Recensione a cura di Roberto Orsi
“Il momento di sedermi con calma e contemplare tutto quello che è passato. Le mille storie, gli intrighi, le angosce e le gioie di questi lunghissimi e terribili anni. Ma davvero mi è stata data la sorte di vivere e partecipare, pure se da semplice comprimario, o se si vuole da testimone oculare, ai fatti che hanno marcato la nostra epoca? Adesso ho il tempo di riflettere e ricostruire.”
È il medico personale di Federico da Montefeltro che parla. E lo fa in questo romanzo di Pietro Gattari, edito da Castelvecchi, per lasciare ai posteri le vicende che hanno caratterizzato la vita del Duca di Urbino. Il prologo e l’epilogo del romanzo sono ambientati nel 1492, un anno simbolicamente fondamentale per la Storia d’Italia ed Europa, con la scoperta del Nuovo Mondo, la morte di Lorenzo De’ Medici, la pace destinata a concludersi definitivamente con l’imminente calata dei Francesi di Carlo VIII sulla penisola che segnerà una nuova era politica sul nostro territorio.
A dieci anni dalla morte di Federico, avvenuta nel 1482, il medico di corte che lo ha accompagnato per tutta la vita e che volutamente rimane senza nome in questo romanzo, raccoglie le memorie, l’infinità di schizzi e appunti accumulati nel corso degli anni per riordinare gli avvenimenti che segnarono un secolo intero.
Con un salto indietro, al mese di Marzo del 1451, ha inizio un lungo racconto che attraversa in lungo e in largo la penisola italiana in quel periodo di transizione da medioevo a rinascimento così complesso e controverso, almeno dal punto di vista politico.
Il romanzo di Pietro Gattari si legge come un saggio e riporta in modo pedissequa le dinamiche, gli intrighi, gli incontri e scontri di un periodo in cui il territorio italiano era diviso in tanti Stati, Signorie, Ducati e Repubbliche. E per una volta, l’analisi ha il punto di vista non già di una delle grandi città che segnarono quel tempo nel profondo, come Roma, Milano, Venezia o Firenze, ma quello del conte del Montefeltro e di Urbino.
Un punto focale della penisola, l’ago della bilancia per certi versi, una città guidata da un condottiero valoroso, un capitano di ventura che si distinse sul campo di battaglia per la grande capacità strategica e militare.
Federico fu capitano di ventura per conto dello Stato Pontificio e del Regno di Napoli. Le alleanze cercate dal duca furono molto spesso tese a indebolire la posizione dei nemici giurati di sempre: i Malatesta di Rimini. Prima Sigismondo, poi Roberto, furono sempre identificati come coloro da sconfiggere per ottenere territori in favore del Papa. La potenza di Venezia con i suoi dogi e i commerci marittimi, la città di Milano con gli Sforza e la repubblica di Firenze guidata da Cosimo, Pietro e Lorenzo De’ Medici, tessevano e disfacevano alleanze con una rapidità incredibile a seconda della miglior convenienza economica e politica.
In un gioco di equilibri precari la figura del Duca Federico ebbe un ruolo preponderante quale comandante di eserciti pronti a scendere in guerra per l’uno o l’altro Signore.
“La politica italiana può riprendere il suo corso fatto di opportunismo becero, inganni e tradimenti. Personalmente mi fa molta più paura questa Italia che le orde dei turchi.”
Al di fuori del territorio la minaccia delle popolazioni straniere: i francesi da una parte e i turchi dall’altra. Un’ombra incombente capace di tracciare le traiettorie delle alleanze e degli sconvolgimenti politici più importanti.
Un clima teso in cui i veri periodi di pace non furono mai veramente tali e soprattutto non furono duraturi. Sempre appesi a un filo di lana, teso tra un accordo politico e l’altro, su cui si camminava come equilibristi e giocolieri con il rischio di una caduta dall’alto senza rete di protezione.
L’autore descrive magnificamente questo contesto molto complicato, spesso effimero in cui i contorni e le definizioni variavano nel giro di pochi mesi. Quasi quarant’anni di storia in cui i capovolgimenti di fronte furono innumerevoli, in cui l’Italia ebbe personaggi del calibro di Lorenzo de’Medici, di Ludovico Sforza detto il Moro, di Papa Paolo II e Sisto IV, colui che concesse il titolo di Duca di Urbino al nostro Federico.
E ancora condottieri come i Malatesta già citati, o il Sanseverino a capo dell’esercito veneziano nella sanguinosa battaglia per la conquista della città di Ferrara di Ercole d’Este.
Con una scrittura fluida e una narrazione che non lascia spazio ai dialoghi, in un succedersi di avvenimenti e date che fanno di questo romanzo un vero e proprio compendio rinascimentale, la vita di Federico è raccontata dal medico di corte principalmente dal punto di vista dell’impegno politico assunto dal duca.
La vita privata rimane in secondo piano ma risalta il grande amore per Battista Sforza: un legame che avvinse i due protagonisti e li tenne uniti anche al di là della vita terrena. Un amore immortalato nel quadro di Piero della Francesca che li raffigura insieme, di profilo uno di fronte all’altro. Lo sguardo serio, forse troppo, un’immagine che diviene icona dei due personaggi. Battista fu una donna forte e capace di governare in vece del compagno quando lui era lontano sui campi di battaglia. Un grande acume politico che la donna mise a disposizione del marito.
“Federico parte, Federico ritorna: Battista è sempre al suo posto per far cantare l’amore nei suoi grandi occhi sorridenti”.
Nella lettura di queste oltre 380 pagine scorrono davanti agli occhi del lettore i nomi dei grandi personaggi del tempo, trasportandolo in un vortice in cui a volte risulta difficile orientarsi.
Attraverso la viva voce del medico, amico intimo di Federico fin da bambino, che con la narrazione in prima persona ripercorre tutti gli anni al fianco del condottiero, il lettore entra in contatto diretto con questo grande personaggio del rinascimento italiano. L’amore per l’arte lo rese un mecenate apprezzato, la smisurata passione per la cultura lo guidò nel raccogliere una biblioteca incredibile. Attorno a lui, in questo romanzo, un corollario di accadimenti e personaggi che in un modo o nell’altro ne influenzarono le scelte e la condotta.
Il racconto della vita di un uomo diventa quello di un’epoca, in cui l’uno influenza l’altra e viceversa, lasciando un segno indelebile che attraversa i solchi del tempo e della Storia.
“Non sono più i tempi in cui Federico era stimato, a ragione, il miglior soldato italiano e la mente politica più saggia. Colui che riusciva a far tacere le armi e ragionare i cervelli, agitando quelle e conquistando questi. Il miracolo dell’equilibrio italiano passava da Urbino.”
Trama
Federico da Montefeltro, duca di Urbino, è un personaggio centrale ed emblematico del Rinascimento. Grande capitano d’arme, munifico mecenate, protettore degli artisti e scienziati che sempre affollarono la sua splendida corte, studioso a sua volta e bibliofilo, Federico coniugò l’abilità di stratega militare con quella di finissimo politico e fu uno dei grandi protagonisti del risveglio culturale che ebbe luogo in Italia nel Quattrocento. Le vicende pubbliche e private di Federico vengono narrate, sotto forma di diario, dal medico personale del duca e suo amico d’infanzia, che rievoca l’intera loro vita insieme e termina il suo affascinante racconto al tramonto del secolo, nel 1492. Di lì a poco, Carlo VIII di Francia varcherà le Alpi, approfittando delle divisioni tra le nazioni italiane: da quel momento, per più di quattro secoli, gli stranieri non abbandoneranno più la penisola.