L’ultima lettura condivisa dell’anno appena conclusosi ha visto protagonista il recente romanzo di Robert Harris, “Oblio e perodno” pubblicato da Mondadori.
Una lettura che ha avuto pareri positivi ma anche negativi, tra coloro cui è piaciuto e lo consiglia, e chi, invece, non lo ha portato a conclusione.
Di seguito i pareri e i commenti di tutti coloro che hanno partecipato.
Giovanni Nocella
Si può dire che il tema di fondo di questo romanzo è che il passato, benché possa sembrare superato e messo da parte, spesso è implacabile, soprattutto se funestato da episodi di violenza come per tutti e tre i protagonisti principali del romanzo.
I due fuggitivi vengono tormentati inesorabilmente dalla necessità di sottrarsi alla tremenda fine che li aspetterebbe in patria dopo il capovolgimento delle vicende storiche cui hanno partecipato, quasi con la sensazione di essere destinati a non potere scampare alla vendetta dei loro persecutori. Il più giovane rimane fermo nel credere di essere nel giusto grazie alla sua ferma e salda convinzione religiosa. Il più anziano, forse proprio per la sua maggior esperienza di vita, si lascia andare a qualche dubbio, sopraffatto un po’ dai ricordi. Entrambi fino alla fine sono alla ricerca affannosa dell’Oblio.
Il terzo è colui che della vendetta ha fatto la sua ragione di vita, sia per motivi personali che di parte politica, ad essa dedica la sua vita, come i primi due la dedicano alla fuga, ma non riesce fino alla fine a trovare la strada per il Perdono.
Harris portandoci a spasso tra le coste del Massachusetts e del Connecticut e le strade di Londra, ci apre alcune interessanti finestre su alcuni temi salienti del XVII secolo: la Guerra Civile inglese, dalla quale emergono le figure, che nel romanzo non sembrano di secondo piano, di Cromwell e Carlo I Stuart; l’epopea dei primi coloni inglesi, prevalentemente puritani, che colonizzarono quelle terre d’oltreoceano.
La narrazione è scorrevole, a tratti piacevole, in alcuni leggermente prolissa, e ti spinge a leggere fino in fondo.
Un buon libro nella tradizione di Robert Harris di cui si può consigliare tranquillamente la lettura.
Isabella Novelli
Un bel libro con una bella ambientazione storica che tratta un periodo che non conoscevo.Un inseguimento che dura un’eternità quella dei regicidi di Carlo I che fu ghigliottinato per un presunto tradimento alla sua nazione.
Un libro che scandaglia il carattere dei molti protagonisti,forse un po’prolisso in alcuni punti ma che si riscatta molto nel finale.Un regicidio che sconvolge la vita di tutti i protagonisti ,che vedono trascorrere più di vent’anni senza poter più abbracciare i propri cari e non sapere più nulla di loro da una parte e coltivare una vendetta che diventa una vera e propria ossessione, per Nayler l’uomo che dà la caccia ai regicidi.Un libro molto ben scritto, che mi ha coinvolto parecchio soprattutto nella parte finale,quando tutti i nodi della questione vengono a galla.Un romanzo che ho letto con piacere in questa condivisa che mi ha permesso di conoscere un nuovo autore che non avevo mai affrontato prima.
Luigia Amico
Mi spiace ma non sono riuscita a portare a termine la lettura. Sono poco oltre la metà e non nascondo di aver faticato ad arrivarci. Non sono riuscita a entrare nella storia né a simpatizzare per i vari personaggi. Ho trovato i capitoli molto lenti e a tratti noiosi causando maggiore distrazione e questo mi ha rallentato ulteriormente. Forse non era il periodo giusto per questo romanzo o semplicemente è una narrazione che si discosta sostanzialmente dai miei gusti.
