Il salottino di TSD riapre i battenti e ospita oggi l’autore Enrico Magnano, autore de “Il salto del delfino” recensito sul nostro sito a questo link. Luigia Amico, autrice della recensione, ha incontrato per noi l’autore e gli ha posto alcune domande. Scopriamo che cosa si sono detti!
Buongiorno Enrico e grazie per questa intervista. Partiamo dal tuo mondo di lettore: che cosa ami leggere? Ti piace spaziare tra vari generi o prediligi uno in particolare?
In particolare amo la storia e conseguentemente i romanzi storici. Se poi nel romanzo è presente una trama accattivante, una storia nella storia: la passione aumenta.
Quando e come è nata la tua passione per la Storia?
La Storia è sempre stata un grande amore, specialmente la storia vera, quella “depurata” dalle retoriche revisionistiche. In effetti la Storia è l’unica disciplina, se così la si può definire, che più si perfeziona ed acquisisce nuove informazioni e maggiormente crea una variabilità dei fatti. Le altre discipline scientifiche utilizzano le nuove scoperte per sciogliere i dubbi, per la Storia… è il contrario. Più informazioni storiche leggo e più prudente è il mio giudizio, arrivando al paradosso che forse è proprio sbagliato esprimerne un “giudizio”; in troppi l’hanno già fatto.
Il romanzo si apre con due eventi tragici e purtroppo caduti nel dimenticatoio: il terribile terremoto del 28 dicembre 1908 avvenuto a Messina e l’attentato al re Vittorio Emanuele III in piazza Giulio Cesare a Milano. Cosa ti ha spinto ad inserire nella narrazione questi accadimenti?
Leggendo un saggio sull’argomento (credo l’unico esistente) di Carlo Giacchin è emersa la conoscenza sui fatti accaduti e di come questi siano stati dimenticati. A Milano, sul luogo dell’attentato, tutto è rimasto miracolosamente intatto, nonostante siano passati 94 anni. Sulle facciate del civico 18 sembra siano ancora presenti le tracce delle schegge impazzite del basamento in ghisa del lampione che ha fatto scempio dei poveracci che lì intorno stavano aspettando il re. Ma su quella facciata non c’è neppure una piccola lapide in ricordo del fatto. Nel palazzo di fronte invece c’è una grande lapide con tanto di corona che ricorda che in quel palazzo ha abitato un partigiano morto in Val’d’Aosta. Questo mi ha spinto a scrivere dell’argomento.
Il terremoto di Messina del 1908, e quello della Marsica del 1915 mi sono stati utili per “ricucire” la storia di alcuni personaggi reali che hanno vissuto quelle esperienze incrociate, come Don Orione (poi San Orione) e la medaglia d’oro V.M. Ernesto Cabruna, ai protagonisti del romanzo, che sono ovviamente di fantasia.
Leggendo le peripezie di Marziano (protagonista) si evince una profonda e precisa ricerca di archivio, quanto è stato difficile reperire notizie?
Il romanzo ha voluto esser il più possibile fedele alla realtà dell’epoca. Questa scelta mi ha imposto una ricerca approfondita, anche per i dettagli. Ad esempio sulle sigarette ed accendini che venivano usati, sui profumi, sui tram che giravano per Milano (ancora oggi lo fanno), sulla prima linea aerea civile d’Italia, la Torino – Trieste. Addirittura sull’orario ferroviario effettivo dei treni che i personaggi utilizzano. Mi ci è voluto tempo e passione; ma è stato piacevole. Devo comunque confessare che la disponibilità del web è stata di grande aiuto.
Studiando gli eventi accaduti in piazza Giulio Cesare, cosa ti ha impressionato maggiormente?
Sicuramente la famiglia Ravera. La dedica del libro è infatti la seguente: “A Enrico, Gian Luigi e Rosina Ravera, 16 anni in tre”. I due fratellini ed il cuginetto morirono con al zia Natalina Monti nell’attentato. Di loro però nessuna memoria, nessuna pietà storica. Forse perché hanno avuto la colpa di essere bambini nel periodo fascista? Possono essere considerati fascisti bambini di 3, 5 e 7 anni? Solo il bel monumento funebre al Cimitero Monumentale di Milano, realizzato dallo scultore Adolfo Wildt e commissionato dai parenti, commemora oggi le 4 vittime. Anche gli altri innocenti bersagli per me hanno tutti un nome e cognome.
Il protagonista del romanzo, Marziano di Dio, entra a far parte delle famigerate Camicie Nere, la Milizia volontaria Fascista, e viene descritto come un “non eroe” impacciato e claudicante. Vuoi spiegarci il perché di queste scelte?
La Milizia Fascista: le camicie nere, erano un corpo di volontari che si riuniva nelle frequenti adunanze; esistevano però alcune specialità che prevedevano il servizio continuo e uno stipendio. Tra queste la Milizia Ferroviaria dove Marziano operava; è quindi ipotizzabile che quello potesse essere un lavoro come un altro, come fare il carabiniere o il ferroviere.
