Articolo a cura di Luca Vinotto
Il 24 marzo si è celebrata la giornata nazionale per la promozione della lettura, mentre il 23 aprile si festeggia quella del libro. Due ricorrenze che ci ricordano quanto la Storia dell’uomo debba alla invenzione di quel formidabile strumento di diffusione delle idee e delle informazioni che è la scrittura.
Vale la pena, quindi, fare un salto nel tempo e nello spazio per capire dove tutto sia iniziato. Un viaggio che ci porta nella Mesopotamia del IV millennio a.C., più di cinquemila anni fa. E più precisamente in una città, Uruk, che guarda a caso è il primo insediamento umano a potersi fregiare di questo nome.
Vediamo come sono andate le cose più da vicino.
le origini
La Mesopotamia è la regione compresa tra la catena dei Monti Tauro a nord e il Golfo Persico a sud, con il deserto siriano a est e l’altopiano iraniano a ovest. Un territorio arido e secco, se non fosse per i due fiumi che lo attraversano e che lo rendono per larga parte coltivabile, apportando sostanze nutritive e acqua in abbondanza. Si tratta del Tigri e dell’Eufrate e a loro la regione deve il nome: Mesopotamia in greco significa “terra tra due fiumi”. Oggi quell’area corrisponde grosso modo all’Iraq e alla parte nord orientale della Siria.
Dando una occhiata alla cartina si nota un’altra caratteristica della regione: la collocazione strategica, perché la Mesopotamia è al crocevia tra tre continenti, quello asiatico, quello africano e quello europeo. È sulla direttrice che unisce le aree di sviluppo delle prime civiltà: antico Egitto, Mesopotamia appunto e Harappa (Indo), nella migliore posizione per intercettare i flussi migratori e poi commerciali che si sviluppano tra queste aree “civilizzate” ma che interessano anche quelle limitrofe.
E in effetti in Mesopotamia la presenza dell’uomo è di antica data: nuclei di cacciatori raccoglitori erano presenti già dal X millennio a.C. e dal VI millennio danno origine ai primi insediamenti stanziali o seminomadi nella Mesopotamia settentrionale (c.d. “Rivoluzione Neolitica”). Nel periodo successivo si sviluppano ed acquistano caratteristiche distintive, sicché gli studiosi distinguono le culture Hassuna e Samarra, sviluppatesi quasi contemporaneamente (VII-VI millennio a.C.) la prima alle pendici dei Monti Zagros e la seconda lungo il corso dell’Eufrate, seguite durante il VI millennio a.C. dalla cultura Halaf nella zona dei Monti Taurus.
È un processo lento ma costante attraverso il quale le comunità crescono in numero e in dimensione, creando strutture sempre più articolare: al loro interno si creano le prime differenziazioni sociali, i rapporti commerciali con i vicini si intensificano e inizia il commercio su lunga distanza (con l’Anatolia ma anche con l’Asia centrale).
la cultura ubaid
Con la cultura Ubaid (V e IV millennio a.C.) l’area è interessata da un importante cambiamento climatico, con una riduzione delle piogge e il progressivo ritiro delle acque del Golfo. Ciò porta a due conseguenze importanti: la prima è che anche la parte meridionale della Mesopotamia viene occupata dall’uomo; è a questo periodo, tra l’altro, che risalgono le prime tracce di insediamenti sumeri in quell’area. La seconda è che il progressivo inaridimento delle terre spinge la popolazione a concentrarsi in villaggi più grandi, con mano d’opera sufficiente a costruire la rete di canali necessari a irrigare i campi ora che l’apporto delle piogge non è più sufficiente.
La crescita continua della densità abitativa consente una sempre più ampia rete di scambi, e questo permette lo svilupparsi di attività produttive ad alto livello di specializzazione, comprese quelle necessarie a organizzare il lavoro altrui. Nasce la prima città.
Per città gli storici non intendono un villaggio di grandi dimensioni, ma qualcosa di più. È il luogo in cui le relazioni umani si sviluppano ad un livello di complessità mai raggiunto in precedenza, dando origine a funzioni specializzate legate al suo ruolo di centro politico ed economico di un vasto territorio. Coordinate dal potere centrale, masse di lavoratori sono sottratte permanentemente al lavoro nei campi e impiegate nella realizzazione di opere di interesse comune (canali di irrigazione, edifici pubblici, opere di difesa). Questo rende necessaria l’amministrazione centralizzata di almeno una parte dei beni prodotti dalla comunità e la loro redistribuzione a chi, svolgendo mansioni diverse, non può contribuire direttamente alla loro realizzazione. La città presuppone, insomma, una organizzazione sofisticata e ben strutturata, con gerarchie e ruoli definiti e accettati dalla comunità.
la città di uruk
Sulla base di queste considerazioni Uruk, un insediamento sumero esistente fin dal V millennio a.C., viene considerata la più antica città del mondo. Sarà un punto di riferimento per la civiltà non solo sumera, ma anche babilonese, assira e persiana e verrà definitivamente abbandonata solo nel VI secolo d.C., diventando quindi una delle città più longeve della storia.
A Uruk viene attribuita la qualifica di città fin dal 3800 a.C., ma raggiunge la sua massima espansione nel 2900 a.C., con una popolazione di 50.000 abitanti (c’è chi dice 90.000) e un’area abitata di 5,5 kmq, pari al doppio di quella di Atene sotto Temistocle, 2.400 anni dopo.