Silvia Lucia Mapelli
Se devo pensare ad un’espressione sintetica per definire il modo di scrivere dell’autore direi di certo che Harris “ha mestiere”, specie per quanto riguarda la costruzione della trama nei suoi agganci con il background storico di riferimento. Gli anni e gli eventi che fanno da sfondo al libro – l’immediata Restaurazione degli Stuart dopo la morte di Cromwell e la caccia ai regicidi di Carlo I, in particolare ai due che fuggirono in Nordamerica – risultano particolarmente delicati da gestire in questo senso, perché combinati ad una scelta di POV ben precisa (due dei tre protagonisti, attraverso gli occhi dei quali si dipana la narrazione, sono proprio i regicidi in fuga) e ad un cast di comprimari praticamente tutto costituito da personaggi storicamente documentati… Si capisce bene che, con queste premesse, il margine per potersi permettere di scrivere scempiaggini sia piuttosto ridotto, eppure l’autore in questo ginepraio potenziale si districa con buona scioltezza. La storia è interessante da seguire nonostante qualche momento morto e la lettura, nel complesso, piacevole.
In definitiva penso che questo titolo sia consigliabile, agli amanti del genere, con però un’avvertenza: se vi urtano i personaggi con mentalità particolarmente lontane dalla vostra (a.k.a. fanatismi, profili monomaniacali, ristrettezza di vedute… ) forse è meglio orientarsi su altro. Sia ben chiaro che questo non è un difetto di scrittura di Harris: al contrario, lui ha lavorato bene sulle caratterizzazioni. Del resto il Seicento anglosassone urla “puritanesimo” da tutti i pori, non è che si potesse caratterizzare altrimenti. Ma tenetelo in conto… Passerete la lettura pensando di voler prendere a testate quasi tutti i personaggi, protagonisti compresi. Se pensate di poter convivere con la sensazione, procedete pure!
Mara Altomare
Ho apprezzato questo romanzo e l’arricchimento che mi ha portato riguardo ad un periodo storico che conoscevo poco. E’ un libro che si presta a tanti approfondimenti ed è stata un’occasione per me per conoscere questo autore, di cui non avevo ancora letto nulla. Ancora una volta ho sperimentato il piacere e il valore aggiunto della lettura condivisa!
La narrazione per me è stata altalenante: ho trovato più coinvolgenti i passi riguardanti i collegamenti storici con gli eventi intorno alla morte del re e alla storia inglese e di Cromwell; più lenti a mio avviso i passaggi riguardanti gli avvenimenti in America, anche se nell’ultima parte la trama si è rivelata più avvincente ed è stata una volata fino alla fine! Durante la lettura non riuscivo a decidere da che parte stare, se fare il tifo per l’inseguitore o per i fuggitivi … rimango con il dubbio se questo sia un limite o un merito del libro, che racconta i fatti senza sbilanciarsi nei confronti di un personaggio in particolare … tutti hanno una forte motivazione che giustifica scelte estreme ed esasperate al punto che “l’ossessione offusca il discernimento” , ma non ci si “affeziona” a nessuno dei protagonisti… tra tutti, il personaggio che ho più apprezzato quindi è stata la figura femminile di Frances, che con la sua esperienza di vita, il suo sacrificio, la sua scaltrezza e le sue scelte forti mi è sembrata, alla fine, la vera eroina del romanzo!
Raffaelina Di Palma
La trama del romanzo “Oblio e Perdono” fa riferimento all’arresto e alla condanna degli uomini che firmarono l’atto di condanna a morte di re Carlo I d’Inghilterra nel 1649, consentendo così l’instaurazione della repubblica di Oliver Cromwell. Il racconto di Robert Harris inizia nel 1661, ma la narrazione si sviluppa in più di dieci anni, quando l’esperimento repubblicano in Inghilterra si è completamente chiuso, con la restaurazione e il trono di Carlo II. Siamo nel 1660: il colonnello Edward Whalley e suo genero, il colonnello William Goffe, approdano sotto falso nome, sulle coste del Massachusetts. Costretti alla fuga perché accusati dell’omicidio del re Carlo I. I due uomini in fuga sono provati, le barbe incolte e l’aspetto chiaramente trascurato lo evidenziano. Cosa è successo nei dieci anni trascorsi ? Dopo la decapitazione di Carlo I, i realisti sono tornati al potere con il chiaro obiettivo di punire gli uomini che ne hanno firmato e siglato la condanna a morte. Sono stati dichiarati colpevoli di alto tradimento. I regicidi si nascondono di casa in casa dei villaggi puritani nelle colonie. Il colonnello Edward Whalley, nel suo diario scrive: “C’è una domanda che mi ossessiona. Se le vittorie che Dio ci ha concesso erano la prova che noi stavamo compiendo la sua opera come dobbiamo interpretare quello che è accaduto da allora? Non guarda più con favore alla nostra causa, o siamo stati sempre nell’errore.” In questi passaggi mi sono sorte molte perplessità: il nome di Dio viene usato come una benda da mettere sugli occhi, certi di essere nel giusto. La “certezza” che dà un diritto legale: giustiziare i condannati tramite impiccagione, sventramento e squartamento, addirittura quando la vittime sono ancora vive per inasprire ancor più la pena. Come si può professare una fede , a qualunque credo essa appartenga e commettere queste atrocità. Non a caso Richard e Ned , riflettendo sul loro passato, condividono una natura complessa, fatta di contraddizioni e di dubbi. Gli stessi dubbi che questa lettura ha lasciato a me.
