Articolo a cura di Raffaelina Di Palma
Il bisogno di comunicare è nato con l’uomo.
I segnali di fumo sono stati il mezzo più antico usato dall’uomo per scambiarsi messaggi: un mezzo di comunicazione silente e visivo molto usato dagli indiani d’America, dagli aborigeni australiani e dagli yamani.
Ancora oggi si usa un segnale di fumo, utilizzato in Vaticano in occasione dell’elezione del Papa.
Per molti secoli far giungere la propria voce a distanze più lunghe effettuabili dalla semplice diffusione del linguaggio articolato è stato un desiderio impossibile.
Oggi diamo per scontato quel premere pochi tasti e parlare con persone all’altro capo del mondo.
Il telefono ha una storia relativamente breve. Per trovare le origini del suo inizio non dobbiamo andare troppo indietro, arriviamo appena agli ultimi decenni dell’Ottocento.
I sistemi sperimentati prima dell’età attuale erano, ovviamente, molto elementari. Nel X secolo in Cina furono ideati i “tubi parlanti”, attraverso i quali far passare la voce. Nei secoli successivi furono sostituiti da telefoni acustici più efficienti (una sorta di due barattoli collegati da un filo).
Il 13 aprile 1808 nasceva a Borgo San Frediano (Firenze), Antonio Meucci: passato alla storia come l’inventore del telefono.
Ma dietro questa invenzione si cela una storia incerta e dibattuta per anni, ricca di colpi di scena. Ufficialmente, l’inventore del telefono è Alexander Graham Bell, ingegnere e scienziato britannico con la cittadinanza statunitense che, il 7 marzo 1876, depositò il brevetto numero 174.465 per salvaguardare “il metodo e l’apparato per trasmettere la voce o altri suoni per mezzo di ondulazioni elettriche. La storia del telefono inizia così.
Un’invenzione che innoverà il mondo in brevissimo tempo. La mente dietro a tutta questa rivoluzione non è la sua, ma quella dell’italiano Antonio Meucci.
Fu lui a inventare il primo prototipo di telefono nel 1854, che chiamò telettrofono che lui usava in casa soprattutto per comunicare con la moglie, confinata a letto per un’artrite deformante.
Nel 1871 depositò un brevetto temporaneo al costo di 10 dollari. Non poté concedersi quello definitivo e non ce la fece nemmeno a confermare quello temporaneo. Si mise alla ricerca di finanziatori. Senza risultati.
Alexander Bell, riuscì a entrare in possesso dei disegni di Meucci: capì immediatamente le grandi possibilità del progetto dell’italiano. E così depositò il suo personale brevetto definitivo nel 1876, guadagnandosi il titolo di inventore del telefono.
Lo scienziato italiano lo denunciò, ma perse la causa.
Comunque, fu a Cuba, nel 1849, che Meucci ebbe la prima intuizione. In quegli anni lavorava negli ospedali della capitale cubana. Si racconta che un giorno stesse curando uno dei pazienti con l’elettroterapia, l’ammalato era collegato, tramite un circuito elettrico con l’inventore. Quando Meucci inserì nel circuito una batteria di pile con una tensione di 114 volts, il malato urlò di dolore. Pur trovandosi due stanze più in là, sentì distintamente attraverso il filo il lamento del paziente.
Da quel giorno si rimise a lavorare al suo progetto, elaborando un gran numero di disegni.
Nel 1856 realizzò anche un prototipo rudimentale di apparecchio telefonico elettromagnetico, che fu il cardine dei moderni dispositivi.
Chi è abbastanza adulto ricorda il telefono a tastiera a disco rotante della nonna e non farà fatica a rendersi conto di quanto questo strumento sia cambiato nel corso degli anni. Ormai superato dal
progresso dei tempi, sembra sorpassato anche il cordless, benché abbia rappresentato una vera e propria rivoluzione nel mondo della telefonia.
E qui c’è una sorpresa. Un altro scienziato italiano rivendica la paternità del telefono. Secondo fonti
documentate fu un antesignano dell’invenzione del telefono, che studiò e perfezionò tra il 1843 e il 1865 pur non brevettandolo. Quindi anche prima di Meucci.
