Recensione a cura di Laura Pitzalis
Non è un romanzo biografico e neppure un’analisi della Divina Commedia, “Danteide” è un vero capolavoro di critica dantesca, difficilmente sintetizzabile, per il quale risulta inadeguato e riduttivo sia il genere “romanzo” che quello di “saggio”.
Piero Trellini dà vita ad un’opera imponente, un’enciclopedia di eventi, di conoscenze cronachistiche, filosofiche, geografiche, filologiche, giuridiche, semiologiche, linguistiche, cosmologiche, iconografiche, topografiche, metriche, politiche e scientifiche, spaziando dalla politica alla cronaca nera, dall’antropologia ai cambiamenti climatici, dalle influenze culturali a quelle religiose, dalle dinamiche sociali a quelle economiche.
“Fino a quando una piccola invenzione rivoluzionò il mondo medievale. Ancora una volta proveniva dall’India e la sua portata fu forse quasi pari a quella della ruota. Diversamente da quest’ultima, non serviva a far muovere qualcosa di immobile ma a immobilizzare qualcosa in movimento: un anello in metallo pendente dalla sella nel quale il cavaliere doveva infilare il piede. Pur nella sua elementarità, la staffa, questo il suo nome, si rivelò una delle invenzioni più rivoluzionarie della storia. Un cavaliere puntellato sui due cerchi poteva caricare il nemico al galoppo e colpirlo con tutta la forza, senza per questo essere disarcionato dalla violenza dell’impatto: era in grado di sferrare un colpo di spada dall’alto al basso senza cadere, o trafiggere con la lancia un avversario senza essere per questo trascinato indietro.”
Vi vedo un po’ spaventati, sicuramente state pensando di trovarvi alla presenza di un tomo, (le pagine sono circa 600), un pochino “pesante”, uno di quei saggi comprensibili solo agli addetti ai lavori ma vi assicuro che non è così, e ve lo dice una che non ha nessun feeling con la saggistica. Certo non nego che alcuni passaggi sono spesso schematici e difficili da seguire e memorizzare con una serie di nomi, battaglie, scontri, matrimoni combinati e parentele ma lo stile fluido, rapido, quasi telegrafico e il tono a volte quasi favolistico, a volte avvolto da un sottile velo d’ironia, rende la lettura affascinante, trascinante, offrendoci un nuovo modo di avvicinare e comprendere l’immenso universo dantesco.
Nella stesura del libro, Trellini è partito da una considerazione abbastanza logica: non aveva senso affrontare la “Divina Commedia” perché già trattata da una miriade di studiosi e professori di alto livello e quindi inutile ricalcare qualcosa di già detto e scritto. E lo stesso l’idea di una biografia in senso classico perché superflua, non aggiungendo nulla rispetto ad autorevoli lavori prodotti in questi anni.
Bisogna precisare che la vita di Dante è molto lacunosa e nonostante su di lui si sia scritto tanto, in realtà sappiamo molto poco. Si hanno una decina di documenti di tipo economico, abbiamo quello che lui stesso ci svela disseminando indizi nelle sue opere che, essendo Dante una persona molto egocentrica, bisogna prendere con le pinze. Dante non racconta nulla della sua famiglia, non ci sono rimasti scritti autografi e non ne conosciamo la calligrafia.
Però sappiamo quando è nato, sappiamo quando è morto, cioè conosciamo lo spazio temporale in cui visse, all’interno del quale hanno coabitato numerose figure che sarebbero poi confluite nella Commedia, figure vissute in un’epoca di cui abbiamo moltissimo materiale tra documenti e cronache: dalle lotte tra papato e Impero alla nascita dei Comuni, dalla crisi del sistema feudale ai mutamenti economici che portarono il “popolo grasso” al potere, e così via. Epoca che vide Dante coinvolto in prima persona.
A questo punto Trellini si domanda: cosa si potrebbe scrivere su Dante senza sembrare ripetitivi, banali, presuntuosi?
Ed ecco il coup de théâtre: sposta semplicemente la prospettiva, l’asse d’osservazione.
Estrapola dalla Commedia quei personaggi contemporanei di Dante per ricollocarli nel loro mondo reale, e anziché sul poeta, rivolge l’attenzione su di loro per tentare di vederli come se li vedesse Dante.
“Ma che vita aveva avuto? In quali esistenze si era imbattuto? Quale tempo aveva attraversato? Non conosceva il mondo, eppure aveva concepito una storia universale. Il più bel libro mai scritto dagli uomini. Come vi riuscì rimase un mistero. Per provare a svelarlo, e a sfiorare così un brandello di verità, resta forse una sola possibilità. Evitare di guardare lui per guardare ciò che guardò lui. Tentare, dunque, di vivere le vite degli altri.”