Ivana Tomasetti
Davanti al titolo avrei detto subito che si trattasse di qualcuno che viene perdonato, si allude invece all’atto di Act of Oblivion emanato in Inghilterra dopo la caduta di Cromwell. La monarchia ha ripreso il potere e molti sono stati perdonati, non così i cinquantanove uomini che hanno firmato la condanna a morte del re e che sono stati giudicati colpevoli in contumacia di alto tradimento. Non c’è nessun perdono per loro. Alcuni sono già morti, essendo passati più di dieci anni, altri, come i protagonisti, sono in fuga.
Siamo nel 1660 in Inghilterra. Il colonnello Edward Whalley e suo genero, il colonnello William Goffe, salgono a bordo di una nave diretta nel Nuovo Mondo. Richard Nayler, segretario del comitato che promuove la ricerca dei regicidi, è incaricato di consegnare i traditori alla giustizia e non si fermerà davanti a nulla per trovarli. Le avventure e le privazioni dei due fuggiaschi, fanno da contrappunto alle prove della moglie di Will, Frances, che si nasconde a Londra con i figli, mentre affronta la peste, la povertà e il grande incendio che distruggerà gran parte della città. Con una taglia sulla testa, Whalley e Goffe trascorrono la successiva dozzina di anni cercando di stare un passo avanti a Nayler, spostandosi furtivamente sotto la copertura della notte da un luogo all’altro. Quel che mi sono chiesta è come mai si palesano con i loro nomi autentici nelle prime comunità in cui sono accolti.
I tre personaggi principali non appaiono con contorni netti: in essi emergono incertezze e duplicità che li rendono simili tra loro. Dio è dappertutto, mischiato alla vita, alla politica, alla morte, alle atrocità, al destino. Il romanzo assume una sfumatura molto attuale, nel mostrare la difficoltà di mantenere coerenza e criticità nel proprio comportamento. Ciascuno dei tre personaggi ha un rilevante grado di ambiguità morale, una natura complessa che sfiora il fanatismo. C’è anche una riflessione sulle ferite durature che la divisione ideologica comporta, un invito alla necessità dell’oblio. L’unico personaggio inventato è il persecutore che arriverà fino in America alla ricerca degli uomini che ritiene anche responsabili della morte di sua moglie e di suo figlio, è la forza di una vendetta personale.
L’autore si lega ai fatti storici realmente accaduti, che si svolgono nell’ambito di 15 anni.
Una storia avvincente e ben ritmata, almeno nella maggioranza delle scene, ricca di colore, suspense e avventura, una prosa efficace, sebbene il linguaggio sia moderno e guidato dalla trama. I capitoli, i paragrafi, persino le frasi si accorciano man mano che i colonnelli cercano di eludere il loro inseguitore, un vero climax.
I temi trattati riguardano la religione e le divisioni che l’intransigenza religiosa comporta, la vendetta personale che non si estingue nell’oblio, il potere che cerca una punizione esemplare anziché il perdono; la caccia dell’uomo contro l’uomo che sembra perpetuarsi fino alla fine dei tempi e che spinge a una riflessione sul potere catartico del perdono e dell’oblio che il titolo ci ricorda.
Un romanzo che ha dalla sua anche la verità di particolari che non conoscevo.
