Narrativa recensioni

Le esiliate – Christina Baker Kline

Recensione a cura di Sabrina Poggi

Gli aborigeni sono esseri umani, dopotutto. La nostra teoria è che cambiando l’aspetto esteriore si può cambiare la personalità. Stiamo insegnando loro a mangiare il nostro cibo e a parlare la nostra lingua. Nutriamo le loro anime con il cristianesimo.

Una storia di donne tra l’Inghilterra vittoriana e la Terra di Van Diemen’s (oggi Tasmania).

Hobart Town

La prima figura femminile importante del romanzo è quella di Evangeline, figlia di un pastore e orfana di madre dalla nascita. Quando muore anche il padre e rimane sola al mondo, finisce, come molte altre giovani colte ma senza mezzi, a fare l’istitutrice presso una famiglia benestante a Londra.
La giovane è ingenua e finisce per essere sedotta dal rampollo della famiglia, rimanendo incinta. Si illude di poter avere un futuro accanto a lui, tanto più che le ha donato un prezioso anello di famiglia, ma il destino ha in serbo ben altro per lei.

Accusata di aver rubato il gioiello e di tentato omicidio per aver spinto giù dalle scale la cameriera gelosa che aveva tradito il suo segreto, viene arrestata e finisce nel girone infernale del carcere di Newgate. La descrizione della prigione è potente, ci si ritrova con la protagonista in un luogo buio, sovraffollato, nel fetore dei corpi costretti alla vicinanza forzata. Non sembra esserci spazio per la solidarietà ma, incredibilmente, una tra le detenute più scafate, Olive, già condannata alla deportazione, prende sotto la sua protezione Evangeline.

C’erano cose a cui non si sarebbe mai abituata: le urla che si diffondevano come un contagio da una cella all’altra. Le violente scazzottate che scoppiavano all’improvviso e finivano con una detenuta che sputava sangue o denti. Il brodo tiepido di mezzogiorno in cui galleggiavano peli, musi, unghie e ossa di maiali.

Il processo è sbrigativo, in fondo a nessuno interessa la versione dei fatti di Evangeline, che viene condannata a quattordici anni e alla deportazione nella Terra di Van Diemen. All’epoca era prassi comune popolare le colonie più remote con galeotti, ottenendo il duplice “vantaggio” di svuotare le sovraffollate carceri della madrepatria e di avere abbondante manodopera gratuita nei territori d’oltremare.

[…] i coloni liberi erano una forza lavoro problematica. Bisognava pagarli, tanto per cominciare, e a differenza di una manodopera prigioniera, se decidevano di andarsene non c’era molto che si potesse fare per fermarli.

Territori in cui i nativi sono stati sterminati o relegati in zone sempre più ristrette, obbligati ad una “civilizzazione” – o sarebbe meglio dire europeizzazione – forzata. E qui si innesta nella vicenda principale quella di Mathinna, figlia di un capo tribù locale, accolta nella famiglia del governatore Franklin per essere esibita dalla moglie di questi, al pari delle curiosità raccolte nei viaggi intorno al mondo.

Mathinna – 1842, Thomas Bock

La povera bambina, pur non comprendendo appieno la necessità di rinunciare alla sua vita e alle sue tradizioni, si adatta come meglio può, dimostra anche una buona attitudine per gli studi, ma non riuscirà ad integrarsi e verrà abbandonata senza rimorsi quando i Franklin si trasferiranno altrove.

Nel frattempo, Evangeline viene imbarcata sulla Medea, ex nave negriera adibita al trasporto dei deportati. La attendono mesi di navigazione, in condizioni simili a quelle della prigione, ma con il conforto di Olive e di Hazel, giovanissima deportata che ha appreso qualche nozione medica dalla madre levatrice, con cui stringerà un rapporto di affetto e amicizia.

Gli uomini dell’equipaggio sono nel migliore dei casi indifferenti al destino delle carcerate, o apertamente volgari e crudeli, con l’unica eccezione del medico di bordo, che dimostra per lo meno una certa umanità.

Il viaggio sarà lungo e pieno di vicissitudini, non tutte le protagoniste ne vedranno la fine, ma la figlia di Evangeline vedrà la luce proprio durante la navigazione.

