Serie TV

Lidia Poët VS “La legge di Lidia Poët”

Da qualche mese è disponibile sulla piattaforma Netflix la serie tv “La legge di Lidia Poët”: sei episodi ispirati alla figura di Lidia Poët, la prima donna che ottenne, in Italia, l’abilitazione alla professione di avvocato, poi revocatale. Anche se forse è un po’ riduttivo definire la Poët solo una avvocata, dal momento che fu anche una forte sostenitrice dei diritti delle donne, si battè per le condizioni dei detenuti, finendo con l’essere tra gli ideatori del moderno diritto penitenziario.

La serie ha fatto discutere, come sempre il pubblico si è diviso, c’è chi l’ha apprezzata e chi no, chi ha parlato di occasione mancata, chi invece l’ha elogiata. Insomma, si è alzato un gran polverone. Noi di TSD l’abbiamo vista per voi e proviamo a tracciare una comparazione fiction VS Storia.

Partiamo proprio da questa ultima frase: stabiliamo e chiariamo subito che si tratta di fiction, non documentario biografico, e nemmeno docu-serie, ma solo ed esclusivamente fiction, finzione. E questa abbiamo messo a confronto con la realtà storica.
Dove pende la bilancia? Andiamo a vedere.
Iniziamo con i raffronti

Location

La Torino all’alba del Novecento è assai ben resa. Si è cercato, almeno negli esterni, di tenere la precisa corrispondenza dei luoghi: il palazzo di giustizia torinese in cui Lidia Poët viene interdetta dalla professione di avvocato è, nella realtà, palazzo Carignano (che fu teatro di un importantissimo evento storico: fu il luogo in cui Carlo Alberto di Savoia-Carignano concesse lo Statuto Albertino).

Ma, negli interni, il tribunale de La legge di Lidia Poët non è Palazzo Carignano – l’edificio presta alla serie tv, appunto, solo la sua facciata. La location principale della fiction è, infatti, è la Curia Maxima nel Palazzo dei Supremi magistrati di Via Corte d’Appello

Trucco e parrucco

Direi che qui la serie tv si becca un 9 pieno: le acconciature dell’epoca sono riprodotte piuttosto fedelmente, il trucco è sempre abbastanza sobrio e naturale (considerando anche le regole della tv, con le luci e tutto quanto). Ma potremmo dire che il confronto regge abbastanza.

Costumi

C’è chi ha parlato di costumi troppo sfarzosi, ma a noi sono sembrati pienamente corrispondenti ai costumi dell’epoca e allo status sociale della Poët (era comunque di famiglia agiata); magari i copricapo nella serie tv sono un po’ troppo vezzosi per come era in realtà la Poët, ma chi può dirlo davvero?

Il personaggio

Qui troviamo le più marcate differenze tra la realtà storica e la finzione.


Lidia Poët (interpretata da Matilda De Angelis) si laureò col massimo dei voti nel 1881 alla facoltà di giurisprudenza di Torino. Dopo due anni di pratica legale, superò l’esame di abilitazione e presentò all’Ordine degli Avvocati la domanda di iscrizione all’albo degli Avvocati e dei procuratori legali. Non essendoci alcuna norma che vietava alle donne di professare l’avvocatura, il Consiglio dell’Ordine degli avvocati di Torino iscrisse la Poët all’albo degli Avvocati (con 8 voti favorevoli e 4 contrari) facendola divenire a tutti gli effetti la prima donna in Italia a ottenere ciò.
Tuttavia, la Corte d’Appello di Torino, su ricorso del Procuratore Generale del Re, annullò l’iscrizione basandosi sul fatto che la professione forense era, a tutti gli effetti, un pubblico ufficio e come tale vietato alle donne. Anche la Cassazione, cui la Poët fece ricorso, confermò quella sentenza.

Le motivazioni della Corte d’Appello furono e sono tuttora sinonimo di una arretratezza culturale senza eguali:

l’avvocheria è un ufficio esercitabile soltanto da maschi e nel quale non devono immischiarsi le femmine”. Anzi, al contrario “sarebbe disdicevole e brutto veder le donne discendere nella forense palestra agitarsi in mezzo allo strepito dei pubblici giudizi, accalorarsi in discussioni che facilmente trasmodano e nelle quali anche, loro malgrado, potrebbero esser tratte oltre ai limiti che al sesso più gentile si conviene osservare”.
E ancora, la donna avvocato non sarebbe seria nei giudizi per il solo fatto di come si veste o come si acconcia i capelli “se si vedessero talvolta la toga o il tocco dell’avvocato sovrapposti ad abbigliamenti strani e bizzarri che non di rado la moda impone alle donne e ad acconciature non meno bizzarre”.