Maria A. Bellus
Mi dispiace ma sono ancora molto indietro nella lettura del romanzo non perché non mi piaccia ma per un mio periodo un po ” così “. Sicuramente lo terminerò e intanto mi rilassero’ leggendo i vostri commenti. Grazie
Milena Lecca
Non è semplice per me commentare sinteticamente questo nuovo romanzo di Robert Harris, che narra della caccia all’uomo avviata nel cuore di uno dei periodi più burrascosi (ma anche meno conosciuti) della storia inglese ai danni di due dei regicidi del re Carlo I, perché gli elementi da trattare sarebbero tantissimi nonostante la lettura non sia stata proprio agevole (ci sono capitoli energici e scorrevoli e altri invece molto lenti e noiosi, a volte quasi ripetitivi).
Mi limito pertanto ad alcune riflessioni sui tre personaggi principali.
Da un lato abbiamo Edward Whalley e William Goffe, i due regicidi: sono suocero e genero, sono stati mossi dagli stessi ideali ma in realtà sono due personaggi molto diversi, soprattutto dal punto di vista caratteriale.
A qualificare Edward Whalley è la sua riflessività. Cugino di Oliver Cromwell e suo fedele amico e sostenitore durante gli anni della guerra civile è però anche colui che manifesta (soprattutto a posteriori) perplessità e dubbi sulla reale valenza della sua azione.
Il fanatismo è invece ciò che identifica William Goffe. Figlio di un pastore puritano, a lui viene molto facile predicare, citare la Bibbia, persino ipotizzare avvenimenti profetici. Fedele sostenitore di Oliver Cromwell fu il primo tra gli ufficiali dell’esercito a chiedere apertamente l’interruzione dei negoziati con re Carlo I e che il re fosse chiamato a dar conto del suo operato in un processo pubblico.
Poi c’è Richard Nayler, il cacciatore, il simbolo della vendetta portata ai limiti dell’ossessione. Egli è spinto nella sua incessante ricerca dei regicidi in fuga non solo dalla fedeltà a Carlo II e alla volontà di questi di punire chi è stato coinvolto nel processo e nella condanna a morte di suo padre Carlo I ma anche dall’aggravante che i due sarebbero la causa della morte di sua moglie Sarah.
Quindi in definitiva tre personaggi molto simili per certi aspetti ma allo stesso tempo molto diversi tra loro per altri.
Una breve riflessione anche sul titolo italiano, Oblio e Perdono, che trovo più centrato rispetto al titolo originale (Act of Oblivion) perché l’oblio e il perdono sono proprio gli obiettivi finali dei due regicidi i quali, proprio nella speranza di essere dimenticati e nel frattempo perdonati, scelgono di avventurarsi in una difficile e insicura fuga dall’Inghilterra al Nuovo Mondo. Ma oblio e perdono sono allo stesso tempo anche due concetti dichiaratamente inaccettabili per il loro cacciatore che, animato dalla sua vendetta contro i due regicidi, mette in piedi una estenuante caccia all’uomo che per quasi vent’anni lo vede muoversi nel duplice scenario di Londra (anche quella della peste e del grande incendio) e dell’Inghilterra da un lato e delle nuove colonie americane con le loro nuove comunità religiose dall’altro.
Nel complesso è certamente una buona lettura.
Natascia Tieri
Un libro piacevole dall’inizio alla fine. Leggendo i pensieri e le emozioni di tutti i protagonisti mi sono posta questa domanda: chi ha ragione? I punti di vista sono diversi e quindi ognuno ha torto e ragione.
A me è piaciuto.
Laura Pitzalis
Sono stata sempre convinta che tutto nella vita è relativo al momento in cui lo stiamo vivendo: ci sono momenti dove le cose ti appaiono con colori sfavillanti e momenti dove, le stesse cose, ti appaiono in bianco e nero. Tutto dipende dallo stato d’animo e dalle condizioni fisiche in cui ci si ritrova quando veniamo a contatto con la realtà che ci circonda.
Questo vale anche quando devi dare un giudizio su un romanzo che stai leggendo.
Sarà per il periodo natalizio che ti concentra in mille impegni, sarà per il covid che ti mette ko per diversi giorni, ma ho veramente fatto fatica a leggere questo romanzo: nessuna emozione, nessuna curiosità d’approfondire, solo una sequela di luoghi, strade, nomi che non mi dicevano nulla e una caccia all’uomo estenuante.
