Recensione a cura di Roberto Orsi
I migliori anni della mia vita di Leonardo Masetti racconta una storia italiana. O meglio racconta più storie che si intrecciano sullo sfondo dell’Italia nel primo Novecento. A voler essere più precisi il perimetro geografico in cui si svolgono le vicende si limita all’isola di Sicilia.
Il romanzo pubblicato da Porto Seguro definisce la dimensione sociale di una regione che pochi decenni prima ha assistito al processo di unificazione del paese.
È la Sicilia dei proprietari terrieri dei contadini e dei gabellotti. È la Sicilia di personaggi alla Vito Corleone, uomini di malaffare disposti a tutto per il potere e il denaro.
“Il Regno d’Italia entrò ufficialmente nel conflitto: ai cancelli sia dell’inferno che del paradiso si stavano accalcando milioni di giovani anime, armate solo dei loro biglietti d’ingresso, ansiosi di prender possesso del loro alloggio perenne. E l’Italia, così pareva, moriva dalla voglia di dare il suo contributo di sangue”.
Tutto prende inizio sul finire del 1915 con Antonio Lugarà, uno dei protagonisti del romanzo, che decide di arruolarsi volontariamente nel Regio esercito impegnato da pochi mesi nella Prima guerra mondiale. In un contesto in cui la normalità sembra essere disertare la chiamata alle armi, questa decisione volontaria fa storcere il naso agli alti ufficiali che la ricevono. Qual è la vera motivazione alla base di questa scelta di Antonio? Sta forse fuggendo da qualcuno?
Il giovane decide di raccontare la sua storia al Tenente Agosta e da qui si snoda il romanzo di Masetti con un lungo flashback che ripercorre le vicende di Antonio e del piccolo paese di Bagheria.
“Il fardello che portava sulle spalle stava assumendo la forma dell’orrenda punizione inflitta da Zeus a Sisifo. Doveva metter giù quella gigantesca pietra, possibilmente una volta per tutte. In altre parole, aveva bisogno di dar sfogo ai suoi pensieri e uno sconosciuto è spesso e volentieri il miglior confessore”
Il romanzo pone sul piano dello scontro i due capi rione che rispondono al nome di don Calogero e Don Cicciu.
Il secondo è il capo supremo della conca d’Oro, un territorio che abbraccia la città di Palermo e i comuni limitrofi. La battaglia per la supremazia territoriale è priva di scrupoli e senza esclusioni di colpi. Il potere si misura in acri di terreno e i due personaggi hanno alle loro dipendenze un intero esercito di collaboratori fidati.
Il commercio dei limoni, l’oro giallo di Sicilia, è florido e rende profitto.
Don Calogero è una personalità emergente con i giusti contatti a livello politico ed è abile nel creare alleanze più o meno volontarie. Attraverso lo strumento della minaccia e della violenza fisica Don Calogero ottiene l’appoggio degli impresari e degli imprenditori locali contro il potere di Don Cicciu.
“Seguendo le orme di suo padre Angelo, aveva iniziato la carriera da criminale come un comune gabellotto, un imprenditore agricolo che affittava terra da un aristocratico. Lasciate che vi spieghi, brevemente, cosa fosse un gabellotto: i suoi compiti erano quelli di assumere lavoranti, subaffittare la terra, vendere i frutti del raccolto agli intermediari e garantire la sicurezza dei terreni affittati.”
In questo contesto si inserisce il racconto dei cinque ragazzi amici per la pelle pronti a sacrificarsi uno per l’altro: Antonio, il giovane che abbiamo visto arruolarsi nel regno esercito, Pietro, Francesco, Laureato e Cono. Hanno famiglie e origini diverse tra loro, ma sono tutti e cinque guidati dalla forza dell’amicizia, del rispetto e della lealtà reciproca.
La loro è una vita fatta di lavoro e sacrificio ma per la giovane età che li contraddistingue una sorta di leggerezza e di sana follia ammanta le loro giornate. Il conflitto mondiale è lontano, se ne sente parlare alla radio e se ne legge sui giornalim ma non è qualcosa che al momento li tocchi da vicino.
“In ques’isola fertile, forgiata dalla lava incandescente del Monte Etna, i contadini indifesi erano costretti a inchinarsi alle rigide regole comportamentali dettate da arroganti aristocratici, i quali, a loro volta, si vedevano costretti a inchinarsi alla volizione dei barbari gabellotti.”
Dopo un incidente di caccia in cui Antonio uccide una preda nel territorio di Don Calogero, il ragazzo viene assunto quale aiutante di Petronilla nella gestione del roseto di casa. La donna è la moglie del capo rione e Antonio non può che restare basito di fronte alla sua incredibile bellezza.
Parallelamente alle vicende più violente in cui i malavitosi giocano il ruolo dei prepotenti, assistiamo alla nascita del rapporto tra Antonio e Petronilla. La donna è sposata con un uomo che non ha mai desiderato, non può rimanere indifferente di fronte alla tenerezza e al romanticismo del giovane Antonio. Il loro rapporto, però, è proibito e oltremodo pericoloso.
Le vite dei cinque giovani si intrecciano a quelle delle bande dei capo rioni. Sono tutte esistenze che viaggiano sul filo del rasoio: essere alleati di uno o l’altro clan può significare vita o morte.
La scrittura di Masetti è particolare: il racconto si snoda come un dialogo con il lettore un’impostazione di manzoniana memoria. L’autore ricorre spesso a passaggi in cui si rivolge direttamente al suo interlocutore principale ponendo domande, insinuando dubbi, o semplicemente accompagnandolo nel racconto come un moderno Virgilio. Le atmosfere della Sicilia di un secolo fa sono ben ricostruite anche attraverso l’inserimento di detti popolari e frasi in dialetto prontamente tradotte, modi di dire e usanze del tempo.
È un romanzo di malaffare, di corruzione e violenza, ma anche di buon cuore e sentimenti umani che la maggior parte delle volte, non sempre, trionfano.
Una menzione particolare merita la maledizione di James Blind citata nel titolo, ma non voglio togliere il piacere al lettore di scoprire di cosa si tratti. Lascio quindi la sorpresa, esortandovi a scovarne il racconto di Don Calogero all’interno del romanzo.
“La natura delle cose, son portato a credere, è la perfezione, perennemente subalterna all’imperfezione che nasce nelle diversità comuni a tutti gli esseri viventi. Senza imperfezioni, la perfezione non può essere raggiunta e, conseguentemente, la vita sulla terra non sarebbe sostenibile. Se tutte le prede fossero perfette, i predatori morirebbero di fame e viceversa.”
Trama
Alla vigilia della Prima Guerra Mondiale, un ragazzo non ancora ventenne di nome Antonio Lugará è pronto ad arruolarsi nel Regio Esercito. Cosa lo ha spinto a compiere un atto così estremo che gli cambierà la vita? Sta scappando da qualcosa…o da qualcuno? Il romanzo ripercorre i mesi precedenti della vita di Antonio, trascorsa a Bagheria, la cui vita – e quella dei suoi amici – s’intreccia con le pericolose macchinazioni del sanguinario Don Calogero, un avido caporione disposto a tutto per ottenere il controllo del territorio della Conca d’Oro. I migliori anni della mia vita pone le fondamenta sulle emozioni e sulle riflessioni di grotteschi e caricaturali protagonisti: storie di amori proibiti, vili tradimenti, omicidi efferati e valorose prove di amicizia si inseriscono nel tipico paesaggio rurale della Sicilia, all’apparenza pacifico ma che, in realtà, è corroso dal potere esercitato dalla violenza criminale.