Recensione a cura di Ivana Tomasetti
Welwel Mohylewsky è un reb, un dottore ebraico osservante, ricco proprietario terriero della Galizia orientale, nel villaggio di Dobropljer, senza moglie né figli. Insieme al cocchiere e al suo amministratore parte per Vienna, dove si svolgerà un congresso internazionale dei fedeli alla Legge di Israele, ebrei ortodossi. Scopriamo la rigidità delle sue regole:
“Un contadino che lavora di domenica ti può uccidere il lunedì”
(la traduzione riporta domenica, pag. 34, ma noi sappiamo che si tratta di sabato ebraico; la settimana ebraica comincia per l’appunto di domenica, ma il riposo (shabbat) inizia la sera del venerdì e finisce la sera del sabato).
Vi sono anche i rappresentanti di Agudat Yisrael, un partito politico che si opponeva al sionismo (fautore invece di uno stato laico) composto da conservatori di destra esistenti ancora oggi e promotori di uno stato religioso.
Welwel detesta la borghesia, preferisce la tradizione delle campagne dove abita. Scopriremo le ragioni che lo portano a Vienna, gli incontri che egli farà e soprattutto un episodio della sua vita che ora, solo e vecchio, decide di recuperare, andando contro i suoi principi di ebreo ortodosso. Incontrerà così in circostanze fuori dal comune il nipote, figlio di un fratello (ormai morto) che la famiglia e lui stesso hanno allontanato perché non osservante della legge.
Con delicata analisi riviviamo il processo che porta a questa decisione in cui il legame di sangue ha il sopravvento sulle regole che Welwel ha sempre ritenuto indiscutibili.
Uno sviluppo logico e coerente che ci racconta la rigidità alla quale il personaggio si attiene nel trascorrere delle sue giornate e il lettore scopre la trasformazione storica di un ambiente che sarà distrutto dal nazismo e che si aggrappa alle tradizioni cercando di sopravvivere, mentre la modernità lo ingoia.
È un processo lento e difficile come anche il racconto che è infarcito di vocaboli yiddish, di reazioni e di avvenimenti che restano lontani dalla comprensione di un europeo cattolico. Il ritmo della narrazione ha necessità di essere “masticato” e compreso: è uno spunto per riflettere e conoscere realtà al di fuori della nostra (della mia). Il colpo di scena è nell’evoluzione del carattere e nelle scelte di Welwel, che dalle prime pagine certamente non ci si aspetterebbe, nella sua ricerca di identità rinnovata. È un percorso che accomuna il lettore al protagonista, che gli fa vivere gli stessi tentennamenti, le stesse scelte di vita. Come rispondere alla modernità senza soccombere? Una domanda valida anche oggi. Gli altri protagonisti sono nel contorno: l’amministratore, il giovane cocchiere, il tutore del ragazzo, non così il nipote stesso, un giovane che appare irriverente nella sua ironia, ma che accetta di conoscere le sue radici con la curiosità che lo contraddistingue e che dà al racconto le caratteristiche anche di romanzo di formazione.
L’ambientazione è nella campagna di Galizia, poi a Vienna all’assemblea, paesaggi rurali e scorci urbani, le descrizioni tolgono talvolta ritmo agli avvenimenti; il vero ambiente è l’interiorità dei personaggi, i loro pensieri e il loro giudizio su Welwel.
L’originalità, come è detto nella nota conclusiva, è un omaggio alla vita dei cosiddetti Ostjuden, disprezzati dagli ebrei tedeschi, e alla loro terra, al loro destino. Ci fa scoprire qualcosa che non conoscevamo. Per questo il libro risulta molto interessante.
Lo stile si circonda di ironia, di un linguaggio plurilingue, di un tono leggero, non manca anche di passi in cui affiora la tenerezza e l’analisi psicologica di caratteri che non ci sono familiari.
Una lettura diversa che ci dà qualcosa di speciale, che ci invita a riflettere e ad approfondire la complessità del mondo ebraico.
È questa scoperta che ci fa proseguire nella lettura e che interessa un lettore attento.
Trama
Nella Vienna della fine degli anni Venti, il giovane Alfred Mohylewski, appassionato studente di architettura affidato alla guida illuminata del suo tutore, Dr Frankl, è di ritorno da un viaggio a Berlino quando gli viene proposto di assistere al congresso mondiale degli ebrei fedeli alla Legge che si tiene in quei giorni in città. Figlio di un ebreo convertito che si è lasciato la religione alle spalle, entrando in conflitto con la famiglia di origine, Alfred è curioso delle proprie radici e accetta subito l’invito: una decisione che gli permetterà di incontrare in circostanze del tutto casuali, oltre che molto avventurose, lo zio che non ha mai conosciuto. Welwel è il fratello di suo padre e viene dalla Galizia orientale, dove è proprietario dei vasti terreni di Dobropolje. Insofferente a mondanità e frivolezze e, soprattutto, alla borghesia ebraica assimilata, alla modernità di Vienna lo zio Welwel preferisce di gran lunga gli shtetl e le campagne, dove le tradizioni sono rimaste tali. Cosa lo ha spinto a percorrere tutta quella strada sul suo carro, da est a ovest, dai campi della Podolia – oggi Ucraina alla capitale? In questo suo primo romanzo, parte di quella che è stata definita la migliore saga ebraica scritta in lingua tedesca, Soma Morgenstern ritrae nei dettagli un mondo che non c’è più, spazzato via dalle due grandi guerre. Le sue pagine, finalmente tradotte anche in italiano, restituiscono con ironia e grande realismo paesaggi rurali e scorci urbani, una galleria di personaggi eruditi e ingenui, eleganti e miserabili, la varia umanità di una società in bilico tra innovazione e conformismo, alla ricerca di un’identità che, pur rispettosa di regole e rituali, sia in armonia con la comunità di cui vuole essere parte integrante.