Non mi sento però di dare un giudizio negativo perché consapevole che il romanzo ha vari motivi per essere valido. Prima di tutto la ricostruzione storica di un fatto realmente accaduto ma ancora oggi, anche negli ambienti culturali inglesi, poco nota: la prima guerra civile inglese, la condanna a morte del re Carlo I Stuart per mano dei repubblicani e la restaurazione del potere reale, nel 1660, con la salita al trono di Carlo II Stuart in seguito al periodo di Protettorato di Oliver Cromwell. Harris ci descrive, con grande minuzia di particolari, quel che era il mondo a metà del XVII secolo, raccontando grandi vicende accanto alla vita di tutti i giorni.
Poi il soggetto molto particolare: la più grande caccia all’uomo del XVII secolo. Si fa qui riferimento alla cattura e condanna dei regicidi, gli uomini che sottoscrissero l’atto di condanna a morte del re Carlo I Stuart, nel 1649, che permise l’instaurazione della repubblica di Cromwell.
Il “cacciatore “dei regicidi è Richard Nayler, l’unico personaggio principale del romanzo completamente inventato, un uomo complesso e di difficile inquadramento che sembra non avere problemi a scovare anche il più remoto dei nascondigli tranne per due persone, il colonello Ned, Edward Whalley, e suo genero William Goffe, fuggiti in America sotto falso nome dove si nascondono di casa in casa nei villaggi puritani delle colonie. E quando anche il re rinuncia a cercarli, Nayler non si vuole arrendere: un tragico evento accaduto anni prima che l’ha colpito duramente gli ha lasciato una insaziabile sete di vendetta.
Infine, ha diversi spunti di riflessione, come la profonda convinzione delle due parti in conflitto, i rivoluzionari e i restauratori, di avere Dio dalla propria parte, convinzione che ne giustifica qualsiasi azione certi di essere nel giusto.
O i dubbi etici e morali che sommergono sia lo stesso Cromwell, non solo sulle sue decisioni ma sulla stessa religione puritana che per anni ha costituito la corazza dei repubblicani, sia Ned che si domanda “dov’è l’errore? nella causa o in Dio?” Dubbi che trovano qualche risposta nelle pagine del memoriale che lui stesso scrive: un rilevante e astuto escamotage che permette all’autore di informarci sui fatti politici e personali precedenti all’omicidio di Carlo I.
Mentre scrivo mi rendo conto che sì non ero in un periodo adatto alla lettura di questo libro, poco concentrata tanto da non riuscire ad immergermi nella storia, storia dove l’autore non dà nulla di scontato, non tralascia nessun dettaglio utile alla narrazione, dai paesaggi inglesi e del nuovo mondo a quelli dei nativi americani fino all’accuratezza storica di un periodo che poco conoscevo, uno dei periodi più tumultuosi della storia inglese.
Da rileggere.
Eliana Corrado
Avevo molta curiosità verso questo libro che si è rivelato bello e brutto allo stesso tempo, anche se “brutto” non è proprio l’aggettivo giusto. E mi spiego. Partiamo dalla fine: il libro nel complesso mi è piaciuto molto, ma ha, a mio avviso delle note negative. Mi è piaciuto perché mi ha portato in una Storia di cui ero totalmente ignorante: la condanna a morte del re inglese Carlo I Stuart dopo un processo per presunto tradimento verso la sua nazione. Atto di accusa, processo e decapitazione (ma anche tortura del cadavere del re) mossi e sanciti da Cromwell e altri firmatari che, di fatto, seppur per poco diedero vita alla guerra civile inglese e a un brevissimo periodo di fine della monarchia inglese (restaurata poi dopo poco con la salita al trono di Carlo II Stuart). Ma i regicidi non restarono impuniti, contro di loro venne redatto un Atto di Oblio e perdono che, sulla carta, li perdonava e metteva al sicuro da ritorsioni e colpe, ma che in realtà era una vera condanna a morte. Di tutti i regicidi se ne salvarono pochi, due di questi, in particolare, fuggono verso il Nuovo Mondo, perrnnemente inseguiti da chi non si rassegna, anche per motivi personali, al fatto che uno solo dei regicidi resti in vita. Ecco, il libro è quasi esclusivamente il racconto della fuga, durata decenni, di questi due regicidi, con tutte le implicazioni della cosa, e del continuo essere inseguiti. Di fondo, c’è anche la contrapposizione religiosa tra le varie “colonie” della Nuova Inghilterra; c’è la contrapposizione ma anche la convivenza pacifica tra nativi (indiani) e occidentali; c’è la vendetta personale, morale, e reale; c’è la caparbietà di restare vivi anche se forse l’esistenza che si sta conducendo non è più vita ma sopravvivenza, privata com’è di affetti, di scambi umani, e caratterizzata da un abbrutimento. E c’è la speranza, che tiene tutto in gioco.
