Recensione a cura di Serena Colombo
Gli albori del XX secolo trovano Ibla orfana del suo farmacista, Albanese, e con un nuovo personaggio a muoversi tra le sue strade, uno straniero giunto dalla capitale del Regno, a prendere in carico le sorti dei medicamenti dei propri abitanti.
Perché il buon Albanese ha nominato suo sostituto un forestiero? Chi è questo Antonio Fusco, arrivato da Napoli, a portare scompiglio nel paese e scandalo nella casa della vedova?
Perché qui il bell’Antonio, dal passato a tutti ignoto e misterioso, alloggia, generando pettegolezzi, dicerie, malelingue.
Uscite presto e fate una passeggiata. Lasciate che la gente vi osservi, fateli parlare. Voi rappresentate l’unica novità di questo posto e sulla vostra presenza in questa casa si faranno chiacchiere ancora per un po’. Di me diranno che sono una stupida vecchia che si è fatta irretire da un giovanotto e su voi chissà cosa inventereanno.
Fortuna che la vedova Albanese “Aveva fatto dell’ingenuità la sua forza, dei silenzi la sua corazza e dei sorrisi l’arma contro il livore altrui”, mentre Antonio “era bravo a dissolvere il dolore, la mortificazione, la rabbia”.
Ad Ibla la vita scorre lenta, noiosa, tutto si avvicenda senza grossi scossoni tra la Farmacia, appunto, e il Caffè 900, luogo di ritrovo, di chiacchiere, di “si dice”, di personaggi-icone depositari della memoria storica del paese. Ma c’è un altro luogo ai più sconosciuto e noto solo a una parte della popolazione, quella che si può permettere svago e distrazioni: il casino. E questo, più della Farmacia – grazie alla quale Antonio pur riesce piano piano a vincere le ostilità della gente del posto – ad attirare il giovane napoletano. Le carte sono il suo punto debole, il motivo per il quale è dovuto andare via da Napoli; i tavoli verdi sono stati la sua più grande rovina e ora in quella Ibla calda, diventano il suo canto delle sirene. E proprio durante una mano fortunata, il giovane farmacista si troverà faccia a faccia con un evento che gli cambierà la vita: c’è una emergenza, il medico del paese, come al solito, non si trova, e l’unico in grado di poter fare qualcosa è lui. L’emergenza si chiama Federico, “un ragazzino acerbo negli anni e maturo nei pensieri” affetto da una malattia a tutti sconosciuta e che vive recluso in un casale molto lontano da Ibla, protetto da pettegolezzi acidi e cattivi.
I due piano piano sottoscrivono un patto “un contratto d’amicizia, a loro insaputa e senza averlo realmente voluto. Perché gli amici non si scelgono, è piuttosto il caso a regalarceli sull’incerta starda dell’esistenza.”
Per paradosso che possa sembrare, Federico insegnerà ad Antonio il modo giusto di stare al mondo, lui solo sarà il depositario del passato di Antonio, un passato che al lettore viene svelato, con maestria e scaltrezza, solo alla fine del libro; Federico gli consegnerà l’unico modo per uscire da un guaio in cui si è cacciato il partenopeo: riscattare la Farmacia che ha perso nell’unica mano sfortunata al tavolo verde. Federico gli insegnerà che l’astuzia è compagna più fedele della fortuna, e in una mossa sola di scacchi gli farà vedere l’intero paese di Ibla.
Tutta questa terra è un continuo arrocco, anche questo paese è così arroccato così come la gente che ci vive e che si arrocca sulle proprie idee e si rifiuta di abbandonare le proprie posizioni. Le paure sono arroccate e pure le menzogne. Sta tutto lì, sulla torre del castello; ci stanno i sogni e le speranze ma anche i risentimenti e le vendette.
Il romanzo della DiQuattro è una concitata sequenza di fatti, misteri, suicidi; una straordinaria girandola di sensazioni ed emozioni; uno scandaglio in uno dei sentimenti più nobili per un essere umano: l’amicizia, quella salvifica dell’anima, non del corpo, quella che eleva l’uomo al di sopra di se stesso.
