Recensione a cura di Maria Marques
L’artista muore, ma resta quello che ha creato. Se questo ragionamento vale per ogni artista, a maggior ragione vale per Raffaello; Vasari lo esprime perfettamente, dandoci la certezza che quello che ha fatto Raffaello è un prolungamento della creazione di Dio e della bellezza del mondo, una bellezza assoluta, senza limiti, una dimensione nella quale non ci sono “vizi”, non ci sono “macchie”.
Un’opera d’arte non è frutto soltanto del suo autore ma anche del tempo in cui egli visse e di ciò che i suoi occhi videro. Tutto è mediato attraverso la vista sia di coloro che hanno preceduto l’artista sia di coloro che lo seguiranno, in un fluire costante e perenne che attraversa i secoli e il sentire umano.
Dimenticate una biografia convenzionale, l’intento dell’autore non è quello di narrare la vita di Raffaello attraverso le date che scandiscono la sua breve ma intensa esistenza di soli trentasette anni. Vittorio Sgarbi, partendo dalla base cronologica, intende seguire l’artista nell’evoluzione della sua pittura, soffermandosi sulla sua produzione artistica per evidenziare come questa, abbia poi influenzato altri dopo di lui, anche pittori a noi vicini e quasi insospettabili. Raffaello è un artista particolare, incanala e sublima l’arte dei secoli precedenti e diventa maestro irraggiungibile.
La base da cui si parte però è la famiglia, il padre Giovanni Santi “è un pittore mediocre, molto mediocre, da cui Raffaello impara poco…”. Il padre manda il figlio a bottega dal Perugino ma tutto concorre alla formazione del giovane. Raffaello vede e assorbe non solo gli insegnamenti diretti ma anche quello che lo circonda, in particolare la sua città natale, perfetta, ideale, dotata di un’architettura meravigliosa ed equilibrata dietro cui non può che esservi colui che è considerato il più grande pittore del Quattrocento, Piero della Francesca. Se Perugino sarà il maestro, Piero della Francesca, sarà “il maestro di pensiero e dà a Raffaello una visione del mondo”. In questo scambio continuo d’influenze reciproche, in quel periodo così fulgido per l’arte italiana, non si può prescindere da Leonardo per il quale l’Urbinate aveva una profonda venerazione.
L’influenza leonardesca si coglie nello sviluppo dei ritratti, rigidi e composti i primi dei duchi da Montefeltro, per poi mutuare attraverso la visione della Gioconda, in quelli della Dama con il Liocorno, della Muta, dei coniugi Doni:
Lo schema è il medesimo solo che Raffaello l’ha reso più parlante, più realistico. Ma in tutto e per tutto, a partire dalle mani, il ritratto viene da Leonardo e, rispetto a Leonardo, è migliorato anche il paesaggio…
È la realtà che irrompe. Là dove Leonardo coglie l’essenza, ferma un ideale, Raffaello dipinge persone, con pennellate morbide e avvolgenti. L’anima erompe dallo sguardo, dalla piega della bocca avvolgendo lo spettatore con un’intensità di colori che incantano lo sguardo e la mente degli spettatori. La stessa di fisicità, si ritrova in tutte le madonne, dalla prima a imitazione del Perugino, sino ai capolavori, come la Madonna del Cardellino, in cui la minuziosa ricerca di gesti umani, quali possono essere quelli tra madre e figlio, emergono dai dipinti, trasformando l’immagine religiosa in un pensiero tangibile di amore.
Così di opera in opera si arriva al periodo romano di Raffaello che, chiamato da papa Giulio II affrescherà le stanze Vaticane, con due capolavori, uno “La disputa del sacramento” in cui espone e compone un ordine tra terra e cielo e l’altro “La scuola di Atene” che celebra coloro che hanno donato i pensieri al mondo, immortalando tra i filosofi e i grandi pensatori anche Leonardo e Michelangelo. In quest’ultimo affresco, ritorna ancora prepotente l’ordine architettonico di Piero della Francesca da cui Raffaello trae ispirazione.
Saggio di facile lettura ma anche impegnativo, per chi non ha dimestichezza con gli artisti coevi e non, di Raffaello. In aiuto del lettore interviene però una ricchissima raccolta fotografica dei quadri citati la cui impaginazione, permette di seguire i continui confronti suggeriti da Vittorio Sgarbi, cogliendo in pieno quanto egli evidenzia e che era lì, davanti agli occhi di chi, come me, non ha le basi per raccogliere in una unica visione artisti le cui opere sono esposte nei vari musei. Il narrare di Vittorio Sgarbi è elegante, incisivo e scava nel particolare senza mai divenire tedioso, spiegando e confrontando una produzione artistica immensa. Sicuramente un libro che permette più livelli di lettura e di approfondimento e di cui non si può fare a meno di apprezzare l’erudizione dell’autore, che davvero incanta pagina dopo pagina.
La vita di Raffaello scivola di quadro in quadro permettendo di coglierne lo sviluppo delle sue capacità sino alla piena maturità, rimanendo ancora una volta attoniti davanti alla sua morte prematura,avvolta nel mistero, che ha privato il mondo di un artista che avrebbe potuto donarci altri capolavori. Quello che colpisce un lettore come me, è la consapevolezza che Raffaello non è mai “morto”, la sua pittura la ritroviamo persino in Klimt, in De Chirico, in un percorso artistico che non si ferma e che continua a parlare al mondo di bellezza, di equilibrio, di composizione.
Trama
“Raffaello ha solo dipinto. Non è stato un uomo complesso come Leonardo, un pensatore curioso di tutto; non è stato come Caravaggio, un ‘maledetto’ che vive una vita piena di contrasti; non è stato un artista come Michelangelo, pittore, scultore, poeta, architetto. Raffaello ha dipinto soltanto. E ogni volta ha inventato un capolavoro. I pittori, come il suo maestro Perugino, tendono a ripetersi, a riprodurre un modello, hanno un archetipo di riferimento. Lui no. Ogni volta inventa un’immagine nuova. Opere che la critica disconosce sono di Raffaello: sono opere diverse da quelle che ci aspettiamo, perché Raffaello non è solo Raffaello, è anche Giorgione, è Caravaggio, è Michelangelo, è Parmigianino. Lui è tutto: nessuno è ‘più tutto’ di lui. Quello che ha fatto Raffaello è un prolungamento della creazione di Dio e della bellezza del mondo, una bellezza assoluta, senza limiti.” Seguendo il racconto di Giorgio Vasari, Vittorio Sgarbi compone il suo racconto di Raffaello, dal commovente rapporto con il padre e la madre, al magistero di Pietro Perugino, dagli affreschi delle Stanze Vaticane fino al torbido amore per la Fornarina che destabilizzò la sua calma olimpica. E ogni volta Vittorio Sgarbi percorre la fitta rete di legami con i pittori del suo tempo: l’ammirazione per Leonardo, il rapporto contrastato con Michelangelo, l’amicizia con Bramante.