Recensione a cura di Lorenzo Angelaccio
Le civiltà mesopotamiche antiche, nate agli albori della Storia, nascondono un fascino incredibile legato sia alla straordinaria complessità della loro struttura sociale (tutt’altro che primitiva, come si potrebbe talvolta pensare), sia alla scarsità di fonti e documenti attendibili e completi, che fanno in modo di lasciare molto spazio all’immaginazione e a ipotesi per ricostruire i vari aspetti della loro vita.
In L’Hurrita, primo volume della saga in corso d’opera Cronache di Akkad di Luca Vinotto, edita Arpeggio Libero, questo straordinario fascino è ben palpabile in ogni pagina. La saga nel suo complesso si propone di raccontare le vicende del leggendario imperatore Sargon di Akkad, fondatore dell’impero accadico, da molti ritenuto il primo impero della Storia. In questo primo volume, tuttavia, l’autore narra le gesta di un altro personaggio, un mercenario hurrita di nome Akki, dalla sua giovinezza fino all’incontro con Sargon stesso. Akki sarà anche il narratore di questo romanzo e attraverso i suoi occhi conosceremo numerosi luoghi molto diversi tra loro: dalle selvagge montagne ai confini settentrionali delle cosiddette Grandi Pianure, attraverso le quali scorrevano i fiumi Tigri ed Eufrate, fino alle grandi città mesopotamiche come Nagar e Uruk, dove saranno ambientate molte scene del romanzo.
Akki è un personaggio senza dubbio molto sfaccettato. Scaltro e ingenuo allo stesso tempo – come lo definisce l’autore nella sua prefazione –, nasce come secondogenito di un capo villaggio hurrita, una popolazione relativamente povera e arretrata che viveva sulle fredde montagne a nord della Mesopotamia. Akki, però, viene ripudiato dalla sua famiglia in seguito a un incidente e viene mandato a morire nei boschi. Riesce però a salvarsi e viene accolto da una tribù di mercenari, i cosiddetti Servi di Shauska, grazie ai quali Akki imparerà a combattere e a destreggiarsi tra le difficoltà della vita: abilità necessarie alla sopravvivenza e che gli torneranno utili in tutte le vicende future, che lo porteranno nel cuore della Mesopotamia.
Provenendo da una popolazione tutto sommato selvaggia, legata alla caccia e a un’agricoltura rudimentale, Akki rimane strabiliato dalla ricchezza e dalla prosperità delle città mesopotamiche, in particolare di quelle legate alla civiltà dei Sumeri: campi coltivati e frutteti che si estendono a perdita d’occhio, dighe e canali di irrigazione che regolano il flusso delle acque dei fiumi, città dalle mura enormi e che ospitano decine di migliaia di abitanti, tutti affaccendati in mestieri di ogni tipo.
L’attività che affascina di più Akki è probabilmente quella della scrittura, allora praticata per la maggior parte da sacerdoti, che incidevano strani simboli su tavolette di argilla. Avendo una forma mentis prettamente militare, Akki non è solo affascinato dalla scrittura come attività in sé, ma ne intravede fin da subito numerose applicazioni pratiche, che evidenziano la natura molto ambiziosa della sua personalità.
Ora che frequentavo nobili e funzionari, non saper leggere e scrivere cominciava a essere fonte di imbarazzo. A prescindere dalla enorme utilità che poteva avere, capivo che se volevo conquistarmi un posto nel mondo non potevo farne a meno.
Anche la religione e le varie attività artigianali colpiscono molto la fantasia di Akki: dalle sacerdotesse della dea dell’amore Ishtar, prostitute sacre che godono di grande rispetto, alla scoperta di una tecnica innovativa di produzione di archi straordinariamente potenti, che gli permetteranno di fondare una propria compagnia di mercenari specializzati nell’uso di quest’arma, dotata all’epoca di pessima fama presso i guerrieri, che la consideravano un’arma da vili.
La guerra e i combattimenti sono un ingrediente fondamentale di questo romanzo, che presenta scene molto avventurose e anche molto crude, con uno stile diretto e ricco di dettagli. Forse si sente un po’ la mancanza di elementi che bilancino una certa marzialità molto spiccata, come per esempio una storia d’amore o personaggi con i quali Akki possa stringere dei forti legami affettivi, ma del resto tutta la narrazione è vissuta dagli occhi di un guerriero esperto nell’arte di uccidere, per cui è credibile che l’aspetto militare abbia il sopravvento.
In ogni caso L’Hurrita è un romanzo che getta luce su un periodo storico tanto conosciuto a livello scolastico (tutti noi abbiamo studiato la storia della Mesopotamia alle elementari), quanto poco battuto a livello narrativo ed editoriale: ci sono pochi romanzi ambientati in quelle terre e in quegli anni, e se si vuole godere di scorci di vita di quel periodo che vadano oltre l’aspetto nozionistico di saggi e manuali, L’Hurrita di Luca Vinotto farà sicuramente al caso vostro.
Trama
Mesopotamia, 2324 a.C. Uruk, Ur, Lagash e le altre città-stato hanno dominato la regione per più di mille anni, ma il tempo della loro fiera indipendenza è finito. Un uomo di umili origini ha creato dal nulla un impero, il primo della storia: lo Sharru-kin, Sargon di Akkad.
L’ultimo testimone di questa straordinaria avventura è Akki, governatore della città di Kish, che, morente, decide di raccontarla allo scriba Namer. E poiché un moribondo può concedersi un piccolo vezzo, inizia dall’unico principio che conosce: il suo.
Giovane guerriero hurrita, è costretto a fuggire prima dal suo villaggio sui Monti Taurus e poi dalla banda di mercenari che l’ha accolto. Giunge nella Grande Pianura, la terra dei cento dialetti e delle cento città che millenni dopo verrà chiamata Mesopotamia. Qui si rifà una vita grazie al suo acume e al suo coraggio e incontra un ragazzino dal presente incerto ma dal grande futuro…
Le due vicende -quella di Akki e quella del grande conquistatore- si intrecciano indissolubilmente dentro l’avvicendarsi di eventi storici che ci sorprenderanno.
L’Hurrita è il primo episodio di una saga avvincente che vi farà riscoprire una sofisticata società nata agli albori della Storia, decine di secoli prima della fondazione di Atene e di Roma.