E per tutti questi motivi, per tutto questo il libro mi è piaciuto, e merita di essere letto.
Di negativo ha che, proprio per il voler narrare in maniera pedissequa ogni spostamento dei due fuggiaschi, il libro a un certo punto si accartoccia su stesso, diventa ripetitivo, noioso perché uguale alla pagina prima a quella ancora prima e a quella dopo. E questo accade per una parte consistente del romanzo. Si riscatta nell’ultimo terzo di libro, quando gli avvenimenti riprendono un certo ritmo, la narazione torna a farsi avventurosa e interessante e le vicende riprendono appeal e anche emozione. E così, da lettrice, ho fatto pace con “Oblio e perdono” perché anche io ho dimenticato che mi ero annoiata e ho perdonato allo scrittore quelle parti, e lo scrittore si è riscattato.
Valentina Ferrari
Ispirato a fatti realmente accaduti e a personaggi davvero esistiti, (con l’eccezione di poche figure come Nayler, il “cacciatore”), questo romanzo è un thriller storico e politico davvero ben costruito e dalla lettura godibilissima. Le vicende sono narrate con un ritmo incalzante, il contesto storico è ricostruito in modo magistrale: il processo al re Carlo I Stuart e la sua esecuzione, l’Inghilterra di Cromwell, rievocata nelle memorie di Edward Whalley (uno dei protagonisti), la monarchia degli Stuart restaurata nel 1660, così come la vita nelle colonie inglesi in America, allora semplici villaggi rurali abitati da poche centinaia di persone, che nel tempo cresceranno a dismisura fino a diventare grandi metropoli come Boston e New York. Qui, nel corso del Seicento, si erano costituite comunità puritane che, sebbene sotto il dominio ufficiale della Corona inglese, tuttavia, avevano creato degli spazi di autonomia e di indipendenza all’interno dei quali i due protagonisti, due regicidi in fuga, troveranno rifugio e sostegno per molto tempo. Tra i personaggi che ho più amato, ne cito due: uno dei due fuggiaschi, cioè il colonnello Ned Whalley, e la figlia di questi, Frances, sposata con William, compagno di sventure di Ned.
Il primo mi ha colpito perché, in misura maggiore rispetto al genero, riflette, rievoca il passato continuamente, dubita, venendo ad incarnare così l’uomo che non vive di certezze monolitiche ma che si interroga criticamente sulle proprie azioni. Frances Goffe è la figura femminile maggiore all’interno del romanzo: si tratta di un personaggio reale, il cui ritratto l’autore ha ricostruito tramite il rapporto epistolare che negli anni di clandestinità del marito ha intrattenuto con lui; è una donna che ha cresciuto da sola cinque figli e ha sopportato miseria, povertà e privazioni. Devo dire che questo romanzo mi è piaciuto moltissimo e credo proprio meriti una lettura, anche perché indaga un periodo della storia inglese affascinante ma meno conosciuto rispetto ad altre epoche ben più presenti nella narrativa storica. Ora sto recuperando un po’ per volta tutti i romanzi di Harris che non ho letto, perché ho scoperto un autore che mi piace molto.
Maria Marques
1660, il colonnello Edward Whalley e suo genero, anche lui colonnello, William Goffe, approdano sulle coste del Massachussetts. Sono in fuga, costretti ad abbandonare le famiglie, privati dei loro averi confiscati per il delitto di cui si sono macchiati. Sono stati infatti tra i firmatari della sentenza di morte del re Carlo I Stuart eseguita nel 1649.