Giunte a destinazione, in un mondo esotico e totalmente diverso dall’Inghilterra che hanno lasciato, ci saranno ancora anni di condanna da scontare, ma la possibilità di lavorare fuori dal carcere aprirà nuovi orizzonti, in particolare per Hazel, che lavorerà nell’asilo della prigione e poi nella dimora dei Franklin, dove la sua storia si intreccerà per un breve periodo con quella di Mathinna.

Forse Wanganip e Hazel stavano dicendo la stessa cosa: che se ami qualcosa, quella rimane con te anche quando non c’è più.

Gli anni passeranno e Hazel riuscirà a trovare il suo posto nel mondo; accanto a lei resterà Ruby, la figlia di Evangeline, preziosa come la pietra di cui porta il nome, che potrà aspirare ad una vita migliore e a coronare i suoi sogni, anche se figlia di una deportata.

Un romanzo avvincente, dove le protagoniste principali sono donne, piegate dalla vita, ma forti e capaci di grandi gesti di amicizia. Il mio unico, leggero disappunto riguarda la figura di Mathinna, che viene forse un po’ tralasciata nel finale.

Inoltre, il libro offre molti spunti di approfondimento per chi è curioso come me: dall’amministrazione della giustizia e le condizioni carcerarie nell’Inghilterra vittoriana alla colonizzazione forzata delle terre australi e la “questione indigena”.

Mrs. Fry reading to the prisoners in Newgate John Johnson

Leggendo si incontrano anche personaggi reali, come Elizabeth Fry, filantropa inglese, tra le prime a battersi per condizioni carcerarie più umane. O il governatore John Franklin con la sua ambiziosa moglie, quello stesso Franklin che passerà anni dopo alla storia per la famosa e disastrosa spedizione dell’Erebus e della Terror. Ho scoperto, con una certa sorpresa, che anche Mathinna è un personaggio realmente esistito e il suo ritratto con il vestito rosso, vividamente descritto nel libro, salta fuori dalle pagine virtuali del web!

La trama è ben supportata dallo sfondo storico, si tratta quindi di una lettura tanto avvincente quanto interessante.

BONUS MUSICALE (da ascoltare leggendo il libro):
“Hold me now, oh hold me now
‘Til this hour has gone around
And I’m gone on the rising tide
For to face Van Diemen’s Land”
(U2, Van Diemen’s Land)

Edizione cartacea: Le esiliate
Edizione ebook: Le esiliate

Trama
Londra, 1840. Evangeline è un’ingenua ragazza che fa la governante presso una ricca famiglia di città. Sedotta dal rampollo di casa, rimane incinta. Per liberarsi del problema, la padrona la taccia di furto e la fa arrestare. Dopo mesi nella fetida, sovraffollata prigione di Newgate, Evangeline viene condannata a imbarcarsi per la Terra di Van Diemen, una colonia penale in Australia. Benché incerta di quello che la aspetta Evangeline sa una cosa: il bambino che sta aspettando nascerà prima del suo arrivo in quella terra lontana.
Durante il viaggio su una nave di schiavi, la Medea, Evangeline stringe amicizia con Hazel, una ragazzina che è stata condannata a sette anni di esilio per aver rubato un cucchiaio d’argento. Hazel è molto più astuta di lei, ed essendo un’esperta ostetrica ed erborista, offre aiuto e rimedi casalinghi alle prigioniere e ai marinai in cambio di favori. Benché l’Australia sia stata la patria del popolo aborigeno per più di 50.000 anni, il Governo inglese considera la colonia un luogo non civilizzato e i nativi come un fastidioso inconveniente.
Quando la Medea attracca, la loro terra è stata occupata dai bianchi e molti dei nativi sono stati forzatamente spostati altrove. Fra questi c’è Mathinna, la figlia orfana del capo della tribù Lowreenne, che è stata adottata dal nuovo governatore della Terra di Van Diemen. Christina Baker Kline, autrice bestseller del New Yok Times, ritorna con un romanzo ambizioso e coinvolgente su tre donne le cui vite si intrecciano indissolubilmente nell’Australia dell’Ottocento e sulle sfide che affrontano insieme mentre combattono per la redenzione e la libertà in una nuova società.

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