Recensione a cura di Laura Pitzalis
La storia è ambientata nel nord-est del Brasile, precisamente a Bom Retiro, paesino di fantasia, nel 1918/19, periodo caratterizzato da grandi cambiamenti e molte tensioni. In quegli anni il Brasile non è più una monarchia ma una repubblica, situazione questa che non portò, tuttavia, la stabilità sperata anche se da un punto di vista economico ci fu una ripresa che favorì l’emigrazione di molti italiani, e certo non si poteva proprio parlare di libertà visto che cominciava a manifestarsi lo spettro della dittatura. Inoltre, nella zona in cui l’autrice ambienta il romanzo, l’entroterra del Pernambuco e più precisamente nel Vale do Rio Pajeú, regna sovrano il “coronelismo” un sistema dove i colonnelli (ricchi allevatori) sono i principali responsabili del panorama politico del paese e rappresentano un rispettabile ruolo autoritario nelle regioni che controllano, influenzando direttamente la vita degli abitanti di queste località. Naturalmente in questo clima di oppressione a rimetterci sono soprattutto le donne, schiave degli uomini che le controllano e che decidono il loro destino.
Nonostante questo, all’inizio del XX secolo, nelle grandi città brasiliane cominciano ad emergere diversi movimenti di lotta per i diritti delle donne, come “Ave Libertas”, fondato da Maria Amelia de Queiros e composto solo da donne, che portarono nel 1916 all’approvazione del disegno di legge che consentiva, in alcuni casi, l ‘allontanamento e la separazione fisica dei coniugi. Il divorzio fu legalizzato solo nel 1977.
In questo contesto dicotomico, arretratezza e cultura, emancipazione e sottomissione, si svolge la storia della famiglia Flores, in origine Oliveira poi diventato Flores per via del giardino ben curato davanti alla loro casa dalle finestre azzurre:
All’inizio la casa delle indicazioni era soltanto una casa con un giardino di balsamine minori, ipomoea cairica, pentesde-macaco, sida cordifolia, muçambês roxos. Ma con il passare del tempo, a forza di dirlo e ridirlo e mai smentirlo, la nostra casa dalle finestre azzurre divenne la Casa das Flores, pur essendo la Casa das Oliveiras. Il giardino diventò il cognome e, con il tempo, lo inserimmo anche nei nostri documenti.
La storia, che sviluppandosi attraverso capitoli alternati si svolge su due piani temporali e spaziali, Rio de Janeiro nei giorni nostri e Bom Retiro del 1918, viene narrata tramite due modalità differenti: terza persona nei giorni nostri, prima persona nel 1918 dove l’Io narrante è Inès Flores che si rivolge direttamente al lettore per raccontare la parte della storia che la coinvolge. Qualcuno potrebbe pensare che questo oscillare fra presente e passato possa generare confusione tra le situazioni ma non è così anzi favorisce la visione della storia nel suo insieme.
Nel mondo di oggi c’è Alice, discendente delle Flores, ragazza ribelle che ha un rapporto conflittuale con la madre Vera, e una frizzante storia d’amore con Sofia. È a lei che viene donato un velo tanto antico quanto prezioso, appartenente alle sue antenate, il filo invisibile che legherà presente e passato in una terribile storia di sofferenza, soprusi, dolore ma anche di coraggio, amicizia e indipendenza.
Nel mondo d’inizio ‘900 abbiamo Inès Flores che ci racconta la storia della sua famiglia, come siano diventate delle abili ricamatrici grazie all’amica Vitorina che ha carpito i segreti del ricamo da una lontana cugina.
Non eravamo tutte parenti, ma eravamo unite dall’arte di mettere insieme fili e merletti, e trasformarli in modelli unici. […] Chi ci avviò a quel sapere fu la mia amica Vitorina che, dall’alto della sua scala, spiò il segreto proveniente dalla capitale. […] Grazie alla curiosità di Vitorina, la tecnica del ricamo che da secoli ornava gli altari d’Europa, segreto del chiostro, noto soltanto alle suore dei conventi delle grandi città, si fece strada nella nostra Bom Retiro. […] Quando la cugina di una cugina di un’altra cugina di Vitorina tornò in convento, il segreto spiato dal vano del soffitto fu condiviso con chi era disposto a imparare. In breve, un piccolo gruppo di donne, del quale facevo parte anch’io, iniziò a riunirsi quotidianamente per tessere tovaglie, centrotavola, coprivassoi e tovaglioli estremamente raffinati.
Nei pizzi però non c’è solo la preziosità di un’arte ma è nascosto un codice per comunicare, a ogni punto dei ricami corrisponde una lettera, diventando così pagine su cui scrivere messaggi cifrati. A ideare questo codice Eugenia, che fa parte del gruppo delle ricamatrici che si riuniscono a casa Flores, quando viene costretta dalla famiglia a sposare il potente Colonello Aristeu, uomo violento e dispotico molto più grande di lei. Ed ecco che il ricamo assume un significato salvifico, unica via di comunicazione che ha Eugenia per chiedere aiuto a Inès affinché l’aiuti a fuggire dalla “prigione” in cui è stata chiusa dal marito.
Richieste di aiuto ma anche lamento disperato di una condannata e atto d’accusa che, incise con parole silenziose su un velo, arriveranno, cent’anni dopo, nelle mani di Alice che chiarirà quello che le sue antenate hanno così lungamente taciuto.