La scrittura, fluida, musicale, matura, rende questo romanzo godibile e completo, velato di tanto in tanto da una ironia sottilissima, che fa affiorare il sorriso nel leggere i diversi personaggi pittati con le parole.
Un romanzo ai cui personaggi si finisce, irrimediabilmente, per voler bene e di fronte al quale si resta in silenzio, come Antonio e Federico davanti al mare, muti ma vicini.
Restarono in silenzio, come solo due persone capaci di volersi bene sanno fare. Non c’era bisogno di colmare il tempo di parole né l’imbarazzo di restare chiusi nel proprio mondo, nei propri tormenti. C’era solo il desiderio di sapersi vicini.
Pro: tutto; trama, scrittura, stile, personaggi, intreccio: tutto concorre ciascuno per sua parte a creare una partita a scacchi col lettore. E la partita la vince la scrittrice che mette in scacco il lettore con la sua bravura, tenedolo in partita per tutte le 300 pagine del libro e sferrandolgi lo scacco matto col finale.
Contro: un po’ poca Storia vera e propria che resta relegata alle ambientazioni.
Un libro da rileggere: Sì, perché una volta conosciuta la storia, l’esito della vicenda, si possono gustare maggiormente le emozioni, la raffinata scrittura messa in campo dalla scrittrice che non disdegna qualche termine aulico e d’antan servito con così tanta naturalezza dal farlo sembrare d’uso corrente.
Trama
È l’alba del Novecento, a Ibla, lì dove la vita scorre fiacca sulla campagna stanca; lì dove si accalcano notabili tronfi, mogli tradite e poveri diavoli; lì dove la farmacia Albanese, per tutti «molto più di una chiesa», di colpo rimane orfana di colui che da tanti anni la amministra con riserbo monastico. Quando a succedergli accorre da Napoli un giovane senza passato, accolto da ostilità e diffidenza che piano piano si sciolgono in un cauto abbraccio, il paese prende a pulsare e la farmacia a rivivere. Ad Antonio Fusco, questo il suo nome, toccherà navigare tra rimorsi polverosi e sciatiche ostinatissime, menzogne sottopelle e vizi feroci, amicizie insperate e cicalecci di popolo; e mentre scongiura il passato e insieme ne resta imbrigliato, mentre si gioca tutto con una mano di carte o una mossa di scacchi, lui riscoprirà e farà riscoprire la vita a chi pure «si sente morire da un pezzo». Dopo “Donnafugata” e “Giuditta e il monsù”, Costanza DiQuattro firma un nuovo quadro a tinte calde e d’antan, in cui la storia di un uomo accarezza quella di tutti in un incontro agrodolce tra redenzione e vendetta.
Ho letto il romanzo tutto di un fiato. Scrivi in modo scorrevole rappresentando scorci di usi e costumi di noi siciliani ed in particolare dei siciliani della cosiddetta “Provincia babba”. Non essendo più un ragazzino mi sono sentito immerso nel tessuto sociale del tempo, vedi la farmacia, il circolo dei nobili etc…. Posti importanti ed indispensabili per la quotidianità e la salute del tempo. Proprio per tale motivo mi viene da porti la domanda sul perché non hai parlato ed inserito la figura del barbiere con le funzioni del tempo che spaziavano da intrattenimento musicale ad eseguire salassi e tant’altro. Lo avrei visto meglio al posto del bar ‘900. Ma senz’ altro avrai avuto i tuoi buoni motivi legati ai ricordi ed a Ibla. Ma è solo una chiosa che non hanno a che fare sul romanzo che mi è piaciuto molto…dimenticavo, sono un amico di Peppe Lizzio, soprattutto caro amico e vicino di casa dei suoi compianto genitori a Gela. Roberto Di Pietro mail: robertodipietro.aig@gmail.com cell. 3406164478. Mi piacerebbe avere un tuo parere… Buone Festività Natalizie e di fine ed inizio Anno 2023.