Recensione a cura di Serena Colombo
Due sono i luoghi che esistono nel mondo eppure sono separati dal mondo, dove l’influenza di amici, nemici e persino del Re non può arrivare. Si somigliano in molti aspetti. Entrambi hanno celle. Uno è il convento, l’altro la prigione. Nella mia vita, li conobbi entrambi.
Romanzo in prima persona “Julie” di Ida Amlesù, portato in libreria da Sonzogno nel novembre scorso. Costruito come una piece tetrale (con tanto di divisione in Atti e Intermezzi) che catapulta il lettore nella Francia tra fine Seicento e inizio Settecento e che vede protagonista una persona, una donna, un’esule, un cavaliere: Julie d’Aubigny, (sposata de Maupin), figlia di Gaston d’Aubigny, un maestro d’armi che addestrava i futuri paggi del Re, di famiglia decaduta, ma pur sempre nobile. Istruita dal padre come un maschio nelle arti della spada, e cresciuta come una dama dal Conte d’Armagnac, che ne fa il suo giullare e la sua amante.
Julie è una “donna dai due volti. La donna dai due nomi. Julie d’Aubigny, cavaliere. Julie de Maupin, cantante da osteria”.
Julie è spesso in conflitto con se stessa, si cerca nei libri, persino nei bestiari, tra gli animali fantastici, e non si trova, lei donna allevata come un uomo, che ama le donne ma al contempo non disdegna gli uomini, sente di non esistere nel mondo.
Sono stata creata per sbaglio. E ora sono inchiodata in questo corpo che non è più mio dell’abito che indosso. Che cosa sono, Madeleine, chi sono? Sono una donna, un uomo?
Madeleine… la sua ossessione, il suo amore più grande, la ragione della sua vita, la causa della sua morte, il fantasma oltre il quale Julie rivive, fugge, si nasconde, trova il successo come cantante d’opera e di commedia, fino all’Academie Royale di Francia.
Esistono sei strade per la donna che voglia un posto nel mondo, la prima è la ricchezza, che compra la libertà. La seconda, sposarsi. La terza è l’arte, la quarta diventare badessa. La quinta, vivere nei piaceri, sperando di non finire in rovina. La sesta la insegnò alla Francia una regina: con discrezione, uccidere.
Su Julie pende una condanna: ha duellato a Parigi (cosa assolutamente vietata) e ucciso tre uomini, tre guardie del Re. Fugge nel ribelle Sud che restava una terra libera, dove nemmeno il Re aveva spie, si innamora di Madeleine, la segue fin nel monastero dove il padre la fa rinchiudere, si macchia di altre colpe, vive da esiliata, in semi povertà e di espedienti, aspirando a calcare le scene del gran teatro parigino, incontra personaggi ambigui e tormentati più di lei, dal passato oscuro; brama, Julie, di tornare a Parigi da vittoriosa, da attrice e cantante famosa, perché cantare scioglie le tensioni, crea una sorta di armonia, un mondo irreale dove non esisteva altro che musica.
Lì è possibile dimenticare. Cantare le fa nascere dentro un ardore simile alla gioia che dura finché dura il suono. Ed è a un passo dal riuscirci, ma poi il passato torna a rivivere a intrecciarsi di nuovo col presente e Julie d’Aubigny riemerge dal fiume torbido, dal mostro dell’anima di madame Maupin. E tutto ricomincia. E il suo futuro torna a essere uguale al passato, il suo destino è un destino di fuga.
Meglio sciacquare ogni cosa, passato e presente, e i ricordi, tutti, strapparseli di dosso come un serpente fa con la sua pelle vecchia.
Difficile ripercorrere nel breve spazio di una recensione una trama lunga e una esistenza complessa e rocambolesca come quella di Julie, la cui biografia, come dichiara l’autrice stessa nelle note a conclusione è un arcipelago d’isole su un mare oscuro.
