Articolo a cura di Maria Marques
Che ne dite di curiosare un albero genealogico prima di raccontarvi del personaggio di cui vogliamo parlarvi oggi?
Sua nonna paterna fu Ortensia di Beauharnais, figliastra di Napoleone e madre dell’imperatore Napoleone III, il bisnonno fu Charles-Maurice de Talleyrand- Perigord, ministro non solo del governo napoleonico ma anche durante la restaurazione di Luigi XVIII. Le bisnonne furono Giuseppina di Beauharnais prima moglie di Napoleone e Adelaide Filleul che fu una figlia illegittima di re Luigi XV e quindi zia dei sovrani Luigi XVI,Carlo X e Luigi XVIII.
Se dal lato paterno l’aristocrazia francese era ben rappresentata anche dal lato materno non fu carente, poiché sua madre fu una principessa russa Sof’ja Sergeevna Trubeckaja, che si diceva fosse figlia illegittima dello zar Nicola I e di cui resta uno splendido ritratto eseguito da Winterhalter.
È ora, però, di svelarvi l’identità della protagonista del nostro articolo odierno: Sophie Mathilde Adèle Denise de Morny nata a Parigi il 26 maggio 1863, divenuta una celebrità della Belle Époque per i suoi comportamenti considerati all’epoca scandalosi; ma non precorriamo i tempi.
Ultima di quattro figli Mathilde rimase orfana del padre, giovanissima e la sua infanzia la trascorse in Spagna, poiché la madre si risposò con un nobile spagnolo.
Con una eccellente e raffinata educazione comprendente anche la pittura e scultura, nel 1881 a diciotto anni Mathilde sposò Jacques Godart, marchese de Belbeuf e si trasferì nel suo castello in Normandia. Il matrimonio si concluse nel 1903 con un divorzio, Godart era dichiaratamente omosessuale, ma questo permise a Mathilde di esprimere le sue preferenze sessuali volte alle donne.
Ricca e libera, Mathilde si abbandonò al suo istinto: volle vivere liberamente la sua omosessualità e scelse di apparire maschile anche nell’aspetto: iniziò a portare i capelli corti, indossare abiti maschili e fumare il sigaro. Tuttavia per superare lo scoglio delle leggi ufficiali e di quelle sociali che vietavano alle donne di vestirsi da uomo, si fece cucire una gonna staccabile che indossava sopra i pantaloni e che poteva essere rimossa all’occorrenza. Fu solo dopo la morte della madre nel 1896 che abbandonò del tutto l’abbigliamento femminile per indossare abiti su misura di Savile Row. Non si fermò qui, preferiva anche essere chiamata con nomi maschili “Monsieur le Marquis” oppure “Oncle Max”.
Strinse alcune relazioni sentimentali tra cui va inclusa anche quella con Liane de Pougy, una famosa cortigiana di cui si racconta che la “vinse” in un duello con un amante.
Infine l’incontro al Cercles des arts et de la mode con Sidonie-Gabrielle Colette, più nota poi semplicemente come Colette; Mathilde diventa Missy e mantiene la sua amante nei migliori hotels consentendole un tenore di vita che altrimenti, il divorzio dal marito, non le avrebbe consentito. Era il 1906 e l’anno successivo insieme crearono una pantomima intitolata Rêve d’Égypte (“sogno d’Egitto”) per il Moulin Rouge.
Mathilde aveva cercato di mantenere un basso profilo, usando uno pseudonimo, e fu molto contrariata quando il Moulin Rouge, per pubblicizzare l’evento, usò lei e gli stemmi di famiglia del marito sui poster. (In seguito avrebbe fatto causa al Moulin Rouge e la avrebbe vinta).
Fu uno scandalo: Mathilde interpretava un egittologo che baciava una mummia, interpretata da Colette. Intervenne addirittura il prefetto per allontanare Mathilde dalla scena e vietando poi lo spettacolo.
La relazione tra le due donne continuò piuttosto defilata e nel 1910 Missy acquistò il castello di Rozven in Bretagna o meglio, fu Colette a risultare firmataria dei documenti perché il proprietario rifiutò di concludere la vendita a una donna vestita da uomo. Quando la relazione tra le due terminò nel 1912, fu proprio Colette a mantenere la proprietà della dimora.
Dal 1912 sino alla sua morte di Mathilde non si sa più nulla, scompare dalle luci di Parigi, abbandonata dalla famiglia sia affettivamente che economicamente, sopravviverà sino al 1944 anno in cui tenterà un hara-kiri da cui fu fermata. Infine il 29 giugno del 1944 il secondo tentativo di suicidio da cui nessuno la salverà.