Recensione a cura di Silvia Lucia Mapelli
“Sembra quasi che in lui nasca tutta la scienza moderna, e che egli la consegni ai secoli successivi come in un grandioso abbozzo.”
In questa similitudine, cui Benedetto Croce ricorre – utilizzando, non a caso, un lessico mutuato dal linguaggio della pittura – per cercare di rendere con efficacia espressiva l’importanza dell’opera vinciana, è nitidamente ravvisabile il motivo fondamentale per cui la figura di Leonardo esercita ancora oggi un fascino così forte e trasversale, sia sul mondo accademico che sul grande pubblico: ciò che suscita inesauribile meraviglia è il fatto che l’insieme dei suoi studi sia quasi considerabile, a posteriori, come un monumentale bozzetto, un disegno preparatorio per l’affresco che la scienza e la tecnologia dell’età moderna avrebbero poi dipinto nel corso dei secoli successivi alla sua morte.
Anatomia e geologia; geometria, ottica e astronomia; ingegneria meccanica ed idraulica… su tutte queste ed altre categorie del “sapere” e del “saper fare” si è fatto sentire, in qualche misura, l’influsso del Genio di Vinci.
Scienze descrittive, scienze quantitative, applicazioni in campo tecnologico: lo stretto rapporto tra Leonardo e tutti questi campi di studio, lo abbiamo appena ricordato. Che dire, però, della filosofia?
Leonardo da Vinci è un personaggio eclettico dai molteplici interessi e la critica, come già detto, è pressoché universalmente concorde nel considerarlo un iniziatore fondamentale in ambito scientifico/tecnologico; il suo rapporto con la filosofia è, invece, più complesso e di controversa interpretazione. La questione sottoposta a dibattito è: può o non può Leonardo, viste le peculiarità del suo pensiero e della sua produzione, essere considerato stricto sensu un “filosofo”?
Fondamentali per lo sviluppo della critica leonardesca in questo senso sono gli scritti di Benedetto Croce e Giovanni Gentile che vengono presentati in questo volume: si tratta delle trascrizioni di due conferenze dall’identico titolo “Leonardo filosofo”, tenute a pochi anni di distanza l’una dall’altra (la prima da Croce nel 1906; la seconda da Gentile nel 1919) e qui pubblicate per la prima volta insieme.
Nel cercare di dare una risposta all’interrogativo di cui sopra, i due massimi filosofi italiani del primo Novecento portano argomentazioni solo in parte coincidenti: più rigido Benedetto Croce, secondo cui Leonardo non può essere considerato un filosofo a causa della sua evidente refrattarietà verso qualsiasi pensiero speculativo; più possibilista Giovanni Gentile, che nella prima parte del suo intervento sembra concordare con il suo collega ma che in seguito fa notare come la filosofia, essendo un “atteggiamento dello spirito” connaturato in chiunque abbia la capacità di pensare, debba comunque permeare l’opera leonardesca e manifestarsi nelle sue realizzazioni, anche se non in forma esplicita e sistematica.
Se vorrete cimentarvi nella lettura di “Leonardo filosofo” vi troverete tra le mani un volumetto accattivante, dalla copertina a colori vivaci, che non supera di molto il centinaio di pagine. Ma non fatevi ingannare dal suo aspetto innocuo: la veste snella nasconde un peso specifico denso.
Queste due conferenze sono state redatte da filosofi, non da storici della filosofia (voler puntualizzare la differenza non è questione di lana caprina): dunque si tratta di testi in cui viene fatto un uso massiccio del lessico specifico della disciplina, il che rende la lettura obiettivamente poco democratica. Insomma, non è un libro facile!
Nonostante gli anni del liceo mi abbiano, ai tempi, permesso di acquisire un minimo di confidenza con i termini-chiave della filosofia, a tratti mi sono dovuta prendere il tempo di andare a rispolverare certi concetti per poter comprendere al meglio il testo. E infine, per amor di completezza, credo sia onesto ammettere di aver trovato la lettura un po’ difficoltosa anche a causa dell’inevitabile obsolescenza dello stile, le cui infiorettature sono ormai percepite dal lettore moderno come troppo barocche (soprattutto per quanto riguarda la sintassi di Gentile, anaforica fino all’eccesso specialmente nei paragrafi di apertura).
