Recensione a cura di Martina Sartor
I guerrieri achei hanno vinto la guerra e hanno distrutto Troia, depredandola, uccidendo tutti i troiani maschi e facendo prigioniere le loro donne. Ma il loro ritorno in patria, in Grecia, è impedito dai venti avversi e sono costretti a restare accampati sulla spiaggia, fuori dalla città distrutta, con le navi arenate.
“Giorno dopo giorno, ora dopo ora, quel vento pazzo non smetteva di soffiare, e dunque eccoli, i vittoriosi guerrieri achei: chiusi in gabbia e con loro, ovviamente, anche le prigioniere troiane.”
Gli dèi sono offesi dal fatto che il corpo di Priamo, re di Troia, è stato profanato e non è stato sepolto come meriterebbe. Infatti Pirro (in greco Neottolemo, da non confondere con Pirro, re dell’Epiro), figlio del grande Achille, è entrato in città con gli altri guerrieri, nascosto nel cavallo ideato da Odisseo, e ha trovato Priamo nella sala del trono. Aggreditolo davanti a un altare, lo ha ucciso senza pietà, non prima che Priamo pronunci la sua ultima frase, che suona come un’offesa mortale alle orecchie di Pirro: “Il figlio di Achille? Tu? Non gli somigli affatto.” Infatti per tutto il libro Pat Barker, l’autrice, non manca di sottolineare le differenze fra padre e figlio, fra un eroe che di fronte al nemico sa anche rispettare i sacri doveri dell’ospitalità (quando Priamo va da Achille a reclamare il corpo del figlio Ettore) e un suo mediocre simulacro.
La protagonista che racconta la storia è Briseide, principessa fatta prigioniera durante la guerra e divenuta poi schiava di Achille. È lei che ha scatenato la famosa “ira funesta” di Achille, quando Agamennone gli sottrasse la schiava. Ora Briseide porta in grembo il figlio di Achille, che prima di morire l’ha data in moglie al nobile Alcimo, salvandola così dal triste destino delle schiave scambiate come bottino di guerra dai guerrieri achei. Elena è stata restituita a Menelao, ma viene maltrattata da lui e il lavoro di tessitura al telaio è diventato il suo unico scopo di vita.
“Povera Elena. Tanta bellezza, tanta grazia… Eppure non era che un vecchio osso ammuffito, conteso da un branco di cani feroci.”
Andromaca piange ancora la morte di Astianatte, il figlioletto suo e di Ettore, che è stato scagliato giù dalle mura di Troia da Pirro. Cassandra ha perso la fiducia nelle sue capacità divinatorie, sempre inascoltate, e sembra rassegnata a essere la concubina di Agamennone. La figura più tragica di tutte è quella di Ecuba, la vedova di Priamo, che fuori dalle mura di Ilio guarda le torri distrutte della sua città e piange amaramente la perdita dei suoi cari:
“Ecuba sfuggì alla mia presa e crollò in ginocchio. Si rannicchiò sulla sabbia compatta, e fu allora che il dolore trovò una via d’uscita. Levò il viso al cielo e urlò il nome di Priamo, quello di Ettore e di tutti gli altri figli morti in guerra, poi di nuovo chiamò Priamo. Priamo, Priamo, strappandosi i capelli a ciocche, graffiandosi le guance, battendo i pugni a terra come se le sue grida potessero giungere nelle tetre caverne dell’Ade. Come se potesse risvegliare i morti.”
Anche Briseide, la ragazza determinata che cerca di far forza alle altre troiane prigioniere, di fronte alla rovina della sua città crolla.
“Nascosi la faccia tra le mani e piansi per la distruzione di Troia, per la morte di Priamo e la rovina del suo popolo.”
Ed è col suo aiuto che le altre donne troiane riusciranno a seppellire il corpo di Priamo, rendendogli l’onore che merita.
Questo libro ci mette di fronte alla forza morale delle donne, al loro coraggio e alla loro capacità di amare. Ignorate e sfruttate dagli uomini (Briseide e le altre schiave riescono ad aggirarsi per l’accampamento acheo proprio perché considerate invisibili), mostrano invece un’indipendenza di pensiero tutta loro. A chi le dice come poteva non amare Achille, il guerriero più coraggioso e bello della sua generazione, Briseide risponde:
“Aveva ucciso i miei fratelli. Noi donne siamo strane creature. Tendiamo a non amare chi ci ammazza la famiglia.”
Non è certo un’operazione facile, quella di rivisitare i miti classici, trasponendoli in una forma narrativa moderna, ma cercando di mantenere lo stesso pathos trasmesso dai poemi omerici. Talvolta la narrazione sembra essere troppo piatta, ma alcune scene del libro sono di forte impatto visivo ed emotivo, rendendo giustizia ai vinti, soprattutto alle donne troiane che hanno saputo riscattare in qualche modo l’uccisione dei loro uomini. Su tutte, spicca la scena finale di Ecuba, che lascio al lettore scoprire in tutto il suo pathos.
Trama
All’ombra delle mura di Troia, distrutta e depredata, i greci attendono di tornare a casa con lo sterminato bottino di guerra, donne comprese. Ma le troiane, dopo aver pianto i loro defunti, tenteranno di tutto pur di vendicarsi. Dopo “Il silenzio delle ragazze”, una nuova, rivisitazione di uno dei più grandi miti della storia classica. Troia è caduta e i greci, vittoriosi, fremono per rientrare in patria. Per farlo hanno bisogno del buon vento per l’Egeo, che tarda ad arrivare: gli dèi sono offesi poiché il corpo di re Priamo giace insepolto e profanato. I vincitori rimangono così in prossimità della città saccheggiata, insieme alle donne che hanno rapito. La splendida Elena, contesa dai due popoli; Cassandra, che ha imparato a non essere troppo fedele alle proprie profezie; la testarda Amina, con lo sguardo ancora fisso sulle torri in rovina, determinata a riscattare il proprio re; Ecuba la ribelle, che ulula sulla spiaggia silenziosa, quasi volesse risvegliare i morti; e infine Briseide, che porta in grembo il suo futuro: il figlio del defunto Achille. Insieme, stringendo alleanze e facendo leva sulle rivalità tra gli uomini, cercheranno la loro vendetta.