Recensione a cura di Maria Oliveri
È una Sicilia multiculturale e per molti versi quasi fiabesca, con principi, dame e cavalieri, quella sapientemente ricostruita da Salvo Salerno nelle pagine del romanzo storico “Beninanza”: il racconto di un’isola percorsa da fermenti politici e culturali, mentre il Medioevo volge quasi al termine.
Il titolo del volume, “Beninanza”, è un desueto sostantivo di origine provenzale che indica “benignità o bontà”: “quella fatata beninanza che solo gli eletti trovatori posseggono”, scrive Salerno.
Protagonista del romanzo è infatti un menestrello itinerante, un cantastorie, un affabulatore di nome Aquilante di Odogrillo che se ne va ramingo per città e castelli, intrattenendo con appassionanti narrazioni i nobili nei loro manieri e i popolani nelle piazze.
Sin dalla lettura delle prime pagine, si comprende che il testo è storicamente molto accurato, con tanto di bibliografia e note, come un saggio storico; l’autore ha attinto a piene mani a cronache della storia trecentesca e a citazioni notarili, dando voce a personaggi rivisitati o inventati. Una delle cinque novelle è un resoconto notarile del ‘300, un’altra è del ‘500, un’altra ancora è una cronaca storica a cavallo tra il ‘200 e il ‘300.
La poesia amorosa che compare tra le pagine del libro, legata agli ultimi epigoni della scuola poetica siciliana, finisce per trasportarci nell’atmosfera del Trecento, in una Sicilia prostrata dalla secolare guerra di logoramento tra baroni siciliani, angioini e aragonesi, per riuscire ad impossessarsi del governo dell’isola.
La struttura del romanzo potrebbe ricordare in piccolo quella del “Decamerone”: una raccolta di novelle, ispirate dal proposito di integrare l’ideale di vita aristocratico basato sull’amor cortese, la magnanimità, la liberalità, con l’intelligenza, l’intraprendenza e l’astuzia.
Come accade nel “Decamerone”, anche in “Beninanza” le donne sono il cardine intorno a cui ruota la narrazione. Aquilante ammalia il suo pubblico cantando le avventurose imprese di cinque eroine (tre delle quali realmente esistite), donne tutte diverse per estrazione sociale, carattere ed esperienza, ma tutte capaci di tenere testa agli uomini.
Le cinque eroine svelano la verità dell’universo femminile del Trecento: sotto un’apparente fragilità e una sottomissione formale al maschio, signore e padrone, esse nascondono in realtà un profondo spirito di ribellione, una pungente ironia (unita alla forza d’animo, alla scaltrezza, alla sagacia) ma soprattutto un indomito coraggio.
La donna del Trecento non è più la donna-angelo della poetica del Dolce Stilnovo, è una donna intraprendente, artefice del proprio destino, capace di abili strategie pur di ottenere i propri obiettivi.
Ecco che Aquilante srotola davanti agli occhi del lettore, con l’abilità di un prestigiatore che conosce bene il suo mazzo di carte, la storia di Angiolina, figlia di Ruggiero di Lauria e del suo amore segreto col Delfino di Francia; quella di Lisciandra de’ Baccarati “avvenente e fine donzella in età da marito”, promessa in matrimonio al giovane Prandino, ma che durante un torneo accende d’amore il Duca Roberto e quella di Gerolda di Campagna, “donna fedele alla Corona di Sicilia che voleva rendersi servizievole al giovane Re che combatteva i Siciliani dagli odiati Angioini”.
Per ultime vengono la storia di Marviglia di Rachalsem (“notizie dicono di lei che pratichi l’alchimia”) e di Macalda Scaletta, moglie di Alaimo da Lentini, che con indosso l’elmo e l’armatura si fa ricevere dal re Pietro d’Aragona: “suscitando l’ammirazione del sovrano, come ella capì subito dal suo sguardo…”.
Sorprendente e inaspettato si rivelerà, alla fine del libro, l’incontro di Aquilante con la regina Bianca di Navarra, reggente dopo la prematura scomparsa del marito Martino il giovane.
A far da quinta scenica alle novelle, vi sono i paesaggi quasi “acquarellati” ritratti dalla penna dello scrittore: boschi accoglienti, conventi nascosti e riparati, radure e dolci colline, in una Sicilia ubertosa dove la natura regna incontaminata… e ancora: dimore e palazzi, castelli, torri, manieri…
“Beninanza” è un libro storicamente molto interessante anche da un punto di vista linguistico; è un romanzo piacevole e accattivante, dove il lettore finisce per perdersi nel racconto e per smarrirsi tra amori, avventure, tornei e innocenti inganni…tra alberi e sentieri, fino all’ultima avvincente pagina.
Trama
E così, nell’abile e immaginifico racconto del menestrello, prendono forma quasi vivente cinque affascinanti dame, molto diverse tra loro, per altrettante novelle, ciascuna con uno svolgimento e un epilogo per nulla convenzionale. Nel racconto entra, ad un certo punto, in modo imprevisto per lo stesso Aquilante, anche la regina Bianca, col carico simbolico della sua energica e seducente personalità e della sua fama per le gesta ormai leggendarie. Tessendo un filo narrativo dalle tonalità tragicomiche, intorno a cinque animose gentildonne, dieci gloriose città e un’indomita regina, disseminando talora nel racconto sorprendenti favolismi allegorici e occasionali incursioni di elegante ironia, Salvo Salerno compone il suo arazzo politico e socio-culturale di quella suggestiva Sicilia tardomedievale, immortalandola nella fase cruciale della sua storia, quando il mitico Regnum indipendente mostrava i suoi ultimi fasti e sussulti di vita.