Recensione a cura di Roberto Orsi
Solomon Cordovero, ebreo sefardita del ghetto di Ferrara, viene ritrovato senza vita in un campo di proprietà del cenobio dei padri gesuati? Che ci faceva in quel campo appartenente a una istituzione ecclesiastica cristiana? Per quale motivo era uscito dopo il crepuscolo dalla Giudecca, il ghetto ebraico estense?
“Un motivo che a lui stesso sarebbe apparso folle, se non avesse viso, udito e compreso abbastanza da intuire il segno del male supremo.”
È il ritorno sulla scena letteraria di Girolamo Svampa, l’inquisitore nato dalla penna e dalla fantasia di Marcello Simoni. Giunto al quarto volume della serie con questo protagonista, l’autore porta i personaggi della saga nella “sua” Ferrara.
Ludovico Ludovisi, Cardinal nepote, sovrintendente generale dello Stato ecclesiastico, prefetto della Signatura e della Congregatio de propaganda fide, insiste per inviare Girolamo Svampa e il suo amico Capiferro, segretario del Sant’Uffizio dalla memoria strabiliante, nella città degli estensi a indagare sull’omicidio di Cordovero.
Perché la curia di Roma si interessa così da vicino alla morte di un ebreo, pur avvenuta su un terreno cristiano? Perché deve intervenire Girolamo Svampa? Non è forse sufficiente che le autorità e l’inquisitore locale si occupino delle indagini?
Pur riluttante, per certi versi, ad allontanarsi da Roma, lo Svampa deve mostrar buon viso a cattivo gioco. Ben presto si trova coinvolto in una vicenda dai contorni oscuri e dalle acque torbide. L’assassino è un uomo senza scrupoli che non esita a uccidere le proprie vittime a sangue freddo e ad asportarne delle ossa per chissà quale rito ancestrale e negromantico.
Il lettore che ha imparato a conoscere Girolamo Svampa nei precedenti volumi della serie (Il marchio dell’inquisitore, Il monastero delle ombre perdute, La prigione della monaca senza volto, tutti pubblicati da Einaudi Editore), ritrova il solito uomo cinico, diretto, sprezzante, a tratti burbero e rude nelle sue risposte. Un Inquisitore che si distingue dai suoi pari grado, un uomo che mette in prima linea la ragione e la capacità di discernimento, l’avvedutezza, il buonsenso e il criterio logico.
Un uomo che non ha tema di definire il genere umano “una massa d’imbecilli incapaci persino d’interpretare le percezioni dei loro sensi”.
Tra la nebbia e la caligine della città ferrarese, tra le vie del ghetto ebraico che Simoni ricostruisce sulla base di precisi riferimenti storici, il metodo dello Svampa si basa non solo sulle testimonianze dei personaggi coinvolti, ma su un’attenta e critica analisi dei fatti, della successione di eventi che si concatenano in un vortice di causa-effetto.
“A volte, per mettere ordine nel caos che ci circonda, è necessario combattere in prima persona e affidarsi alla ragione. La ragione che Dio stesso ci ha donato per renderci il suo più preciso strumento.”
L’analisi lucida e pragmatica dello Svampa si scontra con l’irruenza di Francesco Capiferro, in alcuni casi un po’ troppo frettoloso nel trarre conclusioni e puntare il dito contro i sospettati, ma allo stesso tempo una spalla sicura su cui appoggiare e contare nei momenti di difficoltà.
Girolamo Svampa, uomo tutto d’un pezzo, mostra il lato più fragile di se stesso nel momento in cui incrocia, ancora una volta, Margherita Basile “ammaliante soprano dai capelli color fiamma”, già incontrata nei capitoli precedenti della saga.
Per la toga che indossa, Svampa non può abbandonarsi al piacere della vicinanza di un corpo femminile come quello di Margherita, ma l’attrazione è forte, la carne è debole e il cuore, molte volte, fa a pugni con la testa. Girolamo non è sereno con lei vicino, per questo la evita, ove possibile.
“La consapevolezza di aver lasciato intravedere i propri labirinti interiori a un’altra persona, un’estranea, una potenziale nemica, allontanandosi dai rassicuranti lidi della solitudine dei quali, fino ad allora, era stato il sovrano incontrastato.”
Gli omicidi ruotano attorno alla Qabbalah ebraica, a quegli insegnamenti esoterici della dottrina ebraica che analizzano il macrocosmo e il microcosmo, il rapporto tra l’infinito e l’universo mortale e finito. Una dottrina che cerca di spiegare la natura dell’universo e dell’essere umano, il rapporto tra Dio e l’uomo. Insegnamenti che risalirebbero a tempi remoti antecedenti a quelli delle religioni canoniche. Un insieme di nozioni e concetti capaci di razionalizzare e spiegare su diversi livelli le Sacre Scritture.
L’indagine scava nella tradizione e si riversa nella parte più oscura della Qabbalah ebraica: il libro dello Sefer Yetzirah, anche conosciuto come Il libro della Formazione o Il libro della Creazione. Si tratta di uno dei testi più importanti del cabalismo ebraico, dedicato alla spiegazione escatologica dell’origine della creazione e della vita.
Concetti non sempre facili da seguire e fare propri se non si è esperti in materia, ma Simoni ha il pregio di inserirli in un contesto narrativo che non appesantisce la lettura. Sono spunti di approfondimento per chi ne avesse intenzione e non inficiano minimamente il piacere di una lettura del romanzo che rimane comunque un thriller storico a tutti gli effetti.
L’indagine prosegue su binari molto pericolosi dove la Conoscenza, nel senso più alto del termine, derivante dalle scritture esoteriche, crea potere e ricchezza.
Un nuovo, azzeccato, romanzo storico di Marcello Simoni che non perde occasione di portarci nei meandri della Storia con il suo stile ormai diventato inconfondibile nel panorama letterario italiano e non solo.
Trama
Anno Domini 1626. Uno spirito malvagio si aggira per l’ex capitale estense. Molti lo credono il malach ah-mavet, l’angelo della morte. Di sicuro è un assassino spietato, che profana i corpi delle vittime per compiere un rituale arcano. L’incarico di fermarlo è affidato all’inquisitore Girolamo Svampa, che il Sant’Uffizio, stanco della sua condotta ribelle, vuole allontanare da Roma. Giunto in città, il frate domenicano dovrà far luce su un mistero reso ancora piú oscuro dagli apparenti legami con la qabbalah. Intanto, l’autore dei delitti continua a nascondersi nelle vie anguste del ghetto, autentico «serraglio» in cui è stata rinchiusa una comunità di millecinquecento persone tra sefarditi, aschenaziti e italkim. Ma non saranno solo gli omicidi a tenere occupato lo Svampa. Perché nella vicenda si inserirà anche Margherita Basile, ammaliante donna d’intrigo della corte papalina, e il suo intervento risulterà quanto mai decisivo.