In “Danteide”, Piero Trellini ci parla di un Dante che non fece la Storia ma vide la Storia farsi. Un Dante che visse da uomo normale le vite straordinarie degli altri, incrociando il filo della sua esistenza con la loro. Un lavoro, quindi, che non tocca l’aspetto critico ma che cerca di ricostruire le storie nascoste o dimenticate per capire meglio cosa Dante ci stesse raccontando, qual è stato il motivo ispiratore di quei versi, cosa è avvenuto prima di quei versi, come sono stati quei personaggi nella realtà e il perché alla fine hanno portato Dante a parlare di loro e non di altre persone.
Tutti i protagonisti della Commedia facevano parte del mondo di Dante, anche quelli che vivevano fuori Firenze. La vicenda di Paolo e Francesca è ambientata in Romagna, ma Paolo, il padre di lui e quello di Francesca facevano parte della quotidianità fiorentina, erano sotto gli occhi di Dante. Lo stesso vale per Ugolino: anche se la sua vicenda è ambientata tra Pisa e Sardegna, suo nipote Nino e sua figlia Gherardesca avevano conosciuto Dante e lui aveva conosciuto le sue storie. E questo vale per tanti altri personaggi della Commedia, come Farinata, Cavalcanti, Guido da Montefeltro, Ezzelino, tutti con storie incredibili e, cosa straordinaria, tutti intrecciati tra loro.
“La vicenda di Paolo e Francesca (collocati entrambi all’Inferno, nel canto V) è ignorata dalle cronache e dai documenti locali. Quando accadde, Dante aveva diciassette anni. Forse la conobbe come uno dei tanti episodi di cronaca (nera). E fu l’unico che decise di raccontarla. Il verso “Al cor gentil rempaira sempre amore” di Guido Guinizzelli venne ripreso da Dante (“Amor e ’l cor gentil sono una cosa”) che poi lo mise in bocca a Francesca: “Amor ch’al cor gentil ratto s’apprende.” Mentre “Amor ch’a nullo amato amar perdona” era una citazione esatta (dal latino) di André le Chapelain”.
“Danteide” quindi non è altro che un viaggio nella testa di Dante, che inizia fisicamente dal suo corpo, anzi dal ritrovamento delle sue ossa.
Il testo, infatti, si apre in modo bizzarro, (settanta pagine di un giallo che ha lati misteriosi e divertenti allo stesso tempo), con il ritrovamento, avvenuto a Ravenna il 27 maggio 1865 durante i lavori di restauro per le celebrazioni dantesche, di una scatola di legno con, sul coperchio, una scritta con inchiostro nero “Dantis Ossa”.
Da questo momento scatta una sequela di analisi forensi e misurazioni sui probabili resti di Dante, descritti da Trellini con minuzia di particolari, che si concentrarono soprattutto sul suo cranio con misurazioni volumetriche, riempiendolo con riso, per ipotizzarne il peso e, comparandolo con quello di uomini comuni o di altri personaggi illustri, dimostrare come il cranio di Dante fosse più grande del normale, capace, quindi, di contenere un super-cervello.
Il viaggio continua, poi, con un vivo e dinamico affresco di Storia tra il ‘200 e ‘300, storie di piccoli e grandi uomini che ci aiutano a comprendere molte pagine della Commedia e a capire tutto quello che Dante ha immagazzinato nella sua vita prima di arrivare alla sua stesura.
Per fare questo Trellini indaga, si sposta, ricerca per conoscere non solo l’epoca dantesca ma anche quella di tempi e luoghi lontani. Ed ecco che troviamo la nascita dell’agricoltura tra il Tigri e l’Eufrate o la leggenda indiana dell’invenzione degli scacchi, l’esplosione del vulcano Tambora in Indonesia del 1815, con le sue conseguenze europee che vanno dalla sconfitta di Napoleone affondato con i suoi soldati nel fango di Waterloo all’invenzione letteraria di “Frankenstein” e del “Vampiro”, entrambi ideati dalle menti di giovani inglesi bloccati dal maltempo durante una vacanza a Villa Diodati nei pressi di Ginevra.
“E alla sera del 16 giugno 1816 il buio portò con sé una delle notti più decisive della letteratura. A renderla tale non furono i due calibri da novanta – Byron e Shelley – ma la diciannovenne Mary, che, suggestionata dagli esperimenti sulla rianimazione della materia morta condotti nel XVIII secolo da Erasmus Darwin (nonno di Charles), partorì il suo Frankenstein, insieme a Polidori, il quale, ispirato dal romanticismo crudele del suo Byron, inventò Il vampiro, la prima vera storia del genere. I due terrificanti personaggi, eretici a loro modo, diventeranno archetipi degli incubi futuri dando corpo a paure ancora da inventare.”
Ed è questo “smontare” l’opera di Dante, per mostrarne da una parte i meccanismi tecnici e strutturali e dall’altra chi fossero da vivi quei personaggi e che relazione avessero con lui, il lavoro contenuto nel libro. La Commedia è un mondo piccolo e compatto che viene scomposto e risistemato da Dante secondo logiche morali. Trellini riposiziona le tessere nel loro posto originario per farle apprezzare meglio. Racconta le vicende in una situazione più ampia per aiutare il lettore a capire il contesto nel quale si sono svolti i fatti dei quali noi conosciamo l’epilogo.
