Narrativa recensioni

Recensione a “L’insidia del nibbio” di Davide Monaco

Recensione a cura di Roberto Orsi

“I nobili Calderari sono sempre stati al fianco dei Borbone, devoti e sinceri sudditi dell’ultimo nostro Re Francesco II e del suo erede Alfonso, Conte di Caserta. Non possiamo continuare a rimanere inermi senza rispondere alle continue vessazioni perpetrate contro la nostra gente. Serve un gesto eclatante, è arrivato il tempo di reagire!”

E il gesto eclatante è di quelli che possono cambiare le sorti di un paese. Siamo nel 1892, la calda estate del 1892. A Isernia è atteso Sua Altezza Reale Vittorio Emanuele, Conte di Torino, nipote di Re Umberto di Savoia, in occasione delle esercitazioni della Scuola di Guerra.

Sono passati poco più di trent’anni dall’azione dei Garibaldini che portarono all’Unione d’Italia, la Spedizione dei Mille che riunì nord e sud Italia in un’unica nazione. Almeno sulla carta e sui documenti ufficiali. Il Plebiscito popolare del 1860 aveva sancito, anche a livello di voce popolare, la fine dell’era borbonica e l’annessione della Sicilia al nuovo costituendo Regno d’Italia. Ma gruppi di anarchici e filo-borbonici tramano nell’ombra per riportare sul trono coloro che ritengono i legittimi eredi della dinastia.

Il nuovo Regno d’Italia non è accettato completamente. La Questione Meridionale, denominazione usata per la prima volta nel 1873 dal deputato lombardo Antonio Billia, sottolinea una percezione e una sensazione diffusa di arretratezza e svantaggio economico ai danni del sud Italia rispetto alle più ricche regioni del nord. Le politiche socioeconomiche previste al momento dell’Unione non rispettarono le attese, a partire da una mancata riforma agraria che potesse garantire una maggior ricchezza ai braccianti del meridione. Un malessere diffuso che si trasformò ben presto nel fenomeno del brigantaggio che in determinate aree sfociò anche in ribellioni popolari sedate molto spesso con il sangue.

Quale migliore occasione per queste bande di facinorosi anti-unità se non la visita di S.A.R. nella città di Isernia? Un’azione clamorosa e di grande impatto come l’uccisione a sangue freddo di un membro della famiglia reale.

 “Molti dubbi e nessuna certezza! Anzi, una certezza c’era ed era l’unica: schivare l’insidia del Nibbio!”

Le pagine del romanzo di Davide Monaco, edito da Edizioni Efesto, ruotano attorno ai caldi giorni di giugno e luglio 1892 nel territorio molisano. L’autore propone un avvenimento di pura fantasia, di cui non si legge in alcuna cronaca storica, ma su una impostazione narrativa decisamente verosimile. Il giovane Vittorio Emanuele di Savoia, all’epoca ventitreenne, è fatto bersaglio di un’azione terroristica da parte di un gruppo di dissidenti facenti capo al clan dei Calderari, un’associazione segreta di reazionari costituita all’inizio del XIX secolo che caldeggiava il fenomeno del brigantaggio e una politica antifrancese e di restaurazione della monarchia borbonica nel Regno delle Due Sicilie.

È compito del corpo dei Carabinieri Reali, su input del Servizio Informativo Sabaudo, ufficio di intelligence, come lo definiremmo oggi, del Ministero degli Interni, trovare il modo di fermare i malintenzionati durante le manifestazioni previste nella città di Isernia durante la sosta della Scuola di Guerra.

Il Colonnello del Regio Esercito e Dirigente del S.I.S. Amedeo Tancredi, l’Ufficiale a riposo Massimiliano Viti, il Tenente Bartolomeo Colucci e l’Intendente di P.S. Emilio Giancola sono solo alcuni dei protagonisti di fantasia a cui Davide Monaco rende omaggio nelle pagine del suo libro, per l’onore, il coraggio, l’abnegazione e il senso di patriottismo che da sempre le forze dell’Ordine garantiscono al servizio dello Stato.

Un romanzo che vuole essere anche tributo ai grandi sacrifici e ai rischi affrontati nel corso degli anni da chi indossa una divisa troppo spesso derisa o vilipesa senza una reale motivazione.

“I sabaudi credono di fare quello che vogliono a Napoli, senza sapere che fanno solo quello che vogliamo noi”.

I Calderari sono pronti a immolarsi nel nome di un ideale in cui credono fermamente, la restaurazione della monarchia borbonica. L’organizzazione sul territorio, a capo della quale troviamo l’ex ufficiale dell’esercito Salvatore Nicodemo Mancusi, detto il Nibbio, può contare su affiliati di rilievo, nobili decaduti pronti a tutto. Si sviluppa quindi una spy-story con diversi colpi di scena, doppio gioco, identità fasulle, falsificazione di documenti, in un gioco al “gatto con il topo” in cui non sempre il ruolo di preda e cacciatore risultano ben definiti o quantomeno cristallizzati.

L’autore non trascura pagine di riferimenti Storici per restituire al lettore quello che era il contesto storico del momento, così come le tradizioni di una regione: dai piatti tipici gustati dai protagonisti nei ristoranti e gli alberghi in città, alle feste di paese e le manifestazioni religiose così sentite e partecipate. Il tutto ben inserito all’interno dell’avventura principale, in cui il punto di vista del narratore si sposta da una fazione all’altra nell’alternarsi dei capitoli fino al colpo di scena finale.

Una pagina di Storia mai realmente avvenuta in queste circostanze e con queste dinamiche, ma che si presentò in modalità similari, in altri contesti. Un racconto di uno scorcio del nostro passato, fondamentale per la formazione delle coscienze odierne. Una questione probabilmente mai davvero risolta a distanza di oltre centocinquant’anni dalla proclamazione del Regno d’Italia e che, per certi versi, ha davvero ancora molta strada da fare prima di essere definitivamente appianata.

Trama


La visita nel 1892 di S.A.R. Vittorio Emanuele Conte di Torino in città provocò lo scontro tra una squadra di investigatori della nuova Italia e una camarilla filoborbonica che brigava per riportare il meridione della penisola ai fasti di trent’anni prima. “La cosa s’adda fa!” disse il Nibbio ai suoi subalterni, confermando la volontà di andare avanti.

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