La guerra civile inglese, conclusasi con la sconfitta del sovrano e la instaurazione della repubblica di Cromwell non ha avuto lunga vita. Dopo due anni dalla morte di Cromwell, il Parlamento incorona un nuovo sovrano Carlo II, e si apre la caccia a coloro che avevano firmato la sentenza di morte del padre,tra cui vi erano Whalley e Goffe,bollandoli come colpevoli di alto tradimento. Altri colpevoli sono già stati catturati e condannati a una morte orribile, altri sono nel frattempo deceduti, altri in esilio si nascondono. Whalley e Goffe scelgono di fuggire nelle colonie del Nord America, colonie di fede puritana, come loro, con la speranza di sfuggire da chi li sta braccando e, tra questi, c’è Richard Nayler, funzionario della commissione del Consiglio privato istituita per arrestare i colpevoli, che non ha nessuna intenzione di lasciarseli sfuggire. Harris presenta ai lettori un romanzo che tocca un argomento, almeno per me, poco noto e si addentra nelle prime comunità americane dei padri fondatori. Il risultato al di là della sua capacità come autore, di creare una storia nella storia, è però un romanzo di non facile lettura. Nessun personaggio riesce ad emergere e a creare quella giusta empatia per procedere nella lettura con entusiasmo. Tuttavia sebbene sia stata più volte sul punto di abbandonare la lettura, immancabilmente, una pagina, una frase attirava nuovamente la mia curiosità e mi spronava a proseguire. Ho particolarmente apprezzato le pagine in cui i due fuggiaschi vivono a stretto contatto con la natura, loro malgrado e le riflessioni che il più anziano dei due scrive in un diario destinato apparentemente alla figlia, ma che diventa poi uno spaccato di vita, di storia in cui esprimere dubbi sul proprio operato. Un dialogo con se stesso in cui mettere a confronto le certezze e i dubbi che da sempre attanagliano l’animo umano.
Martina Sartor
1660. Inizia una caccia all’uomo epica, che ci porterà dall’Inghilterra di Carlo II all’America dei puritani, seguendo le vicende dei tre maggiori protagonisti: i regicidi Edward Walley e William Goffe, colonnelli che con Oliver Cromwell e gli altri firmatari decretarono l’uccisione di re Carlo I; e Richard Nayler, funzionario del Consiglio privato della corona, incaricato di scovare i regicidi e di mandarli a morte. Alcuni sono già morti, altri fuggiti, ma Nayler ha anche motivi personali per essere ossessionato da questa caccia all’uomo. Uomo amareggiato e deluso dalla vita, fa della caccia a Walley e Goffe il perno principale della sua vita. I due colonnelli, ferventi puritani che hanno combattuto per Cromwell nella guerra civile che ha insanguinato l’Inghilterra della prima metà del ‘600, si trovano costretti a fuggire oltreoceano, dove verranno aiutati e supportati nella loro lunghissima fuga dalle comunità puritane di Massachussetts, Connecticut e New Haven. La loro storia diventa un modo per approfondire la conoscenza di queste comunità e di questa religione.
Effettivamente conoscevo poco questo periodo della storia inglese, mai approfondito davvero nelle mie numerose letture storiche. Questa lettura condivisa mi ha dunque dato modo di ampliare le mie conoscenze e, sebbene in alcuni passaggi la lettura sia diventata lenta, alla fine è stata molto soddisfacente ed illuminante.
Costanza Marzucchi
Il tema di base di questo romanzo è una caccia all’uomo nei confronti di coloro che firmarono la condanna a morte del re inglese. Le condanne di coloro che eseguirono la firma sono un dato storico ma, escluso questo elemento ed alcuni dei personaggi coinvolti, buona parte della storia è una ricostruzione delle peripezie degli ultimi fuggitivi, sul cui destino l’autore ha costruito un romanzo d’azione avvincente e interessante. La narrazione è scorrevole, piena di colpi di scena, con un perfetto mix tra realtà e invenzione narrativa. I personaggi sono pieni di contraddizioni, tutt’altro che virtuosi o autori di episodi edificanti, però anche questo elemento evidenzia l’ambiguità della giustizia che muove le loro azioni. Ho trovato la storia interessante e mi è piaciuta.
Roberto Orsi
In questo romanzo Robert Harris si dedica a una pagina di Storia inglese molto interessante. L’impianto storico è davvero affascinante: la fuga di due colonnelli inglesi, Edward Whalley e suo genero William Goffe, all’indomani della restaurazione monarchica dopo la parentesi della Repubblica di Cromwell. Anni che portarono a una sanguinosa guerra civile sul territorio inglese, la quale rivive nelle parole e nei ricordi dei due colonnelli giunti in America con lo scopo di sfuggire alla vendetta dei sostenitori della corona.
