Recensione di Matteo Palli
“A volte, per riprodursi, le fragole allungano le loro radici sotto terra e poi rispuntano più in là, come fossero piante nuove. Le fragole cresciute spontaneamente sembrano, allora, tante e disperse, ma in realtà sotto terra sono un groviglio unito. Allora come si fa a dire che una piantina è morta? Solo se tutto il campo muore. Allo stesso modo, un uomo continua a vivere finché vivono le radici dell’opera sua.”
Leggendo questo romanzo, all’inizio mi soffermavo a pensare a quanto ci potesse essere di vero e quanto di romanzato nel racconto. Scorrevo le pagine in una realtà quasi virtuale. A un certo punto mi sono dimenticato del Francesco Cirio personaggio reale e mi sono fatto avvolgere dalla narrazione. Ho cambiato modo di osservarlo e il motivo è stato semplice.
Mi piaceva talmente tanto ciò che leggevo e mi sono appassionato alle vicende di questi splendidi personaggi che il resto era diventato un dettaglio. Avevo per le mani un romanzo storico a tutto tondo con tutti gli ingredienti (termine che calza proprio bene!) migliori del genere. Personaggi capaci di coinvolgere, racconto con colpi di scena, ambientazione e una morale di fondo che, secondo me, eleva il livello delle letture ad ampio respiro come lo è questa.
Mi sono trovato in un Italia lontana, piena di disuguaglianze, ma carica di umanità, di ideali e di voglia di farcela.
“Lei sapeva bene cosa significava faticare, stringere i denti e mandare giù i bocconi amari. Nella bella stagione si inginocchiava ogni giorno al torrente per lavare i panni dei signori, nella brutta si spaccava i reni tirando su l’acqua dal pozzo. Non c’era mai più del necessario né nella dispensa né in alcun altro angolo della sua vita. Abbondava solo la fatica.”
La ricerca di una vita migliore, vista non tanto come possibilità di crescita economica, ma come ricerca di una dignità e di un ruolo in un mondo, allora (e non solo) profondamente ingiusto.
La tenacia e il carattere del protagonista lo spingono a non temere nulla, ad affrontare ogni cosa con coraggio e speranza per se stesso, per le persone che ama, per la sua famiglia.
“Ho fatto un pensiero: per vivere col cuore sereno devi fare il meglio che puoi con quello che hai, punto… Se poi quella tua è una cosa buona per tutti e aggiunge un poco di bene a questo minestrone, beh, ma che vuoi di più! “
E l’importanza degli affetti più vicini riveste un ruolo fondamentale nel racconto. Francesco Cirio rappresenta un vero e proprio archetipo dell’uomo umilissimo, armato solo di voglia e di entusiasmo e della ferrea convinzione di potercela fare per il prestigio personale e, direi soprattutto, della propria umile famiglia.
Il tutto raccontato in un’Italia dilaniata dai conflitti sociali, che sta cercando la propria indipendenza, ma anche con una profonda lotta di classe con i più poveri che con il sacrificio “sfidano” una arrogante borghesia che si appresta a intraprendere il cammino del proprio tramonto.
Un’Italia lontana da quella attuale, non solo per un aspetto temporale, ma forse perché era ancora un paese dove con la passione e la forza di volontà era possibile sognare e qualsiasi obbiettivo, anche il più lontano o utopico, sembrava raggiungibile.
“Per questo Francesco decise di buttarsi in una grande sfida, d’altronde senza grandi sfide non esistono grandi vittorie. Adesso in famiglia stavano bene. Era un bene di chi sapeva essere felice con poco, un bene prezioso. Ma lui nella vita non voleva stare bene. Lui voleva diventare il meglio che poteva.”
Non mancano pagine che emozionano con i sentimenti che animano gli intrepidi cuori dei personaggi: l’amore e l’amicizia.
La prosa è sempre scorrevole e ricca. Si respira l’aria della sofferenza, del lavoro, del sacrificio, ben fusa con quella voglia di rinascita e del caldo profumo dei pomodori.
Un romanzo che emoziona e sorprende che si inserisce nel filone, molto proficuo in questo momento, delle saghe familiari, della storia raccontata attraverso le vicissitudini nel tempo di personaggi comuni. Francesco Cirio ha fondato un qualcosa che ormai è diventato di famiglia nelle nostre case, ma nel racconto è un vero uomo comune, un vero ultimo armato di forza di volontà e con un coraggio e un’intuizione, quella sì, veramente “fuori” dal comune.
Le opere del genere sono molte, ma “Che il mondo ti somigli” non sfigura accanto a nessuna di loro.
Una critica, seppur benevola, mi sento in dovere di farla. La parte finale del romanzo è forse un po’ affrettata, quasi come se le autrici avessero una gran voglia di arrivare alla conclusione. Il libro non è certo lunghissimo e qualche pagina in più non avrebbe disturbato.
Rimane però un ottimo romanzo che mi sento di consigliare senza alcun dubbio.
Trama
Da giovane ambulante a imprenditore di successo: la storia di un sogno diventato un’eccellenza italiana. Nizza Monferrato, 1836 . Sarà una magica notte di Natale per la famiglia Cirio. In anticipo rispetto alle previsioni, Luisa, umile lavandaia, dà alla luce il suo secondo figlio, Francesco. Ma il destino ha riservato a lei e al marito Giuseppe, sensale di granaglie, un’altra sorpresa. Proprio in quelle ore, infatti, la famiglia offre ospitalità ai conti Durini, tra i nobili più influenti del Piemonte, la cui carrozza si è ribaltata in un fosso per colpa della troppa neve. In segno di riconoscenza, la contessa Isabella regala al neonato una collanina con inciso sul ciondolo il loro stemma nobiliare: l’augurio per una vita lunga e fortunata, un ringraziamento a futura memoria, la speranza che la fortuna avrebbe potuto anche girare. La strada che Francesco affronterà sarà in salita e piena di imprevisti: dal mercato di Porta Palazzo a Torino al commercio d’oltralpe, il sogno di diventare qualcuno lo porterà ad aprire la prima fabbrica italiana di conserve alimentari. “Che il mondo ti somigli” è il romanzo ispirato alla vita di Francesco Cirio, fondatore dell’omonima azienda, un giovane piemontese di umili origini in cerca di riscatto per sé e la sua famiglia, in un’Italia di metà Ottocento dominata dalle divisioni sociali.