Perché Dante quello che fa attraverso la Commedia è anche un tentativo di riqualificare la sua figura, ricordiamoci che la scrisse in esilio, per cui omette quello che non vuole far sapere di lui e invece si sofferma molto in quello che gli è più utile. Esempio lampante è Cacciaguida, il suo avo più rappresentativo, che in realtà è un povero crociato morto in battaglia e che Dante glorifica a tal punto da dedicargli lo spazio più ampio di tutto il poema.
“Uno degli ultimi a trovare la morte fu il crociato Cacciaguida degli Elisei che, nato a Firenze nell’ultima decade dell’anno mille, in tarda età aveva fatto in tempo a essere investito cavaliere da Corrado e a morire così da eroe cristiano […] Prima del fatale epilogo si era unito in matrimonio con una Aldighieri di Ferrara e con lei aveva avuto Aldighiero (da lì la famiglia iniziò a chiamarsi “degli Alighieri”), futuro genitore di Bellincione, padre a sua volta di Alighiero II, sposato nel 1262 con una certa Bella, dalla quale alle porte dell’estate del 1265 ebbe Durante di Alighiero degli Alighieri. Nome che presto si sarebbe ridotto a Dante”.
Per coinvolgere il lettore tenendolo agganciato ai contesti medioevali, Trellini escogita un altro colpo di genio inserendo numerosi richiami al nostro presente come nei titoli dei capitoli che richiamano le pellicole di Spielberg, Bergman, Lucas ma anche le canzoni di Bob Dylan. Vengono poi citati la bicicletta di Antonio Ricci, la ventiquattrore di Vincent Vega e riferimenti al Rat Pack, la Nouvelle Vague, la Beat Generation, gli impressionisti, la seleção brasiliana e l’American Dream, per riferirne alcuni.
Inoltre, dissemina in tutto il romanzo autentiche “chicche” che, con dovizia filologica, ridesta dalla storia per creare un legame tra passato e presente:
Sapevate della forte influenza che la cultura islamica ebbe su Dante nella struttura della Commedia? Incredibili le somiglianze con il “Libro della Scala” come, per esempio, le fiere che sbarrano il passo a Maometto all’inizio del viaggio; la presenza di un maestro come guida; il cammino sempre volto a man sinistra; l’invito a raccontare agli uomini ciò che si è visto …
O che il nome America ha un ascendente dantesco? Aimeric de Narbonne, uno dei vincitori della battaglia di Campaldino alla quale partecipò anche Dante, divenne così popolare che in suo onore molti fiorentini battezzarono i figli Amerigo. Accadde anche a Nastagio e Lisabetta Vespucci con il proprio, il futuro navigatore che avrebbe dato il nome al nuovo mondo.
Che i mercenari lasciati a guardia nei giudicati sardi dal conte Ugolino si mantenevano grazie a protettorati e tangenti e che, passati sotto gli aragonesi, presero il nome iberico della veste che indossavano, la “chamarra”, modificato in camorra quando nel XVI secolo si sono stabiliti in Campania?
E sì questo libro è unico, formidabile, un esempio di come si possa fare ricerca letteraria e storica uscendo dagli schemi tradizionali.
E quando giungiamo alla fine di questo straordinario viaggio, ci rendiamo conto che, grazie a Piero Trellini, comprendiamo meglio la Divina Commedia e, soprattutto, che quello che ha reso la Commedia un capolavoro è il fatto che Dante sia riuscito a raccontare un contesto che riportato alla realtà risulta incredibilmente piccolo e che sia riuscito a rendere questo “piccolo mondo” universale.
Che dire? Chapeau!
Sinossi
Sono le dieci del mattino del 27 maggio 1865. A Ravenna due manovali trovano per caso una cassetta di legno. Stanno per gettarla tra le macerie quando qualcuno nota sul coperchio una scritta: Dantis Ossa. La scoperta muove una città intera, e un vortice di persone – assessori, periti, notai, medici e scienziati – inizia a ruotare attorno a una sola ossessione: la testa di Dante. Tutti vogliono sapere perché quel cranio si trovi lì, quale sia la sua storia e soprattutto il peso del suo cervello. Per conoscerne la grandezza in realtà bastava vedere cosa avesse prodotto: la Commedia, il più bel libro mai scritto dagli uomini. Dante lo aveva creato attingendo da ciò che aveva vissuto, rubando saperi, storie e segreti, e lo aveva popolato di figure per lui familiari, quelle che avevano respirato la sua stessa aria: Paolo e Francesca, il conte Ugolino, Farinata, Cavalcanti, Guido da Montefeltro, Ezzelino e gli altri. Erano tutti legati. Eppure, un mondo così piccolo era diventato una storia universale. Come Dante ci sia riuscito rimane un mistero. Per provare a svelarlo e a sfiorare un brandello di verità resta forse una sola possibilità: evitare di guardare lui per guardare ciò che guardò lui. Prendere quindi gli uomini che attraversarono la sua iride per distribuirli in una storia. E tentare così di vivere, con i suoi occhi, le vite degli altri.