuro motivo decide di non denunciarla.
La Edmunds architetta presto un progetto per allontanare da lei ogni tipo di sospetto, programmando tutto con molta astuzia: per fare in modo che nessuno potesse collegarla al tentato omicidio, chiede a un ragazzo di acquistare alcuni cioccolatini nella pasticceria del John Maynard, la più famosa del paese. Una volta ricevuto l’ordine, riempie i cioccolatini di veleno (la stessa combinazione di arsenico e stricnina) e li restituisce alla pasticceria con un bigliettino in cui adduce la scusa che sono troppo grandi mentre lei ne vuole di più piccoli.
I cioccolatini avvelenati tornano nella vetrina del negozio dov’erano stati fatti e il pasticciere, ignaro, continua a venderli, finendo nelle case di ignari, e sfortunati, clienti che poco a poco inizano a stare male.
Il primo a essere indagato è proprio il pasticciere, ma non ci sono abbastanza indizi per poterlo incriminare, così le indagini proseguono.
La Edmunds si sente al sicuro, nessuno la collegherebbe mai agli avvelenamenti, ma nonostante questo usa degli accorgimenti per depistare ancora di più le indagini da sé stessa e lasciare che ricadano su Maynard.
Innanzitutto, se prima si procurava la la stricnina da un chimico (farmacista) locale, un certo Isaac Garrett, con la scusa di usarla per avvelenare i gatti randagi, inizia a pagare dei ragazzini per acquistarla al suo posto.
Poi prende a inviare pacchi di cioccolatini a persone importanti, ma persino a se stessa, sostenendo che anche lei è una vittima dell’avvelenatore. Non manca di inviarne anche altri alla signora Beard, che si ammala di nuovo gravemente.
La situazione precipita quando, nel giugno del 1871, per colpa di questi cioccolatini avvelenati, muore un bambino di 4 anni, Sidney Albert Barker, in vacanza a Brighton con la famiglia.
Gli investigatori decidono così di pubblicare un annuncio sul giornale, promettendo una ricompensa in cambio d’informazioni sull’accaduto.
L’iniziativa ha l’effetto sperato: un farmacista ricorda di avere venduto del veleno a Christiana, che diventa subito una indiziata di cui tracciare il profilo.
Mancano, però, ancora delle prove schiaccianti che la inchiodino.
Ecco che il dotto Beard si fa avanti consegnando alla polizia alcune lettere, farneticanti, ricevute dalla donna la cui calligrafia viene messa a confronto con quella dei biglietti di accompagnamento dei cioccolatini restituiti: la mano che li aveva vergati era la stessa.
Per la Edmunds non ci sono più speranze. Condannata senza appello.
Durante il processo, nel 1872, la Edmunds si mostrò emotivamente distaccata, mai uno scatto o una reazione.
Sua madre testimoniò che entrambi i lati della loro famiglia avevano una storia di malattia mentale.
Il dottor Beard affermò che lui e la Edmunds non avevano mai avuto una relazione sessuale, ma che invece si trattava semplicemente di una serie di lettere inviate da lei a lui e di lievi flirt.
Fu condannata a morte, ma la pena venne commutata in ergastolo a causa del suo stato mentale.
Venne rinchiusa nel manicomio criminale di Broadmoor Hospital, dove passò il resto della sua vita e divenne presto nota come la famosa “Chocolate Cream Killer” di Brighton. Durante tutto il periodo di reclusione (più di 30 anni) passeggiava per i viali dell’istituto ben curata e abbigliata, con i capellì cotonati e lo sguardo sempre ammiccante, mantenedo sempre un gran contegno.
Morì in quell’istituto nel 1907 .
Il bimbo di 4 anni fu l’unica morte causata dalla Edmunds.
Sull’intera vicenda fu messo in scena un dramma, The Great Chocolate Murders, di John Fletcher, trasmesso per la prima volta dalla BBC nel marzo 2006.
Il caso ha costituito anche la base di uno spettacolo di marionette, The Sorrowful Tale of Sleeping Sydney, di Daisy Jordan, che si è esibita al Theatre Royal di Brighton nell’agosto.
Ci sono anche tre pubblicazioni sulla vicenda e sul personaggio, ma non tradotte (ancora) in italiano.