Più facile parlare della Francia di cui l’autrice coglie gli aspetti di quando era ancora libertina ma non ancora dissoluta, e ne narra la storia fino alle soglie del crepuscolo del Re Sole. E lo fa innestando numerosi riferimenti nel romanzo stesso cui dà sostanza con intermezzi costituiti da lettere e atti regi, spesso solo frammenti, che sono veri, e che ancor di più fanno vivere l’atmosfera dell’epoca, gli intrighi di corte, le malelingue, la consuetudine per ciascuno a dissimulare, sempre e comunque, ciò che si è.
La vita di un regno e di una corte come Versailles, del Re Sole, di suo fratello (costretto a vestire, da bambino, con abiti femminili affinché non oscuri la grandezza del fratello maggiore, futuro re), della Mauresse. Una corte di cui Julie non si cura, per la quale non ha alcun interesse ma della quale ambisce ad avere la grazie e l’appaluso dal palco reale alle sue doti, a quella sua estensione vocale versatilissima per raggiungere la quale ha studiato e sofferto.
Il romanzo è ricco di dettagli, dalle strade di Parigi agli abiti di scena, al trucco, ai particolari sul trucco agli usi e costumi della Francia dell’epoca, ma in sé non è del tutto convincente: spasmodicamente lungo al punto da diventare noioso in parecchi momenti, mettendo il lettore su un’altalena continuamente spinta tra ritmo e torpore, per entrambi i quali raggiunge vette altissime. Troppo spesso l’autrice affolla la scena di personaggi che, sebbene abbiano, probabilmente, orbitato intorno alla Maupin, finiscono con il soffocarla come personaggio del libro. E le licenze storiche sono diverse (ma di questo l’autrice stessa ne fa dichiarazione nella nota finale in cui palesa ciò che è vero da ciò che è inventato, distinguendo chi è personaggio vero e chi no).
Ma nonostante tutto, la storia di Julie d’Aubigny-de Maupin, tra verità e fantasia può forse non convincere, ma insegna che
«Amiamo leggere le avventure dei cavalieri perseguitati, esuli che tentano di tornare alle proprie dimore. Eppure quando a farlo non è un paladino, ma una persona – una donna –, la tormentiamo.»
Pro: porta in luce un personaggio poco conosciuto, tratteggia con oggettività la storia di Francia in uno die suoi momenti più amati e più splendidi, la corte di Versailles, il Re Sole coi suoi sfarzi e le sue contraddizioni
Contro: la lunghezza. Molte cose potevano essere omesse a vantaggio di una maggiore snellezza di lettura.
Un libro da rileggere? Non credo o forse solo in alcune parti
Citazione preferita: Sii quello che sei, ma sii qualcosa.
Trama
Francia, 1686. Sulla scalinata di rue de la Grosse-Margot, nei quartieri popolari di Parigi, vengono rinvenuti i cadaveri di due guardie del Re. Il luogotenente La Reynie non ha dubbi su chi sia il colpevole: la sedicenne Julie d’Aubigny. Spadaccina infallibile e orecchio assoluto, viene educata come un ragazzo dal padre e come una ragazza dal potente Conte d’Armagnac, che ne fa prima il suo giullare e poi la sua amante. Ma Julie non è creatura da farsi mettere in gabbia, e si ribella agli obblighi di un matrimonio di convenienza fuggendo nella notte, per vivere alla giornata con il complice Séranne, ex maestro d’armi e noto libertino. Braccata da La Reynie, perseguitata dal Conte e respinta dall’alta società – a cui pure appartiene per nascita –, Julie intraprende un tortuoso viaggio verso la libertà, durante il quale vestirà i panni del cavaliere e quelli della dama, conoscendo le imprevedibili sfumature dell’amore e la sua grande vocazione: la musica lirica. Prendendo spunto dalla figura realmente esistita di Julie d’Aubigny, virtuosa della spada e prima diva dell’opera francese, Ida Amlesù mette in scena un personaggio travolgente, spregiudicato e al tempo stesso fragile.
Tra le pagine di questo magnetico romanzo, racconta una vita che è un inno all’anticonformismo, al coraggio di trovare la propria voce e di vivere senza compromessi, anche fra i dogmi e l’ipocrisia di una società di soli uomini.