Rei di aver partecipato al processo che portò alla decapitazione di Re Carlo I Stuart, sono costretti a nascondersi nei nuovi territori conquistati oltreoceano tra simpatizzanti della causa repubblicana e puritana. A dare loro la caccia è Richard Nayler, funzionario della commissione del Consiglio privato istituita per arrestare i regicidi. Appare fin da subito chiaro che a muovere la mano di Nayler non sia solo l’Atto di oblio voluto dai monarchici ritornati al potere, bensì un conto personale ancora in sospeso che lo stesso Nayler è determinato a chiudere il prima possibile con i due fuggiaschi.
Le vicende raccontate da Harris consentono una panoramica complessiva sul periodo storico di riferimento. Le vicissitudini che portarono alla Guerra civile inglese, i principi alla base del puritanesimo, lo scontro violento tra protestanti e cattolici. La capacità di scrittura di questo autore non si discute, la narrazione è fluida e riflette una grande capacità di trasmettere nozioni storiche senza appesantire il contenuto del romanzo. La trama in sé ha una leggera flessione nella parte centrale del testo, prima di riprendere con grande ritmo nelle battute finali con un ritmo crescente di azione e adrenalina.
Un romanzo godibile ma probabilmente non indimenticabile.
Donatella Palli
Devo ringraziare Robert Harris per aver colmato diverse mie lacune. Nei libri di storia studiamo la rivoluzione di Oliver Cromwell come una delle tante del periodo, senza fare (almeno io) un’analisi delle conseguenze tragiche , della brutalità delle esecuzioni da entrambe le parti, della lacerazione che provocò in Inghilterra il fanatismo religioso “Dio lo vuole !”, ahimè ancora tanto presente ai giorni nostri.
Il giustiziere Richard Nayler, animato da una personale sete di vendetta, sembra molto simile a un cacciatore di taglie nel vecchio west, ci permette anche , nella sua spietata caccia, di conoscere il nuovo mondo dei primi coloni, fuggiti dall’Inghilterra per motivi religiosi o per miseria e gli immensi spazi di un territorio dove i nativi vivono vicini ai coloni senza troppi screzi. Insomma una vita difficile ma piena di sfide.Tutto ciò non è realizzabile per i regicidi fuggiaschi che si vedono costretti a nascondersi sempre.
Forse questa parte è un po’ lunga e ripetitiva ma doveva servire alle riflessioni di Ned che dei due colonnelli era quello meno dominato dal fanatismo.
Tutto sommato un libro interessante che sono contenta di aver letto.
Trama
Luglio 1660. Due uomini dalle barbe incolte e i vestiti ricoperti di salsedine approdano sulle sponde del Massachusetts. Si tratta del colonnello Edward Whalley e di suo genero, il colonnello William Goffe. Sono in fuga, ricercati per l’omicidio di re Carlo I, un’esecuzione clamorosa che ha segnato il culmine della guerra civile inglese, durante la quale le truppe parlamentari hanno combattuto con successo contro i realisti per il controllo del paese. Ma ora, dieci anni dopo la decapitazione di Carlo, i realisti sono tornati al potere. In base alle disposizioni dell’Atto di oblio, i cinquantanove uomini che hanno firmato la condanna a morte del re e hanno partecipato alla sua esecuzione sono stati giudicati colpevoli di alto tradimento. Alcuni di loro, tra cui Oliver Cromwell, sono già morti. Altri sono stati catturati, impiccati, e squartati. Alcuni sono stati imprigionati a vita. Ma due sono fuggiti in America per nave. A Londra, Richard Nayler, funzionario della commissione del Consiglio privato istituita per arrestare i regicidi, è incaricato di consegnare i traditori alla giustizia e si mette sulle loro tracce. Uno stretto legame col passato lo spinge verso questa caccia instancabile: non avrà pace finché non li avrà presi. Ha inizio così un inseguimento che attraversa due continenti, per portare a termine un atto di giustizia e insieme di vendetta personale. Con “Oblio e perdono”, primo romanzo storico di Robert Harris ambientato prevalentemente in America, l’autore ricostruisce con una narrazione incalzante la più grande caccia all’uomo del Diciassettesimo secolo, e racconta un’epica storia vera sulla religione, la vendetta e il potere, trasportando il lettore in uno dei periodi più tumultuosi della storia inglese.