La sentenza della Corte di Cassazione di Torino che sancisce la cancellazione di Lidia Poët dall’albo degli avvocati

E la narrazione della serie targata Netflix restituisce appieno le parole documentate della sentenza della Corte d’Appello.

Ciò nonostante, la Poët lavorò nello studio legale del fratello, dove esercitò ugualmente la professione benché non in modo ufficiale (e in questo Storia e serie tv coincidono) ma forse con metodi e modi meno investigativi (come invece traspare dalla serie, ma va detto che i casi di ogni episodio servono anche a restituire il climax socio-giuridico dell’epoca, l’avvento delle impronte digitali come prova d’indagine, ecc.); non si sposò mai (e in questo c’è corrispondenza, e tale convinzione della Poët emerge piuttosto palesemente nei rapporti che la Poët-De Angelis intrattiene con i suoi amanti, anche se con qualche vacillamento, ci è sembrato), viveva col fratello (e anche in questo riscontriamo piena coincidenza tra realtà e fiction), che però non aveva famiglia (a differenza della serie in cui ha moglie e figlia), fuori Torino (in una casa piuttosto normale, e non in una villa fiabesca come si vede nella serie tv).


Solo nel 1920, quando ormai Lidia Poët aveva 64 anni, il governo italiano la abilitò – e non senza lunghe battaglie – all’esercizio della professione forense; quasi in linea con i primi riconoscimenti alle donne ottenuti dalle lotte delle anglosassoni in Europa, e in America.

Ma la serie tv si ferma molto prima, terminando con una Lidia Poët sconfitta dalla Cassazione, respinta dall’eservizio dell’avvocatura, delusa e sul punto di lasciare Torino (e forse l’Italia), ma… resta in sospeso così. Preludio a una seconda stagione? Staremo a vedere.

Sta di fatto che il senso, il significato ultimo della serie tv, quello sì, è corrispondente alla realtà e forse in questa ottica va vista: come un tributo a una donna che, con le sole armi della passione per il proprio lavoro e dalla determinazione nel raggiungere i propri obiettivi, sfidò un mondo che, all’epoca, era esclusivamente maschile, aprendo la strada al riconoscimento dei diritti delle donne in un’epoca e in un ambiente in cui erano totalmente escluse a causa del loro sesso.

E se filtriamo i sei episodi di cui si compone la serie tv, se li epuriamo dal tratto investigativo che sembra caratterizzare maggiormente il personaggio, se guardiamo al progetto e al messaggio nella loro complessità, allora la serie tv è promossa a pieni voti.

E poi, diciamolo: quanti, prima di questa serie tv, conoscevano o avevano mai sentito parlare di Lidia Poët? E se la fiction ha fatto sì che ci si avvicinasse alla Storia, non ha forse segnato un punto a suo favore? Se il tratto moderno che scandisce tutta la serie tv (forse voluto per avvicinare un pubblico più giovane) ha reso comunque il suo servizio alla causa femminista, a scuotere dalla polvere un personaggio – una donna – importante nella Storia e per le altre donne, non è forse giusto chiudere un occhio sul linguaggio – questo sì – un po’ troppo volgare e contemporaneo e su delle scene audaci – di nudo e di sesso libertino?

Un ultimo riconoscimento lasciatecelo fare alle musiche che scandiscono gli episodi: moderne? Forse! Calzanti e appropriate alla trama a volte gothic? Senza dubbio.
Menzione speciale, per noi, per quella che fa da sfondo all’ultima scena dell’ultimo episodio: “King” – Florence + The Machine

But a woman is a changeling, always shifting shape
Just when you think you have it figured out
Something new begins to take
[…]
I am no mother, I am no bride, I am King

E Lidia, che non fu moglie né sposa, fu di sicuro artefice di qualcosa che doveva cambiare e che, anche grazie a lei, cambiò davvero!

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One Reply to “Lidia Poët VS “La legge di Lidia Poët”

  1. Ho inserito la storia di Lidia Poet nel mio romanzo “Il salto del delfino” scritto alcuni anni fa poiché la figura mi aveva affascinato e mi sembrava giusto ricordarla.
    Non credo proprio che il personaggio illustrato nella serie tv rappresenti l’immagine che mi ero e sono fatto della donna vittima del maschilismo professionale. Però oggi tutto deve essere esasperato e portato all’eccesso senza pensare che ai quei tempi bastava solo la volontà di affermare il proprio diritto per creare uno scandalo.

     

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