Recensione a cura di Donatella Palli
Bologna, febbraio 1867
Da pochi anni il nuovo Stato unitario italiano è una realtà ma il potere localmente deve ancora affermarsi e il brigantaggio è una grossa spina nel fianco.
Il fenomeno del brigantaggio postunitario non si limitò al sud d’Italia ma si annidò anche nelle parti più povere ed impervie del centro come la Maremma Toscana, l’appennino Tosco-Emiliano o l’appennino al confine tra Marche e Umbria.
E proprio di questa zona si parla nel romanzo di Gabriele Presciutti.
Il giovane Urbano Sartor, piemontese, è un funzionario di polizia intraprendente e capace; vanta un recente successo in un rastrellamento a Sasso Marconi e si pensa di inviarlo come delegato prefettizio a Pesaro per ridurre all’impotenza le bande di briganti e ripristinare la legalità sull’appennino al confine tra Marche e Umbria.
Arrivato a Pesaro viene messo al corrente della situazione dal prefetto:
Tra Cagli e Gubbio un paio di bande di briganti stanno facendo quello che vogliono..godono della protezione della gente del posto, contadini e boscaioli con figli renitenti alla leva… è una situazione di quasi anarchia che non possiamo più tollerare.
La formazione del Regno d’Italia era sentita da gran parte della popolazione come una minaccia alla propria fede cattolica e alle proprie tradizioni contro uno Stato laico e massone.
Di qui l’appoggio del clero ai briganti.
D’altra parte lo Stato mise in campo tutte le forze di cui disponeva e per distruggere il mito dell’invincibilità pubblicava anche le prime foto dei giustiziati.
Nel territorio di cui si deve occupare Sartor le bande sono due: una guidata da un certo Zecchetta, bandito locale, visto dalla popolazione come un eroe e l’altra da un tizio chiamato Lo Zingaro che proviene da un’altra zona.
Si sono specializzati nell’attacco alle diligenze che passano l’appennino con mercanti e viaggiatori diretti verso Gubbio. A niente servono le tante precauzioni come nascondere il denaro e i preziosi all’interno dei vestiti e valigie.
Compiute le rapine i briganti si dileguano e si nascondono sul monte Cerrone.
Il maresciallo Sforzacosta diventerà un aiutante del delegato prezioso; molto efficiente, conosce il territorio e la popolazione che ci vive.
Zecchetta preoccupato per l’arrivo di Sartor va a incontrare lo Zingaro, ben consapevole che non possono perdere il favore della popolazione .
Dobbiamo organizzare qualcosa proprio sotto il suo naso,molto vicino a Cagli. La gente che ci protegge deve capire che nulla è cambiato e che se il delegato l’avrà vinta su di noi, tutti i loro figli poi saranno costretti a partire per la leva obbligatoria, perché a quel punto tutte le regole della nuovo stato verranno fatte rispettare e per alcuni anni addio braccia che lavorano nei campi e che custodiscono le bestie
La coscrizione obbligatoria del nuovo stato consisteva di cinque anni nel servizio attivo e altri cinque anni nella riserva. Per molte famiglie contadine la perdita dei giovani significava la fame e la miseria.
Quella povera gente stava combattendo una lotta per la sopravvivenza ed era normale che lo Stato, in queste circostanze, fosse visto come un nemico.
Sartor s’imbatte quindi in un muro di omertà difficile da scalfire.
Convinto che tutti sappiano ma nessuno voglia parlare, il delegato prova a interrogare il parroco di Morena nel cuore del territorio in cui si rifugiano i banditi, sicuro che conosca tutti i paesani ma riceve dal prelato un netto rifiuto a collaborare. (Non dimentichiamo che questi sono territori dell’ex stato pontificio.)