Si tratta dello scienziato Innocenzo Manzetti (Aosta, 17 marzo 1826 Aosta, 15 marzo 1877). Già nel 1843 aveva ipotizzato la possibilità di realizzare un telegrafo vocale che avrebbe sfruttato l’ultimo ritrovato tecnologico dell’epoca, i circuiti telegrafici: per trasmettere una voce elettrica tramite il principio dell’induzione elettromagnetica
Nel 1864-1865, Manzetti, progettò il telefono elettrico in grado di trasmettere la voce umana a più di 500 metri di distanza. Dopo averlo perfezionato lo presentò alla stampa nell’estate del 1865. Ne parlarono i giornali di tutto il mondo i quali comunicarono che, per la prima volta, si poteva trasmettere la parola a distanza per mezzo dell’elettricità.
La notizia arrivò anche allo sconosciuto immigrato italiano, Antonio Meucci, il quale dovette ammettere che il suo prototipo non era perfetto come quello progettato ad Aosta. Per parlare con il telefono di Meucci, infatti, si doveva tenere tra i denti una “barretta di contatto”, invece l’apparecchio di Manzetti già supponeva che la voce passasse attraverso una cornetta.
Ma a causa dell’alto costo nessuno dei due brevettò le proprie invenzioni.
Nei decenni che seguirono fu un’evoluzione continua.
Arrivarono prima i quadranti rotanti, utili, ma molto scomodi. Negli anni trenta fu la volta dei telefoni a candelabro. Si componevano di una base che fungeva da trasmettitore e di un ricevitore, che si doveva tenere all’orecchio per tutta la durata della chiamata. Dopo poco tempo prenderà la forma della cornetta.
Tra gli anni ‘60 e ‘70 del Novecento al posto di questi telefoni, funzionali, ma ingombranti, cominciarono ad arrivare i primi telefoni collegati con un cavo alla presa telefonica. Poi arrivò la tastiera e infine questo dispositivo cominciò a prendere l’aspetto, o quasi, che conosciamo oggi.
Dal cellulare allo smartphone: trent’anni di continua e veloce evoluzione.
Mentre il telefono fisso cambiava forma e si preparava a diventare cordless, un giovane ingegnere alle dipendenze di Motorola, Martin Cooper, lavorava al primo cellulare della storia. Era l’aprile 1973. Quel primo cellulare non era proprio come lo immaginiamo.
Portare in giro un cellulare di un chilo, certamente, non era il massimo della comodità: di sicuro non si usciva di casa mettendoselo in tasca.
Siamo nel 1987, le grandi compagnie lavoravano per migliorare il progetto di Martin Cooper.
Nel 1992, la IBM lanciò il primo prototipo di smartphone della storia: Simon, un dispositivo privo di tastiera fisica, dotato di uno schermo tattile che poteva essere gestito con l’uso di un pennino.
Era provvisto di calendario, calcolatrice, blocco note, orologio mondiale e client di e-mail. Fu il primo telefono che veniva venduto anche con un videogioco installato, Scramble.
Il genio ha avuto il suo riscatto 113 anni dopo la sua morte. L’undici giugno 2002 il Congresso degli Stati Uniti ha riconosciuto a Meucci la paternità del telefono.
Creare relazioni significative è uno dei bisogni fondamentali dell’essere umano. La comunicazione risponde ad un bisogno espressivo e naturale dell’uomo: una forma di interazione sociale; di significati e sentimenti attraverso la condivisione. La conoscenza è stata e sempre sarà una sfida e un’avventura per l’uomo.
Curiosità
Il primo conflitto mondiale fu l’occasione per affermare l’uso del telefono da campo. Il telefono da campo era contenuto in una cassetta di legno (munita di cinghia per il trasporto a tracolla) che su un fianco aveva un foro nel quale si avvitava la manovella del generatore magneto -elettrico, quando occorreva chiamare. Il collegamento avveniva attraverso cavi aerei, collocati su pali o più frequentemente appoggiati sugli alberi. Erano linee fragili e facilmente sabotabili.
Il primo cellulare pesava 1.1 kg, non aveva lo schermo, ma possedeva un’antenna, ed era dotato di una batteria della durata di circa mezz’ora, con un tempo di ricarica di 10 ore. Quando fu lanciato sul mercato, costava ben 4000 $.
Nokia riuscì a lanciare sul mercato un cellulare più leggero, il Mobyra Cityman 900, passato alla storia con il nomignolo di “Gorba” perché immortalato tra le mani di Michail Gorbaciov in uno scatto dell’epoca.