Per sostenersi ha bisogno di ricevere flussi costanti di materie prime da un’area molto vasta, che supera i confini della stessa Mesopotamia raggiungendo l’Anatolia, il Mar Nero e l’Asia centrale. Lo fa creando una rete di proprie colonie di nuova costituzione o inserite all’interno di insediamenti preesistenti, presso i quali “esporta” per così dire la sua organizzazione sociale e i suoi metodi di produzione. È la “cultura di Uruk” (3800 – 2900 a.C.).
Una organizzazione talmente complessa e sofisticata ha bisogno di sviluppare un adeguato sistema di trasferimento e conservazione delle informazioni; è in questo contesto che si sviluppa la prima forma di scrittura. Vediamo come.
la cretula e la bulla
In realtà una prima risposta a questa esigenza era stata data fin dal V millennio (periodo Halaf). Già allora in Mesopotamia la merce viaggia accompagnata da sigilli in argilla che ne garantiscono l’integrità (cretulae). Si tratta di grumi di argilla applicati sul carico in modo da presentare da un lato l’impronta dell’oggetto (ad esempio le corde che chiudevano sacchi e cesti, il tessuto o la pelle con cui venivano coperti i vasi in ceramica e per i magazzini i pioli di chiusura delle porte dei depositi), dall’altra l’impronta di un sigillo del proprietario. Il sigillo è costituito da un cilindro in osso o pietra sul quale sono riportati, in bassorilievo, disegni identificativi del proprietario: facendolo ruotare, si trasferisce il disegno sull’argilla molle della cretula.
La cretula “certifica” la presenza di un carico non manomesso, ma non dice nulla del contenuto. Per ovviare all’inconveniente intorno al 3400 a.C., accanto alla cretula (che rimarrà, insieme al sigillo) compare la bulla, costituita da un involucro di argilla contenente piccoli simboli rappresentanti la merce detti token (sfere, coni o dadi integri o forati realizzati in pietra osso o argilla). Col tempo l’utilizzo dei token si standardizza, per cui alcuni vengono utilizzati per rappresentare le quantità e altri per rappresentare la natura della merce.
Sulla bulla viene impresso il sigillo che ne garantisce l’autenticità; in caso di contestazioni, la si rompe per verificare la concordanza tra i simboli contenuti e la merce effettivamente ricevuta.
La bulla è una bella pensata, senza dubbio. Ma presenta un inconveniente: nel caso di controllo della merce, bisogna rompere l’involucro con il sigillo, che quindi va rimesso, con tutti i problemi del caso. Si sviluppa quindi una prima evoluzione, che prevede l’applicazione dei token all’esterno della bulla. Ulteriore evoluzione, anziché imprigionare i token nell’argilla, essi vengono semplicemente incisi sulla stessa e la bulla da sferica si appiattisce fino a diventare una tavoletta di argilla.
L’idea di incidere i simboli nell’argilla è rivoluzionaria: i token non sono più necessari, basta un bastoncino usato con destrezza. Passando dal «tridimensionale» al «bidimensionale» è però ancora più importante «mettersi d’accordo» su quali simboli usare per rappresentare i vari tipi di merce. Nasce quindi la prima forma di scrittura, per pittogrammi.
I primi pittogrammi riportano su una superficie d’argilla la sagoma del gettone raffigurante la merce, preceduta da segni che ne indicano la quantità trattata. Naturalmente tutto l’insieme dei segni impiegati deve essere organizzato in sistema: forma, numero e significati vengono velocemente codificati e definiti in maniera stabile.
Ben presto si rende necessario esprimere anche concetti, azioni e rapporti verbalmente espressi con verbi o con sostantivi astratti. Come fare?
la polisemia
Si ricorse alla polisemia, impiegando lo stesso segno usato per un oggetto per indicare anche azioni o concetti astratti ad esso correlati. Ad esempio, la parte inferiore di una gamba veniva usata per indicare anche “stare (in piedi)”, “andare”, “portare” etc., e il pittogramma per “bocca” può esser usato per indicare “dente”, “parola”, “parlare”.
Anche la combinazione tra due pittogrammi consente l’espressione di ulteriori significati: associando quello per “testa” con quello per “pane” si otteneva “mangiare”.
Segue quindi la Fonetizzazione (3100 a.C. circa). Secondo alcuni è con il conseguimento di questa invenzione che si può parlare di scrittura vera e propria. I grafemi del sistema non sono più usati solo per indicare l’oggetto raffigurato, ma potevano anche esser usati per rappresentare il suono che indicava quello stesso oggetto.
Intorno alla fine del quarto millennio i simboli subiscono una rotazione di 90° di cui si ignora il motivo. Diventano più stilizzati e perdono le parti curve, quelle più difficili da rendere con lo stilo sull’argilla. Col tempo la loro forma si semplifica per essere resa col minor numero possibile di segni.
Questa nuova forma di trasmissione non solo delle informazioni ma anche del pensiero è talmente efficiente che già dal 3100 a.C. si diffonde in tutto l’area centro meridionale della Mesopotamia, per poi penetrare nelle regioni settentrionali e, anche grazie alle conquiste e spedizioni di Sargon il Grande e dei suoi discendenti, arrivare Asia centro-occidentale (nell’Elam, 2100 a.C. circa) e in Anatolia. 1500 anni dopo la sua “invenzione”, rimane la forma di scrittura più utilizzata anche nella Siria-Palestina e nella corrispondenza diplomatica internazionale, antico Egitto compreso.