Il protagonista è in effetti un “non eroe”, con una cicatrice sul volto ed una marcata claudicanza, di statura non elevata, non particolarmente colto, politicamente non impegnato, spesso impacciato e timido con le donne. Il perché di una scelta simile? Perché la vita di tutti i giorni, quella reale, è fatta di “non eroi”, tutti noi lo siamo. I superuomini bellissimi, muscolosi, intelligenti e sciupafemmine non esistono. Nel romanzo esiste però un personaggio di spicco: Ortensia Tisiach. Molto intelligente, un po’ attempata (per l’epoca), certo non una pin-up e sicuramente una antesignana del femminismo. Questo personaggio femminile, scomodo per i tempi, è forse l’eroina del racconto.
“Il salto del delfino” è un romanzo storico e di avventura di notevole mole, sicuramente i protagonisti del libro le hanno tenuto compagnia per diverso tempo. Cosa ha provato quando ha scritto il capitolo conclusivo? Quali emozioni le ha suscitato?
È vero, oltre 650 pagine sono tante! Non è stato facile trovare un Editore che si volesse impegnare in un progetto simile. Devo però dire che molti lettori mi hanno scritto sostenendo che hanno letto il romanzo molto rapidamente perché… “prende”.
Sì, i personaggi ancora oggi mi girano intorno nella mente e mi tengono compagnia come lo hanno fatto nei tre anni che ho impiegato a stendere il romanzo.
Le emozioni del raggiungimento del traguardo sono state notevoli, quella era la prima scommessa: portare a termine il progetto. Del resto sono un Capricorno che dicono sia caratterizzato dalla determinazione e testardaggine. La seconda scommessa riguarda il gradimento del racconto, in particolare che possa donare ai lettori qualche ora di piacevole distrazione dalla realtà pesante che ci circonda. Per questo… ai posteri l’ardua sentenza.
Tra i vari personaggi che animano le scene si identifica in qualcuno? È presente una sorta di alter ego di Enrico Magnano?
Questa è una bella domanda, a pensarci bene forse il personaggio di Ortensia è quello in cui mi piacerebbe identificarmi, anche se di genere femminile. È una donna sensibile, con dei principi e degli ideali che però sa guardare nell’animo delle persone ed apprezzare aspetti profondi anche se nascosti da una semplicità superficiale.
Tornando alla vicenda che ispira il tuo libro: l’attentato a Milano, sembra che tra gli investigatori realmente esistiti ci fosse un personaggio particolare che ha poi ispirato la creazione narrativa di un altro celebre poliziotto: ce ne vuoi raccontare?”
Certamente. Uno degli investigatori della Polizia si chiamava Carmine Camilleri ed era lo zio paterno di Andrea Camilleri, il famoso scrittore siciliano.
Il creatore del Commissario Montalbano racconta nel suo ultimo libro, “Esercizi di memoria”, delle indagini dello zio sull’attentato di Milano del ’28 e delle difficoltà incontrate. Successivamente, in un intervista a “Repubblica”, Camilleri ha dichiarato che il personaggio del Commissario di Vigata è nato proprio sul profilo dello zio cocciuto ed insofferente alle briglie fasciste.
Dalla trama del romanzo emerge la storia di un ragazzo sfortunato che venne subito indicato come l’autore dell’attentato di Milano: Romolo Tranquilli, ci vuoi raccontare di questa figura?
Romolo Tranquilli era il fratello più giovane di Secondino Tranquilli, al secolo Ignazio Silone. Il ragazzo, allora ventiquattrenne, venne arrestato il giorno successivo dell’attentato ed accusato della strage di Milano. Nel processo del Tribunale Speciale (tutti i giudici erano camicie nere) venne prosciolto da quella accusa poiché dimostrato che la mattina del 12 aprile e nei giorni precedenti Romolo non era a Milano. Il ragazzo venne però ugualmente condannato per il semplice fatto di essere un esponente del partito comunista, nonostante le prove raccolte evidenziassero che quell’appartenenza era durata non più di un solo mese.
La pena di 12 anni di carcere non venne però completata, Romolo morì nel carcere di Procida nell’ottobre del 1932, solo qualche giorno prima dell’amnistia generale concessa ai prigionieri politici in occasione del decennale della marcia su Roma.
Un’ultima domanda: molti dei personaggi del romanzo sono fascisti, a partire da Mussolini che compare in un paio di capitoli, il libro prende una posizione sulla situazione politica del periodo?
No, assolutamente. Il libro descrive la situazione di quegli anni quando il fascismo aveva un grande consenso popolare ma certamente non ne magnifica le posizioni; anzi si evidenziano le tensioni interne al partito e le derive affaristiche e speculative, il riscorso alla demagogia e la riduzioni delle libertà personali introdotte nelle leggi “fascistissime” del 1926.
Note biografiche autore
Enrico Magnano è nato a Milano nel 1957 ed ha vissuto da vicino gli anni “di piombo”, tra il 1970 ed il 1980.
Diplomatosi, ha deciso di non proseguire gli studi, pur essendo già iscritto ad Architettura, per seguire la passione ambientale e i primissimi fermenti del settore ecologico. Nel 1978 è a Seveso per la bonifica dei territori inquinati dalla diossina emessa dall’ICMESA.
Dopo oltre 40 anni di attività di consulenza ambientale in Italia e nel mondo e la pubblicazione di un manuale tecnico sulla progettazione di impianti per la bonifica delle discariche ed il recupero energetico dei biogas ha deciso di scrivere il suo primo romanzo storico. Enrico ha infatti la passione della storia e della verità.
Oggi vive nelle colline tortonesi da oltre vent’anni continuando a lavorare e… a scrivere.