Non è estate senza una bella bibita fresca arricchita da cubetti di ghiaccio. Certo, li usiamo oramai sempre, ma è in questa stagione che il suo consumo si impenna.
Impossibile pensare a una cola – o una qualunque bibita, anche un’acqua – senza ghiaccio da sorseggiare a bordo piscina o al tavolino di un bar. Il ghiaccio la rende più fresca. La sola immagine dei cubetti di ghiaccio sembra rinfrescarci.
Ma sono sempe esistiti? Quando è nata l’idea di metterli nelle bibite o nei drink?
Come potete ben immaginare, i cubetti di ghiaccio non sono sempre esistiti!
C’era la neve usata per ghiacciare fin dal 1546 (il cui uso fu introdotto dagli spagnoli), ma era a uso esclusivo di nobili. Ma la sua funzione era per lo più riservata alla conservazione degli alimenti.
Mentre l’uso e il piacere di una bevanda refrigerata, per quanto già in voga al tempo dei romani, per la maggior parte del mondo nelle bevande non si diffuse fino all’Ottocento.
Nei paesi del Nord Europa, infatti, le bevande – specialmente quelle alcoliche – erano un modo per scaldarsi, birra compresa, bevuta infatti ancora oggi spesso a temperatura ambiente. Al contrario nei paesi tropicali, dove il ghiaccio sarebbe diventato poi popolarissimo, le difficoltà di approvvigionamento rimasero a lungo insormontabili.
Non è noto chi ha inventato il cubetto di ghiaccio.
Di sicuro sappiamo che il dottor John Gorrie costruì un frigorifero nel 1844 per aiutare i suoi pazienti con febbre gialla. E alcuni storici hanno ipotizzato che questo frigorifero contenesse qualche forma di vassoio per i cubetti di ghiaccio perché offriva ai suoi pazienti bevande ghiacciate.
Sappiamo anche che è del 1914 la produzione del “Frigorifero elettrico domestico” di Fred Wolf, il quale conteneva sicuramente un semplice vassoio per i cubetti di ghiaccio, così come sappiamo che negli anni ’20 e ’30 i vassoi per i cubetti di ghiaccio erano comuni nei frigoriferi e che nel 1933, Guy Tinkham inventò il primo vassoio di ghiaccio flessibile, in acciaio inossidabile, in cui la pressione sul vassoio nei punti di divisione avrebbe espulso i cubetti di ghiaccio.
Ma ci fu un “genio” che avviò un vero e proprio commercio del ghiaccio e per incontrarlo dobbiamo andare alla metà dell’Ottocento. Il suo nome è Frederic Tudor, noto come “Il Re del Ghiaccio di Boston”.
Tudor si mise in testa di vendere il ghiaccio ai Tropici.
Nessuno a Boston però volle investire in questo progetto, cosi Frederic, determinato quanto mai, mise insieme i suoi risparmi e nel 1806, con 5000 dollari, comprò il suo primo brigantino, il Favorite, deciso a trasportare un carico di ghiaccio estratto nella fattoria di famiglia in Martinica, cercando da subito di stabilire un monopolio, considerandolo l’unico modo per sostenere i costi di trasporto e lo ottenne dall’imperatore Napoleone Bonaparte, che gli assicurò il monopolio per portare il ghiaccio nelle sue colonie. Così il Favorite partì dal porto di Boston nel febbraio del 1806 con 130 tonnellate di ghiaccio. Dopo un mese, quando approdarono a St. Pierre, si accorsero che c’era un intoppo: non c’erano ghiacciaie a terra per conservare il carico. Il ghiaccio venne venduto appena sbarcarono a 50 dollari al giorno. Gli fu fatta un’offerta di 4000 dollari per tutto il carico, ma rifiutò cercando di farsi pubblicità con dei volantini. Non accettando commise un grave errore: il ghiaccio si sciolse completamente!
Cosa ancor peggiore, il ghiaccio non suscitò grandi entusiasmi nella popolazione locale. L’ostinazione di Tudor, però, lo spinse a perfezionare gli imballaggi in modo che il ghiaccio si conservasse meglio.
La domanda di ghiaccio, però, non decollava, e lui impiegò anni nella sua impresa fino a quando decise di puntare sulle bevande.
Tudor sapeva per esperienza personale che anche i più scettici sulle bibite fredde si convincevano in fretta dopo averle provate. Ideò quindi delle strategie commerciali, come offrire gratuitamente il ghiaccio ai bar e ai locali e convincerli a servire le bevande col ghiaccio allo stesso prezzo di quelle senza. L’operazione funzionò, e Tudor riuscì a creare un’esigenza che prima non c’era.
Nonostante questo, però, l’impresa commerciale di Tudor fu un disastro per ancora molti anni: tra difficoltà di trasporto e scarsa domanda si riempì di debiti, e passò lunghi periodi in prigione o a nascondersi dai creditori. Non per questo, tuttavia, mutò il suo proposito finché non riuscì pian piano a rendere non solo sostenibile, ma assai profittevole il commercio di ghiaccio.
Tudor infatti diede origine a quella che è nota come “tratta del ghiaccio”, che si sviluppò nella prima metà dell’Ottocento negli stati settentrionali degli Stati Uniti e in Norvegia; perfezionò il metodo di estrazione, costruì ghiacciaie ai tropici, ampliò la propria flotta e corruppe le autorità locali in modo da assicurarsi il monopolio.
Entro la metà del secolo, Tudor spediva migliaia di tonnellate di ghiaccio in mezzo mondo, arrivando fino in India: i guadagni principali però arrivavano dalle città del Sud degli Stati Uniti e dalle isole caraibiche. Negli anni, molti altri imprenditori erano entrati nel business del ghiaccio, anche grazie alla crescente popolarità del gelato (qui un articolo sul gelato) in tutto il mondo. Verso la fine del secolo, quello del ghiaccio era diventato uno dei settori più importanti dell’economia di diversi paesi, compresi gli Stati Uniti, in cui arrivò a dare lavoro a quasi 100mila persone. Sarebbe poi progressivamente scomparso nel Novecento, con l’introduzione dei sistemi di refrigerazione artificiali, prima industriali e poi domestici.
La facilità di produrre il ghiaccio fece sì, infine, che metterlo nelle bevande diventò un’abitudine, fino a che, soprattutto negli Stati Uniti diventò una componente fondamentale dei cocktail, che erano diventati popolarissimi a cavallo tra Ottocento e Novecento. Da lì si diffusero anche in Europa, quando a Londra aprirono i primi “american bar” portando con sé le ricette dei cocktail americani, e con loro l’abitudine di riempirli di cubetti di ghiaccio.