Lessicalmente sofisticata, benchè un po’ più congeniale al nostro sentire di lettori contemporanei, è anche la postfazione del curatore, lo storico della filosofia rinascimentale Pier Davide Accendere; postfazione che però, d’altra parte, ha anche il pregio di lanciare qualche spunto di approfondimento interessante. Mi riferisco in particolare alla riflessione sul panorama attuale della critica leonardesca, definito come caotico e contraddittorio nonostante il lavoro di apripista svolto, per l’appunto, da Croce e Gentile all’inizio del Novecento: a fronte di una parte di comunità scientifica che sente la necessità di perseguire una ricostruzione obiettiva della figura del Da Vinci, fa notare Accendere, vi è ancora una larghissima fetta di studi esclusivamente focalizzati ad esaltare il “genio italiano inarrivabile”, in un’ottica di celebrazione quasi campanilistica.
Naturalmente questa tendenza celebrativa è in qualche misura comprensibile data la straordinarietà del personaggio in questione, un fattore che ha finito per facilitare il nascere di una narrazione mitizzante: Leonardo é tradizionalmente visto come un genio – IL genio! – e molta critica lo ha spesso considerato un po’ alla stregua di una gemma luminosa circondata dal nulla, prestando scarsa attenzione all’analisi del contesto storico di riferimento. Croce e Gentile, al contrario, hanno il merito di aver cercato per la prima volta di dimostrare che Leonardo fu un prodotto – eccezionale sì, ma pur sempre un prodotto – di un milieu culturale ben preciso, identificabile principalmente nel neoplatonismo rinascimentale fiorentino.
È Benedetto Croce, in particolare, a scagliarsi contro la tendenza alla mitizzazione di Leonardo che agli inizi del XX secolo era tanto di moda, correndo anche il rischio di risultare sgradevole: sembra quasi che l’illustre intellettuale abbia il Da Vinci in antipatia, che gli voglia strappare l’etichetta di “filosofo” a tutti i costi e per partito preso.
In realtà lo scopo di Croce, così come di Gentile, non è certo quello di screditare Leonardo; il loro obiettivo principe è, invece, quello di ricondurlo al concreto, di far emergere l’uomo dietro l’aura del genio e di identificarne sia gli elementi di genialità, sia i limiti. Quello che viene tracciato di conseguenza è il ritratto – forse meno luminoso ma notevolmente più realistico – di un uomo dotato di straordinario senso di curiosità ed enormi capacità osservative ma inficiato anche, per esempio, da un’eterna insoddisfazione; dalla difficoltà a sistematizzare; da un certo pregiudizio spocchioso nei confronti di tutti quei campi del sapere (nella fattispecie quelli che indagano realtà non direttamente esperibili con i sensi) verso cui sente di essere poco predisposto.
E dunque? In un mondo in cui la decostruzione di miti consolidati è ormai assurta allo status di sport nazionale, ci dobbiamo rassegnare a veder ridotto alla normalità anche un personaggio come Leonardo, descritto in fin dei conti come un uomo “che cento cose comincia e nessuna riesce a portarne a termine”?…
Personalmente, credo che la risposta sia no. Dobbiamo considerare la questione secondo un’altra prospettiva: Leonardo era un uomo, in quanto tale era imperfetto, ed è proprio questa sua imperfezione, non la patinatura di genio impeccabile, a renderlo straordinario. Merita di essere ammirato forse quasi più per la sua continua ed instancabile tensione al migliorare che non per gli eccellenti risultati; e il fatto che il suo modus operandi sia caotico, asistematico, disordinato è semplicemente indice della sua fallibilità in quanto essere umano. In definitiva, come chiosa Gentile:
“Non tacciate dunque di volubilità Leonardo. Egli è trascinato dal suo genio a perseguire l’infinito.”
Benedetto Croce e Giovanni Gentile sono tra i protagonisti della riscoperta di Leonardo in Italia agli inizi del Novecento, e il loro contributo è decisivo per la definizione di una autentica critica del pensiero leonardesco. I due testi qui raccolti per la prima volta in volume, apparsi nel 1910 e nel 1919, affrontano la questione se Leonardo possa essere considerato propriamente un filosofo e se, nell’amalgama “caotico” della sua creazione, siano ravvisabili tracce d’una qualche forma di filosofia. Croce e Gentile, ciascuno fedele alle proprie categorie di pensiero, restituiscono l’immagine di un infaticabile indagatore della natura attraverso la multiformità della sua opera, ricostruita in un dedalo di frammenti, di abbozzi e di studi preparatori. Filosofo, inventore, artista sublime, naturalista: se Leonardo sfugge a una definizione univoca e ordinaria, il merito di Croce e Gentile è quello di saperne cogliere e testimoniare, parafrasando Eugenio Garin, la dimensione storica, la misura umana, al di fuori di ogni mito.