Nonostante l’apparente delicatezza, quel velo era anche una prigione. L’ordito sembrava una grata forgiata per rinchiudere i pensieri. Non c’era libertà in un velo da messa.
Per un istante Alice provò tristezza per l’antica proprietaria di quel manufatto, un’antenata di cui lei non conosceva il nome, nemmeno quel segno la poveretta aveva lasciato al mondo, succube come doveva essere stata di tutto ciò che quel velo rappresentava.
Tutti gli uomini coinvolti con le donne della famiglia Flores, siano essi mariti o figli, non arrivano alla vecchiaia accomunati dallo stesso fatale destino. È questa la maledizione, citata nel titolo, che incombe su questa famiglia, maledizione lanciata da una zingara in tempi remoti.
Mentre alla gente del posto questo essere una famiglia solo al femminile provocava sentimenti di pietà perché, in quanto donne, ritenevano avessero bisogno di un uomo per sopravvivere, loro vivevano un’esistenza tranquilla, non soffrivano perché semplicemente era la vita che era toccata a loro, né si ponevano domande sul perché di quella sorte, chiamata dal popolo “la maledizione delle Flores”. E vivevano felici.
Zia Firmina non si rassegnava, offesa dalle dicerie del popolo. «Che tutta quella pietà se la tengano per loro o per i meno fortunati. Perché mai, santa misericordia, avremmo bisogno di un uomo? Di uno che rutta e si lamenta della consistenza della marmellata? Non riesco proprio a capire cosa ci guadagneremmo ad avere tra i piedi una seccatura del genere.
Ma il romanzo non è solo le vicende della famiglia Flores, perché possiamo considerarlo una storia nella storia: la trama, molto flessibile, nel finale assume quasi i contorni di un trattato sulla violenza contro le donne che punta il dito e fa riflettere severamente su quei comportamenti repressivi mascherati da ipocriti amori opprimenti. Magistrale come la Lopes riesca a scandagliare tematiche roventi e ambigue come l’abuso sessuale, il maschilismo, il femminismo e il femmicidio, quest’ultimo entrato solo da poco nel dizionario ma sempre esistito, un atto, oggi come allora, che si tenta di nascondere e di far passare sotto silenzio.
L’autrice racconta tutto questo con un linguaggio scorrevole e semplice, evocativo e a tratti poetico. Tutti i personaggi, e non solo i protagonisti, sono ben caratterizzati sia fisicamente che introspettivamente: li vediamo muoversi nelle varie scene e ne percepiamo nitidamente i sentimenti, dall’amore all’odio, dalla gioia all’infelicità, dall’emozioni alla delusione. E io li vivo con loro.
Un romanzo di grande potenza emotiva, un romanzo coniugato al femminile con donne che lottano per far sentire la loro voce, che si ribellano all’ingiustizie di una società patriarcale e bigotta, che lottano con coraggio e forza contro i pregiudizi di cui sono spesso vittime, ieri come oggi. Per questo la storia raccontata dalla Lopes è estremamente attuale.
Una storia di coraggio, di lotta per la ricerca della libertà, di solidarietà tutta al femminile. Questo è il romanzo di Angelica Lopes “La maledizione della famiglia Flores”.
“Sono come il filo in un rocchetto” continuai “che può diventare un ricamo oppure essere dimenticato nel cesto del cucito. Non mi sento legata a nessuna terra. Né a questa in cui sono nata, né ad altre che non ho conosciuto”.
[…] Dentro di me non desideravo una cosa o l’altra. Accoglievo soltanto, senza ansia, ciò che ogni istante mi offriva – e anche questo, in un certo senso, era un segno di libertà perché non ero prigioniera nemmeno dei miei desideri.”
Inès Flores
Trama
La casa della famiglia Flores ha le finestre azzurre, un giardino curato, ed è un luogo speciale: ogni giorno un piccolo gruppo di donne si riunisce al suo interno per ricamare tovaglie, centrotavola, fazzoletti e veli. È il 1918 e Bom Retiro, una tranquilla cittadina nella regione del Pernambuco, nel Nordest del Brasile, vive gli anni di una dittatura violenta, che minaccia e reprime soprattutto la voce delle donne. Ma a casa Flores è diverso: un’oscura maledizione, che vede morire in giovane età tutti gli uomini della famiglia, ha trasformato questo posto in una roccaforte al femminile, dove Vitorina, che ha imparato l’arte segreta del ricamo fino ad allora appannaggio delle suore in convento, la trasmette alle altre. Tra queste, Zia Firmina, la più anziana, fervente cattolica e custode del segreto che grava sulla famiglia; Eugenia, promessa in sposa contro il suo volere a un uomo violento e più vecchio di lei e Inès, che utilizza un codice fatto di punti ricamati inventato da Eugenia per aiutare quest’ultima a liberarsi di lui. Un vero e proprio linguaggio segreto attraverso cui progettare la fuga. Una storia che arriva, un secolo dopo, nella Rio de Janeiro di oggi, consegnata sotto forma di un prezioso merletto ad Alice, pronipote di una delle donne Flores: una ragazza dai capelli blu, ribelle, che insieme alla compagna Sofia ricostruirà le vicende della sua famiglia. Sarà riuscita Eugenia a sfuggire al proprio destino? E qual è il segreto nascosto dietro la misteriosa maledizione? Una toccante storia di solidarietà al femminile, narrata con l’eleganza di un’arte antica e capace di trasmettere il valore del coraggio e della libertà.