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Mese Storico TSD Extra Time: i mezzi di comunicazione – La lingua dei segni

Articolo a cura di Laura Pitzalis

Sapete che esiste una lingua, parlata da qualche milione di persone al mondo, le cui parole non possono essere pronunciate né sentite e si ha molta difficoltà a scriverle? È una lingua che si sente con gli occhi e con l’immaginazione, si parla con le mani, con il viso e con il corpo: è la Lingua dei Segni, una vera e propria lingua naturale basata su regole precise, al pari di tutte le altre lingue parlate o segnate.

No, non pensate al nostro italico gesticolare, radicato ormai nella nostra cultura e grazie al quale riusciamo ad esprimere svariati concetti semplicemente muovendo le mani in un determinato modo, in quanto questo è un sistema mimico che a differenza del linguaggio dei segni non è nato in modo spontaneo e indipendente come tutte le lingue parlate ma come supporto al linguaggio parlato.

È una lingua affascinante, visiva e molto ricca, non ne esiste solo una, più o meno ogni lingua parlata al mondo ha il suo equivalente in segni, e in più sono in continua evoluzione: ogni anno appaiono segni nuovi che corrispondono a nuove parole o diventano sinonimi di segni ormai vecchi che nessuno usa più o quasi. Stessa cosa succede con la loro grammatica che è a tutt’oggi oggetto di studio perché anch’essa in continua trasformazione.

Non è una lingua che è stata inventata, non si può parlare di un vero e proprio “inventore”, anche se ci sono state alcune figure chiave che hanno contribuito alla sua affermazione. Probabilmente nasce in contemporanea alle lingue vocali, di sicuro è sempre esistita nella storia umana, nonostante manchino documenti scritti e le notizie a riguardo siano poche e frammentarie.

La fonte più antica sul linguaggio dei segni è il “Cratilo” di Platone dove il personaggio Socrate afferma:

 “[…] se non avessimo né voce né lingua e volessimo a vicenda manifestarci le cose, non cercheremmo, come ora i muti, di significarle con le mani, con la testa e con le altre membra del corpo?

Fino al XVI secolo ci fu poco interesse per questo modo di comunicare, considerato solo una pantomima che aiutava i sordi a comunicare tra loro, un modo povero e primitivo che li allontanava dal genere umano e li rendeva poco più che animali. D’altra parte, i pregiudizi nei confronti dei non udenti esistevano sin dai tempi biblici e solo nell’antico “Talmud”, raccolta ebraica dei testi rabbinici del II sec., troviamo il primo provvedimento scritto per la tutela dei sordi, primo documento in assoluto che afferma la possibilità per i sordi di una istruzione:

non vogliate annoverare il sordo e il muto nella categoria degli idioti e dei fanciulli come individui privi di responsabilità morali, poiché essi possono essere istruiti e fatti intelligenti …

Le Sacre Scritture li considerano come esseri incompleti, deboli, bisognosi della grazia di Dio.

Per il filosofo greco Aristotele sono sprovvisti d’idee morali e della capacità di pensare in forma astratta, e per questo, pur non essendo realmente muti, non possono parlare.

“…i sordi di nascita sono anche muti e non possono imparare a parlare, né essere istruiti

Il Diritto Romano li classifica insieme ai “mentecatti”, li considera incapaci di comprendere e quindi impossibilitati a imparare a leggere e a scrivere, per cui non possono essere tutori, né fare da testimoni nei testamenti, né fare essi stessi testamento.

Alcuni passi del dialogo “De quantitate animae” di Sant’Agostino evidenziano come nella cultura cristiana, come in quella ebraica antica, si considera la sordità, o qualsiasi altra menomazione, come un’eredità di peccati commessi o dai sordi stessi o dai loro avi.

Nel Medioevo ci fu una vera e propria persecuzione nei loro confronti: sono completamente emarginati, destinati a lavori disumani in sofferenza ed umiliazione in quanto la sordità non permette loro di combattere in guerra, non possono ereditare, né celebrare la messa, né contrarre matrimonio a meno di una dispensa papale.

Bisogna arrivare al XVI secolo per trovare i primi tentativi di sottrarre le persone sorde a questa condizione discriminatoria e educarle a parlare come gli altri: in contrasto con le tesi aristoteliche, autori rinascimentali come Rudolf Agricola e Gerolamo Cardano sostengono che le persone non udenti possano imparare a comunicare.

 Pedro Ponce de León, Juan Pablo Bonet, Charles-Michel de L’Epée , Tommaso Silvestri

La prima esperienza positiva in questo senso fu condotta da uno spagnolo, il monaco benedettino Pedro Ponce de León, che riuscì a insegnare a parlare due bambini sordi dalla nascita, i nipoti del connestabile di Castiglia, Pedro de Velasco. Ponce mise per iscritto il suo metodo educativo e nel 1566 stampò “Doctrina para los mudos-sordos”, il primo manuale dell’abecedario della lingua dei segni spagnola. Mai ripubblicato e forse distrutto in un incendio del 1788 nella Biblioteca Reale di Madrid, di quest’opera, purtroppo, non resta alcuna traccia. O forse no, grazie al plagio da parte di un altro monaco spagnolo, Juan Pablo Bonet, che copiò il libro, aggiunse alcune note personali scaturite dopo anni di lavoro come insegnante dei sordi e lo ripubblicò, nel 1622, a nome suo con il titolo “Reduction de las letras y Arte para enseñar á ablar los Mudos”. Solo un suo confratello tal Frate Vincente si accorse del plagio ma questo manuale fu così utile che nessuno diede seguito alla denuncia.

