Oramai d’estate siamo assuefatti a ondate di calore, picchi, temperature bollenti da record, ma oggi ci basta premere un pulsante e azionare il condizionatore (o entrare in un bar, un negozio) per avere un po’ di sollievo. Un’aria fresca (a volte fredda davvero) creata in maniera artificiale.
Eppure l’idea che l’uomo potesse variare le condizioni microclimatiche del proprio ambiente non era affatto condivisa, in alcuni casi era ritenuta un peccato. Raffreddare l’aria in passato era ritenuta una manipolazione, una sorta di affronto a Dio, soprattutto nel periodo vittoriano, noto per essere stato particolarmente rigido dal punto di vista dei dettami religiosi.
Nel corso del Novecento, però, la mentalità cambia e soprattutto iniziano a intervenire degli eventi che decretano la necessità di prendere dei provvedimenti.
È quanto accadde a una tipografia di Brooklyn.
Curioso, vero, che l’invenzione più salva-estate in assoluto sia legata a un luogo che ha a che fare con i libri?
La storia ha le sue origini a cavallo tra Ottocento e Novecento, quando negli Stati Uniti ci furono due estati particolarmente calde che misero in serio pericolo il lavoro della Sackett-Wilhelms Lithographic and Publishing Company, a New York. L’umidità intensa ingrossava le pagine e sbiadiva l’inchiostro, talvolta rovinando del tutto le stampe e causando grosse perdite economiche per l’azienda. A nulla servirono i sistemi di raffreddamento dell’aria in uso fino ad allora. Ma nemmeno servì il macchinario che nel 1902 mise a punto l’ingegnere Willis Carrier: si trattava di un ventilatore che soffiava aria attraverso bobine riempite d’acqua fredda, che così si raffreddava e che causava di conseguenza un raffreddamento degli ambienti intorno alla macchina tipografica.
Il sistema, brevettato poi nel 1906, si basava sul principio teorizzato dal chimico e fisico inglese Michael Faraday che, circa un secolo prima, aveva scoperto come la compressione e la successiva espansione di un gas avevano come conseguenza il raffreddamento del gas stesso.
Ma, come detto, non fu sufficiente.
Perciò Carrier studiò ancora e nel 1922 inventò un nuovo sistema considerato il primo vero condizionatore della storia, chiamato “Centrifugal Refrigeration Compressor”, un macchinario il cui principio ero lo stesso del precedente, ma più compatto e potente del primo che diede i suoi frutti.
Così, Willis Carrier diventa il padre dell’aria condizionata, o come meglio si dovrebbe chiamare del “condizionamento ad aria” (dall’inglese air conditioning).
In un’intervista, Carrier disse che immaginava un futuro con un «uomo d’affari medio che si svegli piacevolmente riposato, dopo aver dormito in una stanza con l’aria condizionata; che poi viaggi in un treno con l’aria condizionata; e che infine vada a lavorare in un ufficio con l’aria condizionata».
Profetico?
Le applicazioni dell’aria condizionata si estesero rapidamente all’industria tessile, migliorando anche le condizioni di lavoro degli operai, e ai cinema che decretarono il vero successo dell’aria condizionata.
All’inizio del Novecento, infatti, le sale cinematografiche offrivano intrattenimento a poco prezzo, ma all’interno l’aria era calda, viziata e maleodorante. Così, intorno agli anni Venti, i proprietari di cinema americani cominciarono a installare sistemi di aria condizionata nelle sale. Da lì, la strada si aperta alla futura diffusione dei condizionatori nelle case private, cosa che avvenne nel secondo dopoguerra negli Stati Uniti e più tardi nel resto dell’Occidente.
È datata 1914 la prima installazione di un condizionatore in una casa privata.
E nel 1945 sulla rivista Life fu pubblicato un articolo dal titolo “Aria condizionata: dopo la guerra sarà abbastanza economica da metterla nelle case” e la descriveva come un «lusso» che però, nel mondo uscito dalla Seconda guerra mondiale, sarebbe stato venduto in grandi quantità e a prezzi modici.
Come dire: previsione più che centrata.