Argomenta don Battista:
il re aveva voluto prendere il posto del Santissimo padre? Bene allora se la cavasse da solo per risolvere i suoi problemi
Sartor ha le idee chiare e le espone al maresciallo Sforzacosta:
Io e Lei stiamo servendo uno Stato giovane, che ha bisogno di rafforzarsi e che ancora non ha la forza di difendersi da coloro che vi si avvicinano solo per interesse personale… questo Stato deve crescere, deve maturare, deve imparare a reagire alle malattie che lo colpiscono.
Affermazione ancora oggi condivisibile!
La situazione precipita: la banda dello Zingaro si macchia di reati efferati: stupri, un assassinio e la scomparsa della bellissima moglie del pretore, Annamaria.
Il delegato e il maresciallo Sforzacosta si sentono davvero sotto pressione.
Sartor, data la situazione di grande emergenza, riesce ad ottenere più uomini per accingersi ad un rastrellamento a tappeto di tutta la zona.
I due poliziotti cominciano a battere tutte le piste e ricevono qualche risultato, ma il mistero s’infittisce; sembra che i banditi rifiutino la paternità del rapimento di Annamaria.
I colpi di scena si susseguono – e certo non è il caso di svelarli – fino alla conclusione inaspettata.
Solo quelli con le scarpe fine sapranno la verità.
Il libro di Gabriele Presciutti ha il pregio di ricordarci un fenomeno che ha insanguinato un ventennio della storia italiana postunitaria. Come aveva sentenziato Massimo d’Azeglio – fatta l’Italia ora dobbiamo fare gli Italiani – il nuovo Stato “piemontese” fu visto con diffidenza da una popolazione povera e insofferente , dopo tante dominazioni. Forte e disperata fu la reazione del brigantaggio che si sviluppò in modo anarchico con la connivenza di tanti. Fenomeno di rilevante importanza per capire anche l’Italia di oggi.
(Leggere questo romanzo mi ha ricordato Sciascia)
Presciutti si distingue per una prosa semplice, scorrevole ma circostanziata, per una grande conoscenza dei luoghi di cui parla e per il suo amore per la natura.
Ecco Sante (Zecchetta) che si reca dai complici nel bosco:
Quella pioggia aveva esaltato gli odori del bosco, quell’odore di terra e di foglie in decomposizione che Sante aspirava a pieni polmoni, che lo ricaricava e gli dava la forza di affrontare un’altra giornata di attesa e di tensione (…) questo era il conforto che gli procurava il bosco.
Le figure femminili compaiono sempre in secondo piano come Floriana, la moglie incinta di Sartor che lo attende a Bologna o Anna, la moglie di Zecchetta ignara di tutto ma pronta ad aiutare il marito in carcere. Sono creature deboli e molto dipendenti dai loro compagni ma credo che Presciutti ci presenti una realtà e, dopo aver letto di tante donne emancipate, dobbiamo interessarci anche delle altre.
Trama
Il delegato prefettizio Urbano Sartor, piemontese, in servizio presso la Prefettura di Bologna, viene inviato nell’Appennino pesarese con l’incarico di stroncare in modo definitivo le attività criminali di due banditi e dei loro sodali, le bande di Zecchetta e dello Zingaro, che spesso agiscono insieme. Siamo nei primi anni dopo l’annessione della provincia pesarese al Regno d’Italia e molte sono le inquietudini che serpeggiano fra la popolazione. Nelle zone più aspre dell’Appennino i fenomeni della renitenza alla leva e del contrabbando favoriscono un ambiente protettivo per le attività dei banditi, ma il nuovo stato non può permettersi di lasciare prosperare tali attività. Giunto a Cagli, Sartor deve ben presto fare i conti con mille difficoltà e dovrà confrontarsi con rapine, omicidi e sparizioni in un gioco delle parti che a un certo punto appare inestricabile, dove nessuno è quello che sembra. Solo su una persona Sartor può contare sempre, il fedele maresciallo Sforzacosta, comandante della caserma dei Carabinieri Reali di Cagli, che condividerà con lui un crescendo di illusioni, delusioni e speranze, fino all’epilogo finale.