Nel 1760 l’abate francese Charles-Michel de L’Epée sviluppò un metodo ancora più completo per l’educazione dei non udenti, culminato nella fondazione dell’Istituto Nazionale dei Sordomuti di Parigi. Osservando e studiando i gesti che i suoi allievi sordi producevano spontaneamente, elaborò nuovi segni e creò una grammatica, introducendo i tempi verbali, gli articoli, le preposizioni, le congiunzioni e altre particelle grammaticali. In questo modo riuscì a creare un sistema comunicativo complesso, che può essere considerato una lingua a tutti gli effetti.

Grazie alla sua attività di formazione, la Lingua dei Segni non solo comincia a standardizzarsi ma anche a diffondersi e differenziarsi in altre località come Vienna, San Pietroburgo e persino Roma dove volendo aprire una scuola per sordi si mandò a Parigi il sacerdote Tommaso Silvestri per apprendere il nuovo sistema direttamente dall’abate francese. Grazie a lui l’anno successivo, 1784, a Roma fu aperta la prima scuola pubblica per persone sorde d’Italia. Il metodo didattico usato da Silvestri si discostava in parte dagli insegnamenti di L’Epée, perché non era puramente gestuale, ma aveva anche una forte componente orale.

Tutti questi progressi però non furono condivisi da tutti gli educatori e per tutto il 1800 le Lingue dei Segni furono messe al bando in tutti i contesti ufficiali preferendo l’uso del cosiddetto“oralismo”, basato sull’importanza dell’espressione verbale e della lettura delle labbra.

In Italia questa svolta rigidamente oralista fu data dal cosiddetto Congresso internazionale per il miglioramento della sorte dei sordomuti tenutosi a Milano nel 1880, dove si decise a larga maggioranza che la parola era senza dubbio superiore ai gesti.  E la Lingua dei Segni scomparve dalle scuole dedicate, anche se la comunità dei sordomuti continuò a usarla portando avanti l’insegnamento quasi di contrabbando e contro l’opinione pubblica nazionale, internazionale e clericale.

Solo verso la fine degli anni ’50, William Stokoe, un linguista statunitense, iniziò a fare ricerca linguistica sulle lingue dei segni e fu il primo a dimostrare che questo tipo di comunicazione non fosse una semplice forma mimica ma una vera e propria lingua in grado di esprimere qualsiasi messaggio attraverso una propria grammatica e un proprio lessico.

In Italia a questo si arrivòalla fine del 1970 grazie ad un gruppo di ricercatori del CNR coordinati da Virginia Volterra e per la prima volta si diffuse anche un nome per indicarla: Lingua Italiana dei Segni, LIS, anche se oggi è più corretto chiamarla Lingua dei Segni Italiana.

Oggi, in molti paesi, le Lingue dei Segni sono lingue riconosciute a livello istituzionale, insegnate e utilizzate nelle scuole di ogni grado, con interpreti ben formati e studi glottologici mirati svolti nelle più prestigiose università linguistiche del mondo.

Nel 1985 fu creata, con sede in Bruxelles, l’European Union of the Deaf, Unione Europea dei Sordi, che rappresenta attualmente le associazioni di tutti i 27 Stati membri dell’UE, oltre a Islanda, Norvegia, Svizzera e Regno Unito, con lo scopo di spronare, con atti formali, tutti gli Stati membri ad accettare legalmente la lingua dei segni di ciascun Paese nell’ambito della struttura della Carta europea delle lingue minoritarie. Questo per rafforzare la protezione e promozione dei diritti umani delle persone con disabilità e per abbattere la barriera della comunicazione quale forma di emarginazione.

In Europa la Lingua dei Segni ha avuto un riconoscimento al più alto livello con due risoluzioni del Parlamento europeo, del 17 giugno 1988 e del 18 novembre 1998, e con la risoluzione dell’Unesco resa a Salamanca nel giugno 1994.

Per quanto riguarda l’Italia, solo il 19 maggio 2021 il Parlamento ha approvato l’articolo 34-ter del Decreto Sostegni con il quale “la Repubblica riconosce, promuove e tutela la Lingua dei Segni Italiana (LIS) e la Lingua dei Segni Italiana Tattile (LIST)”. Che dire, meglio tardi che mai!

Nel 2017, l’ONU ha stabilito che, a partire dal 2018, il 23 settembre di ogni anno venga festeggiata la Giornata internazionale delle Lingue dei Segni.

Emanuele Filiberto di Savoia Carignano

CURIOSITA’

Se si dovesse trovare un “testimonial” per pubblicizzare l’importanza della Lingua dei Segni, non potrebbe essere che Emanuele Filiberto di Savoia detto il Muto anche se il mutismo era la conseguenza della sua sordità che gli causò notevoli difficoltà espressive.

Sotto la guida di Don Manuel Ramírez de Carrión riuscì ad apprendere con grande sforzo, (fu sottoposto ad un regime di apprendimento basato su punizioni, privazioni e ricompense, più paragonabile ad un addestramento che ad un insegnamento), non solo il linguaggio dei gesti e la lettura labiale, riuscendo a leggere e scrivere, ma la capacità di esprimersi con la parola fino a farla divenire abituale e comprensibile a tutti. Parlava e comprendeva la lingua italiana, quella spagnola e francese.

In un periodo, siamo nel XVII secolo, dove le persone sorde erano sistematicamente emarginate e considerate inabili a qualsiasi attività, Emanuele Filiberto riesce a diventare una delle persone più rappresentative del suo tempo, (sotto la sua guida a Torino venne costruito Palazzo Carignano che in seguito divenne una delle residenze principali dei sovrani italiani di Casa Savoia), e con la sua incredibile apertura mentale e la sua cultura, un protagonista importante della storia dell’epoca.

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